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L'ARENA

Economiavino, cresce l’export ma serve una strategia ... A Soave si è tenuto il primo forum sull’evoluzione del mercato enologico... Gli esperti: urge un piano a livello nazionale, se i Consorzi non individuano i prodotti-bandiera a farlo saranno gli stessi mercati... Esportazioni di vino italiano verso un +8% a fine 2011. Cresce l’export ma per imporre il bere italiano di qualità sui mercati, in particolare i vini di territorio, serve una pianificazione strategica nazionale che non c’è. I primi attori sul territorio sono i Consorzi di tutela. C’è stato un dato positivo a far da blocco di partenza, ieri a Soave, ai lavori del primo Forum sull’evoluzione del mercato del vino promosso da Vinum loci, comitato scientifico che fonde competenze delle Città del vino e ruolo istituzionale di Friuladria-Credit Agricole a sostegno e valorizzazione del mercato agricolo. L’ha raccolto Winenews ed è un +8% di export con cui il 93% delle aziende vitivinicole più importanti d’Italia si appresta ad archiviare il 2011. Un dato positivo difficile comunque da leggere alla luce del tema del Forum promosso, non a caso, da chi crede fermamente nel plus competitivo dell’autoctono. Vasco Boatto (università di Padova) l’ha detto chiaro: “Il mercato è guidato dal consumatore a cui bisogna far uscire le simpatie che cova. Ecco perchè bisogna competere sul ruolo del territorio, aumento della segmentazione, allungamento della piramide della qualità”. Ma come? Attraverso una pianificazione strategica nazionale (e, a caduta, regionale e locale) che, e su questo tutti tranne i Consorzi di tutela sono sembrati d’accordo, non c’è. E c’è il paradosso italiano “di una molteplicità che rischia di diventare handicap perchè se a individuare i prodotti bandiera non ci pensano i Consorzi, lo faranno i mercati” Sulla stessa falsariga è parso Attilio Scienza (università di Milano). “In occasioni come queste meglio parlare più di strategie di mercato che di produzione”, ha sottolineato. Tanto lui quanto Carlo Cambi (scelto come moderatore) l’accento l’hanno posto sugli agricoltori, al tempo stesso fondamenta del sistema ma anche, per via della scarsa remunerazione delle uve, anello debole della filiera. Impossibile non pensarci, del resto, laddove il trend su piazza globale distingue sempre più chi fa uva da chi (e si intende l’industria della trasformazione) fa vino. “Bisogna sviluppare l’agricoltura, non attaccarsi ad una storia che non c’è”, ha aggiunto Scienza biasimando le cosiddette denominazioni risibili. “Il consumatore è sempre più esigente: solo laddove i viticoltori sono realizzatori creativi e non semplici assemblatori di vini le multinazionali non hanno spazi. Serve però una rete di impresa, una strategia dal vigneto allo scaffale”. Chi le barbatelle le vende, cioè Eugenio Sartori dei vivai Rauscedo, alla contrapposizione non ci crede. “Anche il vino da tavola fa reddito, non è detto debba esserci contrapposizione”, ha precisato Sartori. “Credo che la partita si giochi sul potenziale enologico di un vitigno, a prescindere che sia autoctono o internazionale. Quel che serve, comunque, è una cabina di regia”. E se i Consorzi di tutela (del Soave, del Collio-Carso e del Salice) hanno difeso gli sforzi profusi negli anni a fare quello che avrebbe dovuto fare una strategia nazionale, e hanno definito le denominazioni come prima tutela del mondo agricolo, la politica ha lanciato la sfida. “La Regione sostiene da sempre le produzioni territoriali che hanno la qualità come prerequisito. La via, però”, ha detto l’assessore all’Agricoltura del Veneto, Franco Manzato, “è fare massa, fare aggregazione, anche con la partecipazione di partner privati come altre società o enti ed istituzioni come la Fiera di Verona, ma anche attraverso alleanze strategiche con la grande distribuzione organizzata”.

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