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L’IMPRENDITORE VITTORIO MORETTI, CHE HA CREATO LE GRIFFE BELLAVISTA, CONTADI CASTALDI E PETRA, ELETTO ACCADEMICO DEI GEORGOFILI A FIRENZE

Italia
Vittorio Moretti

Lo splendido Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze è stato il palcoscenico nel quale l’imprenditore Vittorio Moretti, nato a Firenze nel 1941, e a capo della holding Terra Moretti - attiva a partire dagli anni Sessanta nei settori delle costruzioni, del vino e del turismo - ha ricevuto nei giorni scorsi la nomina di “Accademico aggregato” dell’Accademia dei Georgofili. La prestigiosa onorificenza viene concessa dal Consiglio Accademico di questa storica istituzione fondata nel 1753 alle “personalità che hanno acquisito notorie benemerenze” nella tutela e nella valorizzazione delle attività legate al mondo rurale, contribuendo al “progresso delle scienze e delle loro applicazioni all’agricoltura in senso lato, alla tutela dell’ambiente, del territorio agricolo e allo sviluppo rurale“. Vittorio Moretti ha da sempre incentrato ogni sua attività su un’etica che privilegia il rapporto con il territorio e l’impegno per la sua valorizzazione: a cominciare dalla Franciacorta (Brescia) e dalla Val di Cornia.
“L’etica del contadino mi è sempre appartenuta - dichiara Vittorio Moretti - Ricordo ancora gli insegnamenti del nonno che aiutavo durante l’estate nel vecchio podere di famiglia: un rapporto privilegiato con la natura da cui imparare i segreti di un ‘buon governo’, saggi consigli pratici, ma anche una visione lungimirante dei benefici privati e collettivi provenienti dalla tutela e dalla valorizzazione della terra”. In questo spirito, Vittorio Moretti ha sviluppato una diversificazione del proprio impegno imprenditoriale, con un percorso che l’ha portato dall’edilizia (ambito in cui opera con la Moretti SpA e la Moretti Interholz nella prefabbricazione industriale e nel legno lamellare) all’attività immobiliare di prestigio e a quello nella nautica di lusso, col marchio Maxi Dolphin. E, quindi, con una scelta maturata negli anni Settanta, all’impegno nel settore vitivinicolo, ripercorrendo il modello francese dello Champagne, fondando il Consorzio Vini Franciacorta ed affermando così un modello di eccellenza riconosciuto dai mercati.
Un successo confermato dalle attività sviluppate in Franciacorta: le cantine Bellavista e Contadi Castaldi, il Relais & Chateaux L’Albereta e il golf Club, quest’ultimo realizzato recuperando una cava d’argilla e trasformandola in un’opportunità di sviluppo territoriale. Lo stesso modello Vittorio Moretti ha voluto, in tempi più recenti, “esportarlo” anche in terra toscana, dove ha realizzato con l’amico Mario Botta la cantina Petra di Suvereto, e dove si è occupato del recupero dell’antica tenuta di caccia del Gran Duca di Toscana a Castiglion della Pescaia (Grosseto), oggi resort di lusso che vanta Alain Ducasse quale socio oltre che maestro di cucina. La passione per la propria terra, di cui Vittorio Moretti è interprete, trova ulteriori stimoli dalla costante attenzione per l’arte e la cultura, oltre che per la qualità della vita: ne sono testimonianza l’attività di riscoperta della Val di Cornia di cui l’imprenditore lombardo è stato pioniere, il “Parco delle sculture” in Franciacorta creato attraverso un premio di scultura internazionale rivolto ai giovani e, non ultimo, il prestigioso premio giornalistico “Bellavista” di cui il 14 Maggio ad Erbusco è in calendario la cerimonia di premiazione della XII edizione (presente il Ministro per le Politiche Agricole, Gianni Alemanno).

