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L’INTERVENTO - GIAMPIETRO COMOLLI, ECONOMISTA DEL VINO: “BRINDO CON BOLLICINE MADE IN ITALY!”

Sul “New York Times”, che ospita il blog di Frank Bruni www.dinersjournal.blogs.nytimes.com, uno dei critici enogastronomici più influenti della metropoli americana, leggo: “… and Italy - as a country, as a idea, as a shorthand for good living - has a mythic shimmer that most other countries don’t. People elsewhere want to bite into it, taste it. Literally” e, in sintesi, dice che il nostro Paese è l’unico che gli stranieri vorrebbero mordicchiare perché è un mito per la buona vita. Credo che non esista slang migliore.
In questa ottica, la decisione del Ministro Zaia non è stata solo apprezzabile e una presa di posizione tecnica, ma segna una nuova strategia, un nuovo modo di promuovere i nostri prodotti che non hanno nulla da invidiare ad altri vini spumeggianti. Una pietra miliare che sancisce un cambio di rotta. Per la prima volta, un uomo di Governo, in prima persona e in modo pragmatico e chiaro, senza se e senza ma, ha preso le parti della qualità nazionale espressa da una tipologia merceologica, con lo slogan semplice e diretto “brindo italiano”. Frase sicuramente perfetta per le feste di fine anno. In ogni caso una scelta forte, per paradosso, paragonabile a quello che avviene, in Francia, da quasi 290 anni, quando i Re andavano a farsi incoronare a Reims, capitale dello Champagne, e oggi, appena eletto, si reca prontamente il Presidente della Repubblica francese.
Una presa di posizione ed una scelta forte di immagine collettiva che ha sicuramente contribuito al successo nazionale di tutte le tipologie di spumanti. Per anni restati ai margini, relegati a figure comprimarie di qualche bottiglia inserita nei cesti natalizi, qualche omaggio aziendale, qualche regalia su ordini più importanti, una etichetta fatta produrre per conto terzi … Una condizione che, fino alla fine degli anni ’80, è stata di retroguardia, in un limbo di designazione, di presentazione al consumatore, di definizione normativa, una gamma generica. Solo da qualche lustro emersa al rango di simbolo di una qualità, di un gusto e di una capacità imprenditoriale tutta italiana con esempi importanti come il Franciacorta, il Trento Doc, il Conegliano Valddobbiadene Doc e l’Asti in testa, fra le tante altre. Troppe? Un caso a parte merita il Prosecco per la sua penetrazione sul mercato nazionale ed estero: sicuramente un nome facile, accattivante, preciso e … italiano di nascita.
In 12 anni è quasi raddoppiato il consumo di bollicine italiane: sono 278 le denominazioni d’origine (Dop, cioè Docg e Doc) che possono produrre un vino spumante, un numero assai ampio rispetto a tutti gli altri paesi del mondo, e che in molti casi sono prodotte in numeri limitati, localistiche. Occorre assolutamente puntare ogni sforzo legislativo, comunicativo, di conoscenza e immagine perché siano sottolineate le differenze, senza perdersi in classifiche e senza puntare al metodo produttivo. Tecnicamente importante e significativo, ma molto importante solo per il mondo produttivo: al consumatore interessa la qualità, la soddisfazione di un proprio gusto-obiettivo, vuole sapere dove sono le vigne e dove e chi lo produce, vuole visitare le cantine per capire il valore del prodotto, per confrontarlo con altri, per conoscere gli uomini che lo producono. Curiosità intelligenti, da soddisfare che motivano un prezzo, una denominazione, una cura e una creatività enologica. Tutti fattori che non possono essere espressi da un solo nome, singolare o plurale, che ha solo il compito di definire il mercantile, la merceologia e gli aspetti giuridici. Non si vende la burocrazia e i vini per legge.
Sicuramente il successo mondiale delle nostre bollicine è dovuto anche ad una proposta forte di prodotti in grado di soddisfare in questo momento culture alimentari, gusti personale e abbinamenti a tavola assai differenti, disponibilità economiche più limitate e la attenzione creata intorno al “made in Italy” accessibile.
La legale definizione merceologica non deve prevaricare il valore, l’identità, le peculiarità che derivano da un nome forte e chiaro come una Docg o Doc. Già nel 1991 sottolineai queste esigenze con la costituzione di un Osservatorio dei mercati e, con la richiesta al ministro Goria, di dare spazio e vita alle bollicine italiane nella Legge 164.
Il termine “spumante”, al singolare, non esprime nulla, è solo un sostantivo merceologico, usato al plurale indica una gamma mercuriale di prodotti per legge, certamente non rappresenta singole denominazioni, origine, territori e men che meno è manifestazione di una qualità. Hanno ragione al 100% sia Maurizio Zanella, presidente del Consorzio del Franciacorta, che Paolo Ricagno, presidente del Consorzio dell’Asti, che hanno espresso concetti di riferimento fondamentali.
“Il” Franciacorta è l’espressione di una identità/valore e territorio-prodotto che, oltre ad essere il percorso condiviso da una collettività di aziende, è diventato, come Consorzio, un esempio per tantissime altre zone produttive, anche come gestione e cura della Docg, delle fascette, del logo-marchio, della strategia chiara e semplice.
L’Asti Docg è giustamente considerato l’unico vino dolce con le bollicine per origine e per uve al mondo che non deve essere commercialmente sfruttato, non deve essere succube di nomi generici, non può eludere la forza di un ampio territorio, il sistema e il metodo interprofessionale che ha realizzato e espresso, che salvaguarda imprese viticole e che deve essere un faro anche per altri territori vitivinicoli al fine di governare i prossimi anni difficili. Soprattutto alla luce della nuova Legge 164 in discussione, i Consorzi (di tutela ? e/o promozione?) devono assumere un nuovo ruolo, non avendo più la gestione dei controlli. Perché non avere il coraggio di rendere il modello dei Comitati Interprofessionali vincolanti per la nascita di una Dop e quindi obbligare la partecipazione degli aventi diritto per non creare nuovamente figli e figliastri?
Accordi interprofessionali di filiera e filiera corta sono oggi temi assolutamente urgenti e prioritari: parlare di Dop nel vino senza una governance del sistema interprofessionale vuol dire non affrontare e tentare di risolvere il vero problema del mercato produttivo, e di conseguenza, giustamente, della vigilanza dei prezzi e della qualità certificata al consumo, al fine di essere Comitati per il mondo produttivo e per il mondo dei consumi. Applichiamo un sistema di autodeterminazione produttiva, di semplificazione burocratica, di controlli a terzi, di certificazione diretta e, in una fase successiva a quella propedeutica, di una svolta chiara con un forte impegno e investimento comunicazionale verso il consumatore. Quello nazionale necessita informazioni dettagliate di riferimento, di referenza e di marca, mentre il consumatore internazionale chiede semplificazione e un messaggio unico, forte e chiaro: ottimo “ brindo italiano” o “aperitivo italiano”.
Giampietro Comolli - Economista del vino

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