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L’export italiano di vino ha chiuso il 2014 in leggera crescita, ma il merito è ancora una volta dei Paesi della Vecchia Europa e del Nord America, mentre in Asia il Belpaese non sfonda, con Cina ed Hong Kong che valgono solo il 2% delle spedizioni

Italia
Sono ancora Ue e Nord America a sostenere l'export italiano

L’export italiano di vino ha chiuso il 2014 in leggera crescita, decisamente sotto le aspettative, ma comunque in territorio positivo, a 5,1 miliardi di euro (con una crescita dell’1,4% sul 2013) per 20,2 milioni di ettolitri (+0,8%). Merito soprattutto delle bollicine, che toccano il nuovo record storico, a quota 840 milioni di euro, mentre se l’imbottigliato rimane stabile, è lo sfuso a pagare, con un calo in valore del 17%, dovuto al grande exploit della Spagna, come raccontano i dati dell’Uiv - Unione Italiana Vini (www.uiv.it). Quello che cambia, però, è la composizione del panorama dei nostri partner commerciali, che si fa un po’ più complessa, ma dalla quale emerge un dato su tutti: l’Europa è ancora, di gran lunga, la macroarea di riferimento per il vino italiano, mentre l’Asia resta ancora una destinazione marginale, con Cina ed Hong Kong che, insieme, rappresentano un misero 2% dell’import complessivo di vini imbottigliati e spumanti.
L’Unione europea, come detto, si conferma prima destinazione a valore, con un aumento del 5% (a quota 2,4 miliardi di euro), seguita dal Continente Americano (+3% a 1,4 miliardi). Quindi l’aggregato extra Ue (che comprende Paesi per noi strategici, come Svizzera, Russia e Norvegia), che però chiude l’anno senza variazioni, l’Asia, che chiude a un magro +2%, e infine Oceania (+11%) e Africa (+9%). Per quote, la metà del valore generato dal nostro export si fa ancora in Unione Europea, anche se il peso è leggermente diminuito nel corso degli ultimi 15 anni: -5%, quota passata interamente all’extra Ue, che nel frattempo è arrivato all’11% del totale. Gli altri aggregati, invece, vedono il Nord America (Usa e Canada) stabile, attorno al 30%, e l’Asia ferma al 6-7%, di cui solo il 2% relativo a Cina e Hong Kong che, dal 2000, pur crescendo, hanno guadagnato solo 2 punti di quota, restando complessivamente marginali sull’andamento delle nostre esportazioni. Questo 2%, tra l’altro, è rimasto praticamente fermo dall’anno in cui è stato raggiunto, nel lontano 2011.

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