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su Vittorio Moretti

La riva materna
Con piacevole sorpresa catturo Vittorio Moretti in una tela di Giovan Battista Moroni, protopittore bergamasco (in attesa del Caravaggio). Gli risparmio il giro-collo di pizzo, non il corsetto damascato, le maniche rigonfie. I capelli sono lisci e corvini quali dovrò cogliere poi nel suo misterioso popolo in migrazione: la severità del volto non si attenua dunque in riccioli di vacua apparenza. La fronte è convessa, alta e ossuta in giusta misura. I sopraccigli neri proteggono occhi scuri e intenti, non fissi, non avidi, bensì animati da visibile intelligenza. Il naso è diritto e ben proporzionato. La bocca si atteggia a un contenuto sorriso. Il mento è virile, non aguzzo, non squadrato né reso frivolo dal vezzoso buchetto al centro della mandibola. Non cupo né fatuo, l’uomo ispira immediato rispetto. Giovan Battista Moroni non ne vuole falsare il ritratto per mera piaggeria. Preferisce che esprima carattere nella compiuta verità del suo essere. Fin qui il dipinto come appare a chi lo veda per la prima volta. Ma io, fedele biografo, devo scoprirne subito anche la fisionomia razziale.
Vittorio è nato nella antica strada dei Camuni. Gli etnologi meglio informati parlano di Liguri. Un filologo della statura di Giacomo Devoto rompe la monotonia del luogo comune arrischiando l’ipotesi d’un insediamento lepontino, cioè venetico, a ribaltare le classificazioni d’antan. I primi Liguri appaiono anche a me, sopspetto di laevismo transpadano (la riva sinistra!), come un confondersi inquieto di popoli in marcia. Quando è da tempo iniziato l’ultimo millennio avanti Cristo, come fiumi etnici in piena irrompono in Padania anche i Celti, poco meno misteriosi dei Liguri. I Cenomani fondano Brescia. I Liguri (o i lepontini venetici?) hanno già fondato Bergamo. Fra i due popoli non vigono separazioni possibili. La Storia (con la S maiuscola) si sfuma di continuo in ibridazioni concrete. Quassù non giungeranno i Punici ma sì i Romani, e dopo di loro avranno luogo infinite scorribande germaniche, miracolosamente cessate quando i Longobardi avranno scelto l’ultima patria, in tutto degna di loro. Vittorio Moretti vede lampi di peltro illuminare la natia riva d’Iseo. Il nerbo longobardo gli è rimasto nel sangue come sicura memoria bio-storica. Senza jattanza alcuna si dirà milanese. Il suo dinamismo non può non ispirarsi alla capitale che l’ha plasmato per oltre vent’anni. Quando torna alla riva di Franciacorta, Vittorio Moretti la trova angusta fino a provocarne l’orgoglio virile. Il suo dinamismo si traduce in progetti di mirabile intelligenza pragmatica. I dolci colli morenici si sono offerti da secoli alla vite in un abbandono che non vuol essere mai rassegnazione. La tecnica del vinificare è come un rito di sacra liturgia. Il tempo la condanna però a rinnovarsi come esige l’ottima qualità del prodotto. I primitivi pali di salice si umiliano nella terra sassosa: la dignità della liana che dà prodigiosi grappoli d’uva impone sistemi nuovi. Sembra ovvia - e non è - l’intuizione di Vittorio Moretti. I filari si disegnano secondo armoniose geometrie di ceppi e di tralci: per suo merito il cemento armato si offre con rigidi sostegni che durano nel tempo.
Il primo omaggio alla terra lo incoraggia. Vittorio Moretti sperimenta la propria voglia di culto e di successo onorando il vino come esige la fede degli antenati. Nuovi templi si scavano per un tesoro che vive e riposa lontano dalla violenza del sole. Il vino si custodisce come l’oro: le volte di queste cattedrali sotterranee si stagliano prima nella mente di Vittorio Moretti costruttore edile. L’idea del forziere si dilata in forme architettoniche sempre più ardite e geniali. Vittorio Moretti ha pudore a dichiararsi contadino prima di aver vinto la sfida nella “bottega” che fu dei grandi fabbri lombardi, dei comacini e dei campionesi prefabbricanti (sic) le cattedrali più insigni della Padania. L’industriale Vittorio Moretti rientra nella storia pagando giusto tributo all’agricoltura. E’ atavica legge che ritorni devotamente alla terra chi se n’è staccato per trionfare nelle arti che creano ricchezza costruendo perfino città. Vittorio Moretti è veramente compos sui quando intorno alla fabbrica, (l’antica bottega dilatata secondo le esigenze moderne) può impiantare i vigneti che testimoniano il suo amoroso ritorno alla contrada natia. I vini insigni di Bellavista consentono a Vittorio Moretti l’ennesima sfida. I suoi obbiettivi trascendono i preziosi confini delle vigne ridisegnate sulle ondulazioni moreniche di Erbusco. La misteriosa sopravvivenza dinamica che l’arte di Giovan Battista Moroni ha anticipato di oltre quattro secoli (ma sì!) riesce a plasmare anche la riva materna. E’ presto per andar oltre la fruizione visiva d’un vasto giardino nativo che sarà parco domani, aprendosi alle pacate contese dei golfisti. Un albergo degno apre le porte a un mondo che può serenamente isolarsi pur vivendo inserito nell’ambiente. I pampini delle vigne frondeggiano rigogliosi. Nelle ampie cantine votate al culto e perciò senza retorica paragonabili a templi silenziosi ma fervidi, maturano i prodigiosi vini che accendono l’orgoglio di Vittorio Moretti.
Il suo enologo, Mattia Vezzola, è il diacono officiante. La sua sapienza tecnica asserisce che il prodotto di Bellavista rappresenta il massimo di Franciacorta. Più di questo, in cantina, non si può fare. Vittorio Moretti ha capito e accetta generosamente la lotta per andar oltre. I vigneti di più recente impianto (cinque anni) produrranno la metà dei più vecchi. E’ provato infatti che la qualità è inversamente proporzionale all’abbondanza. Al momento gli spumanti “officiati” nei templi di Vittorio Moretti risultano “un po’ corti nel retrogusto”: non riescono a “completare tutto il palato”. La sensazione di piacevolezza, gustando lo spumante attuale, ha una durata inferiore all’optimum di circa un quarto: poi sparisce. E la sincerità del culto non sopporta menzogne di comodo. Contro i pochi grandi champagnes lotteremo alla pari quando l’ambizione di Vittorio Moretti verrà soddisfatta compiutamente. La qualità dei nuovi prodotti di vigna verrà sicuramente esaltata nel sacrale silenzio delle cantine. Le vigne nuove rendono più gravosa la vendemmia ma Vittorio Moretti è un patron illuminato. Se è vero che le piante produrranno la metà, è anche vero che dureranno quasi il doppio delle attuali sotto produzione.
L’elogio di Vittorio Moretti imprenditore e poeta ha luogo in un ristorante milanese che appartiene a un amico, Alfredo Valli. “A casa mia - dice impettendo Alfredo, fresco retour de Kenia - faccio quel che voglio: e adesso voi berrete un Dom Perignon dell’82”. Mattia Vezzola, giovane bennato, accetta di buon grado l’imposizione. A me, personalmente, garberebbe di più un Bellavista. Mattia sorseggia attento e dice che l’anidride carbonica “scoppia in bocca”: secondo lui, è un vino troppo fresco (nel senso di giovane). “certi francesi - rincara Alfredo con lombarda cordialità - a jèn imbrujon: magari cal vin chì al g’ha du ann e no sett ‘ma dis l’etichetta”. Finisco io lanciando il mio valido ronzino contro i sempiterni mulini a vento dello champagne: “A noi italianuzzi - ringhio indignato - tirano fregature pari al loro insensato disprezzo”: e volendo sinceramente bene a Vittorio Moretti chiedo con la debita burbanza di rifarmi sul suo impareggiabile Bellavista. Sia vero o no che manca l’ultimo quarto sul palato (perché non credere a Mattia, che è così bravo e onesto?), mi titilla l’epligottide come riescono solo i grandi vini. La metafora non sarà pari alla mia sete ereditaria, però lo spumante di Vittorio Moretti mi fa pensare ad un’ape che dolcemente deponga in arnia il polline di un bel fiore.

Milano, 30 gennaio 1989

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