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MERCATI MONDIALI

Italia, il Paese del vino più competitivo del mondo. A dirlo uno studio Deloitte per FranceAgrimer

Potenziale produttivo, varietà dell’offerta e qualità prezzo si confermano in punti di forza, insieme all’enoturismo
DELOITTE, ITALIA, vino, Italia
Italia Paese del vino più competitivo del mondo secondo lo studio Deloitte

Il Paese produttore di vino più competitivo del mondo, nel complesso, è l’Italia. E a dirlo sono i francesi. È il verdetto di uno studio firmato da Deloitte per FranceAgrimer, l’agenzia statistica del Ministero dell’agricoltura francese (edizione n. 20), che ha valutato le performance dei principali produttori vino secondo 6 parametri: dal potenziale produttivo alla situazione climatica ed ambientale, dalla capacità di penetrazione dei mercati alla diversificazione degli stessi e all’equilibrio dei flussi economici, dalle dinamicità della filiera e degli investimenti al contesto macroeconomico. E, su un indice fissato sulla scala di 1.000 punti, il Belpaese enoico è al top, con 659 punti (e con il primato assoluto sul fronte del potenziale produttivo, 152 punti, e del portafoglio dei mercati, con 146 punti), davanti alla Francia, con 653 punti (che primeggia, però, sul fronte della capacità di penetrazione dei mercati, con 174 punti, e per la dinamicità della filiera e degli investimenti, con 87 punti). Sul terzo gradino del podio c’è la Spagna (602 punti), e poi, staccate, vengono Australia (509), Cile (499, con il Paese sudamericano che primeggia nel parametro legato al clima e all’ambiente), Stati Uniti (492), Germania (469), Nuova Zelanda (466), Sudafrica (457), Argentina (391), Portogallo (361), Cina (345) e Brasile (312).
Studio che, va sottolineato, è realizzato su dati del 2016, e con uno scenario, quindi, probabilmente diverso, in qualche misura, da quello attuale. Con tutte le rilevazioni economiche che vedono, tra le altre cose, la Francia crescere in maniera nettamente superiore all’Italia sui mercati internazionali.
Ma che delinea, in ogni caso, i rapporti di forza tra Paesi produttori, e che conforta, in qualche modo, una filiera del vino italiano che, nonostante questioni strutturali ataviche, come la iper-frammentazione del sistema produttivo, e criticità contingenti, come la difficoltà, negli ultimi anni, ad utilizzare i fondi Ocm per la promozione nei Paesi terzi, resta traino del made in Italy agroalimentare, e si conferma asset economico su cui investire (senza considerare, poi, le ricadute in termini di tenuta del territorio, di occupazione e così via).
“L’Italia mantiene la sua posizione di leadership grazie ad una viticoltura molto produttiva e molto diversificata - spiega lo studio - è il primo paese produttore di vino nel mondo in volume, anche di spumanti, grazie soprattutto al Prosecco. La sua grande riserva di vitigni autoctoni e lo sviluppo dell’“attività vivaistica” negli ultimi 20 anni ha funzionato bene in un contesto di declino del “Vigneto Europa”. Inoltre, il vino è ben presente nel consumo giornaliero degli italiani, e l’enoturismo, altamente sviluppato, contribuisce allo sviluppo del consumo locale. Anche se le sue esportazioni rimangono dipendi soprattutto da 3 mercati, tra cui il Regno Unito (oltre a Usa e Germania, ndr), rimane il secondo più grande esportatore di volume dietro la Spagna, con 20 milioni di ettolitri, grazie al Prosecco in particolare, ed il secondo in valore, dietro la Francia. Grazie soprattutto a prezzi competitivo e a vini adattati ai gusti del mercato”. Per crescere ancora l’Italia del vino, sottolinea lo studio, dovrebbe intensificare la sua azione di promozione e di marketing. “Ma c’è fiducia, e l’Italia - conclude Deloitte - punta ad aumentare il suo volume d’affari enoico del 30% nei prossimi 3 anni”.

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