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L’IMPRESA DEI MILLE RIPERCORSA ATTRAVERSO IL FORMAGGIO, LA DIFESA DELLA BIODIVERSITA’ E LA LOTTA AI “FALSI LEGALI” DI BASSA QUALITÀ. ECCO IL “THE END” DI “CHEESE”. CONSUMI: LE “FAMIGLIE DOP” (IL 10% DEL TOTALE) ACQUISTANO UN TERZO DEI FORMAGGI DOP

I grandi temi del mercato caseario e della biodiversità, ma anche l’impresa dei Mille ripercorsa attraverso i formaggi ed i vini d’Italia: ecco “Cheese”, la rassegna internazionale di Slow Food che, dopo quattro giorni, con il meglio della produzione casearia italiana ed estera, lascia Bra. Un percorso degustativo, decisamente originale, tutto dedicato ai 150 anni dell’Unità d’Italia, quello pensato dal Club degli Amici del Toscano, attraverso la rievocazione dei 4 momenti centrali dell’impresa dei Mille tra formaggio, vino e sigari: si parte da Quarto, con un bicchiere di Sciacchetrà e un pezzo di caprino, quindi si va a Marsala, con un sorso del vino tanto amato dagli inglesi già due secoli fa, abbinato ad una fetta di formaggio ragusano; quindi si risale la Penisola, fino a Teano, per una degustazione di Pallagrello abbinata ad un assaggio di Conciato Romano, quindi l’ultima tappa, a Caprera, con un buon bicchiere di vino di Sardegna accompagnato da un pezzo di fiore sardo dei pastori. Una vera e propria rievocazione gastronomica, perché “in ogni tappa - ricorda il Club degli Amici del Toscano - il Generale trovò un formaggio a sfamarlo, un vino a dissetarlo e un Toscano a fargli compagnia”.
Ma “Cheese” è stato anche, e soprattutto altro. Ha portato alla ribalta i grandi temi e le dinamiche del mercato caseario, sempre alle prese con i grandi temi dell’ “italian sounding” e adesso anche della “falsa qualità”, formaggi cioè che dietro ad etichette legalmente ineccepibili o a lavorazioni ammesse dalle norme, non rispettano i canoni delle proprietà alimentari. Paracaseine congelate, panna aggiunta per aumentare il grasso a prezzi modici per il produttore, uno scorretto rapporto tra il “cattivo” omega 6 e il “buono” omega 3 o tra la concentrazione di proteine e di grassi: sono alcuni degli esempi di cattive pratiche, usate invece con molta disinvoltura, che “Cheese” ha voluto portare all’attenzione dei consumatori e degli esperti del settore, che si trovano disarmati di fronte a questo genere di problematiche, a causa della “lacunosa legge sul latte di qualità del 1989: è facile - spiega Roberto Rubino, ricercatore del Cra - Centro di ricerche per l’agricoltura - trovare formaggi che hanno un rapporto tra Omega 6 e Omega 3 di 1 a 10, quando non dovrebbe superare il doppio, o di grasso che va ben oltre il consigliabile 50% rispetto alle proteine”. Problemi di difficile soluzione, anche a causa dell’oggettiva difficoltà nei controlli, dovuta all’enorme varietà di formaggi presenti sul mercato, ed alla posizione della grande industria casearia, che dell’obbligo di indicare la provenienza in etichetta, non ne vogliono proprio sapere.
Ma “Cheese”, vale la pena ricordarlo, è un evento firmato Slow Food, che nell’occasione ha rinnovato una delle sue tante battaglie, la difesa della biodiversità, per difendere la varietà delle specie animali e vegetali, anche di casa nostra. “Le agricolture intensive e la mancanza di rotazione delle colture - spiega Slow Food - sono tra le principali cause della perdita di biodiversità alimentare e selvatica: i mari sono sempre più poveri, nei cieli sono sparite molte specie di uccelli, ma la politica latita e le grandi multinazionali tengono tutti sotto scacco”. Una tendenza che si può invertire con “una radicale riforma della Pac, che passi per un nuovo senso di responsabilità sentito soprattutto dalla società civile”, come ha spiegato Hannes Lorenzen, senior advisor alla commissione Agricoltura e Sviluppo del Parlamento europeo. Argomento importante, che trova sostegno ed attenzione anche da parte della politica italiana: Susanna Cenni, membro della commissione agricoltura della Camera, ha infatti illustrato la sua proposta di legge per la protezione della biodiversità, redatta proprio con Slow Food: “In questo periodo di crisi - ha sottolineato - è fondamentale che le riforme vertano sui temi quali salute, alimentazione e ambiente. Gli obiettivi sono difendere le risorse genetiche autoctone animali e vegetali, tutelando il diritto delle comunità locali e costituendo un’anagrafe delle biodiversità”.
Info: http://cheese.slowfood.it/

