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“L’agroalimentare ha tenuto alla crisi meglio dell’economia italiana nel complesso, ma ora serve più internazionalizzazione e una politica fiscale del Governo che non penalizzi imprese e consumi interni”: così, da Expo, Federalimentare

Dal 2007 ad oggi la produzione dell’industria alimentare ha perso 3 punti percentuali, a fronte dei 24 punti lasciati sul campo dall’industria italiana nel suo complesso. E il suo export è cresciuto del 49,5% contro il +9,9% di tutto il manifatturiero. A dirlo Federalimentare, associazione che rappresenta oltre 58.000 imprese del settore nella sua assemblea, di scena ieri ad Expo, che ha evidenziato anche come i livelli occupazionali abbiano tenuto, registrando un calo di “solo” 20.000 unità, sui 927.000 posti di lavoro complessivi persi in Italia.Ennesima conferma della forza di un settore che, da pilastro dell’economia del Belpaese, vuole più attenzione da parte delle istituzioni.
“Ora servono una politica fiscale che non deprima i consumi domestici e favorisca gli investimenti, e una burocrazia meno farraginosa e autoreferenziale: il suo scopo è servire il Paese, se lo manca dovrebbe andare a casa”, dice senza mezze misure, rivolto al capo del Governo Matteo Renzi, il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia.

“Un Governo che ci ha già dato importanti e concreti segnali di sostegno - spiega Scordamaglia - ma a cui chiediamo di portare avanti riforme strutturali e durature per rendere ancora più competitivo il nostro settore: il Jobs Act è stato un primo importante cambio di passo, come anche aver allocato, nonostante la spending review, 70 milioni di euro per la promozione e la difesa del made in Italy agroalimentare”. Anche perché l’obiettivo da centrare, rilanciato più vorte anche dallo stesso Presidente del Consiglio Renzi, è quell di arrivare entro il 2020 a quota 50 miliardi di export, con un aumento degli occupati diretti ed indiretti di 100.000 unità. E in questo senso, continua Scordamaglia, “la prima grande sfida da vincere è l’internazionalizzazione, perché fuori dai nostri confini ci sono i più ampi margini di crescita per il cibo italiano e per le nostre imprese”. Nel 2014 l’export del comparto è stato positivo (+3,1%) anche se in rallentamento rispetto agli ultimi anni. E la quota complessiva 2015 dovrebbe sfiorare i 29 miliardi di euro (34,5 considerando anche la componente agricola). Ma il peso delle esportazioni sul fatturato dell’alimentare italiano (20,5%) è ancora distante da quello di Spagna (22%), Francia (28%), e Germania (32%). Ma cosa serve per raggiungere l’obiettivo 50 miliardi di export? Secondo uno studio Format Research per Federalimentare svolto su un campione di 1.000 imprenditori e manager del settore, gli elementi propulsivi per centrare il traguardo sono tre: sostegno forte da parte del Governo per la valorizzazione generale del made in Italy (56,2%), un supporto specifico rivolto alle imprese che intendono aggredire i mercati esteri (27,1%) e gli effetti positivi di Expo (25%). E, ovviamente, vanno anche risolte delle crisi internazionali, come quella legata alla Russia, ieri sotto i riflettori anche per la visita, ad Expo, del presidente russo Vladimir Putin.
Una crisi che ha generato un embargo e delle sanzioni comminate dall’Ue nei confronti del Cremlino che, ha ricordato Scordamaglia “in meno di un anno sono “costate” alle aziende alimentari italiane 165 milioni di euro”. Secondo Federalimentare, nel 2013 (ultimo anno pre-embargo), con una quota export di 562,4 milioni di euro, la Russia aveva consolidato l’11esimo posto tra gli sbocchi del food & beverage italiano, coprendo il 2,2% dell’intero export alimentare nazionale con un aumento del 24,4% sul 2012, contro il +5,8% segnato in parallelo dall’export globale di settore. Nel 2014 l’export dell’industria alimentare in Russia ha accusato un calo del 6% e nel primo bimestre del 2015 le esportazioni alimentari italiane si sono dimezzate (-46,3%). Colpiti soprattutto il comparto delle carni preparate (-83%) e il lattiero-caseario, che si è praticamente azzerato (-97%). Un caso, quello della Russia, che mette una volta di più in risalto l’importanza dell’export. Anche perché, in Italia, si fatica a respirare ottimismo. Secondo una ricerca Doxa per Federalimentare, infatti, la maggioranza degli italiani non crede che la fine della crisi sia vicina: 6 su 10 hanno il timore che la situazione non cambi o addirittura possa peggiorare in futuro.

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