Focus - Formaggio e consumi: lo studio Ismea-Gfk-Eurisko
Due milioni e 300.000 famiglie, pari al 10% dei nuclei italiani, che da sole consumano quasi un terzo dei formaggi a denominazione protetta nazionali: sono le “famiglie Dop”, così battezzate dallo studio sul consumo di prodotti caseari in Italia di Ismea-Gfk-Eurisko. Si tratta di nuclei familiari generalmente numerosi, residenti più di frequente nei piccoli centri del Nord-Ovest, con responsabile d’acquisto over 45 e profilo socio-economico non elevato. Grandi consumatori di formaggi in genere che, nonostante il rigore imposto dalla crisi, spendono più del doppio della media italiana (767 euro l’anno sui 360 di media) e fino al triplo quando si tratta di formaggi insigniti del riconoscimento comunitario. Nel complesso, come rivela l’analisi, le produzioni a marchio Dop del settore concentrano il 35% della spesa familiare in formaggi, con le tipologie a pasta dura che arrivano però a coprire il 93% del segmento. Dati che fanno respirare un moderato ottimismo, mitigato però da dinamiche contingenti difficili da ribaltare: innanzitutto la quasi impossibilità per le piccole produzioni di raggiungere gli scaffali della grande distribuzione, quindi la difficoltà nel far passare i giusti messaggi in termini di materie prime, come ricorda il nutrizionista del piccolo schermo, Giorgio Calabrese: “non basta mangiare uno yogurt o un formaggio qualsiasi per assumere le sostanze funzionali al nostro organismo: se nel processo produttivo sono stati utilizzati latte in polvere o caseine il valore nutrizionale sarà diverso rispetto a quello di un prodotto di qualità e su questo punto noi nutrizionisti dobbiamo essere chiari”. Ed è proprio quando si vanno ad analizzare i dati relativi alle vendite dei formaggi Dop che arriva l’unica nota stonata: è quella relativa alla flessione dei volumi acquistati, pari all’1,4% nel primo semestre 2011 sul 2010, a fronte di un -0,2% rilevato per l’intero aggregato dei formaggi. La spesa ha continuato però a crescere, per effetto di un generalizzato aumento dei prezzi, con il comparto Dop che ha messo a segno un più 1,5% e i formaggi in generale cresciuti dell’1,2%.
Tra quelli che esprimono i maggiori volumi di consumo (Grana padano, Parmigiano reggiano, Gorgonzola, Pecorino romano, Mozzarella di bufala campana), e che da soli rappresentano oltre il 90% del mercato finale, solo il Gorgonzola e il Pecorino hanno chiuso il primo semestre con un dato positivo degli acquisti in volume, stazionari invece per il Grana padano. C’è anche da rilevare, in contrapposizione con la generale stagnazione del mercato domestico, un positivo andamento delle esportazioni. Nell’intera annata 2010 - spiega l’Ismea - le vendite oltre frontiera di formaggi Dop sono infatti cresciute del 16%, portandosi oltre 1,1 miliardi di euro, confermando un trend positivo che in 5 anni ha raddoppiato il giro d’affari all’estero. Relativamente alla produzione certificata, gli ultimi aggiornamenti dell’Osservatorio Ismea - Ministero delle Politiche agricole Alimentari e Forestali sui prodotti Dop e Igp indicano, nel 2010, un quantitativo di 450.000 tonnellate - pari al 40% della produzione nazionale del settore - per un fatturato all’origine stimato dall’Istituto in oltre 3 miliardi di euro, che al consumo arriva a sfiorare i 5 miliardi. Cifre che collocano il Belpaese in testa alla graduatoria Ue, davanti anche alla Francia che vanta, però, il numero più elevato di formaggi tutelati dal marchio comunitario.

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