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L’INTERVENTO - SCIENZA (UNIVERSITÀ DI MILANO): “IL RUOLO DELLA COOPERAZIONE NELL’INNOVAZIONE VITIVINICOLA IN ITALIA”. IL PUNTO SUL FUTURO DELLE “SOCIALI” ... L’OCCASIONE? LE “NOZZE D’ORO” DELLA CANTINA DI PITIGLIANO, CITTÀ DELLE “CAVE” SOTTERRANEE

Italia
Attilio Scienza

Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo l’intervento sul ruolo, le opportunità e le prospettive che, ancora oggi, sono in grado di offrire le cooperative vitivinicole del professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano, tenuto per le “nozze d’oro” della Cantina di Pitigliano, realtà economica importante (521 soci nel 2007 e volano per il rilancio di bacino che sentiva il bisogno di nuovi stimoli socio-economici, ma anche culturali) per la città toscana delle cantine sotterranee …

Nel designare la qualità di un vino, in Italia contrariamente alla Francia, non si è mai fatta la distinzione tra la qualità innata e quella conferita. La qualità innata è quella che nasce dal vigneto, dall’interazione del vitigno con le condizioni pedoclimatiche e colturali, mentre quella conferita è il risultato della tecnologia enologica.
Perché è importante tenere distinte queste due componenti della qualità? Perché è necessario adottare strategie di ricerca, di valorizzazione, di difesa e di comunicazione diverse.
Nel recente passato abbiamo creduto che fosse sufficiente avere una cantina attrezzata e moderna per supplire alle carenze compositive dell’uva: la nostra era un’enologia di correzione non di valorizzazione.
Ci siamo però accorti che malgrado tutte le applicazioni dell’innovazione enologica, la qualità dei nostri vini non migliorava, anzi diventavano sempre più simili tra loro, banali, senza carattere.
Si è allora compreso che bisognava tornare al vigneto se si voleva ridare tipicità al vino, riconoscibilità.
Tornare al vigneto vuol dire prima di tutto capire quali sono le sue potenzialità qualitative che sono insite nel suolo: la qualità del vino è davvero sotto i nostri piedi! Naturalmente alla fase conoscitiva che ci dà la misura del ruolo delle risorse naturali, deve seguire una fase di ottimizzazione del rapporto tra ambiente e vitigno dove cerchiamo di limitare gli errori fatti nel passato nella coltivazione dei vigneti, in virtù di una viticoltura che puntava sulla quantità e non sulla qualità, cercando di modificare i sesti di impianto, le scelte genetiche (portinnesti e cloni), la gestione del suolo e della chioma.
Per poter fare questo oggi si dispone di una tecnica ormai collaudata in decine di esperienze condotte nell’ultimo trentennio in molte zone viticole italiane, chiamata zonazione viticola.
Con questo strumento di conoscenza è così possibile intervenire sulla qualità dell’uva e quella della trasformazione con approcci diversi e finalmente integrati.
Naturalmente i committenti di una zonazione possono essere soggetti diversi come una Regione, una Provincia, i Consorzi o addirittura le singole aziende, ma i migliori risultati si ottengono, e la Cantina di La Vis (una delle migliori realtà italiane, ndr) ne è la testimonianza più concreta, se la zonazione viene realizzata in un territorio controllato dai soci di una Cantina sociale.
E’ stato dimostrato infatti che le maggiori ricadute sulla qualità del vino, si realizzano se alla fase di studio dell’interazione e successiva ottimizzazione, segue un progetto di coinvolgimento dei soci nell’accoglimento dell’innovazione scaturita dalla ricerca e di comunicazione dei risultati al consumatore.
Questo impone che nella zonazione vengano coinvolte numerose professionalità, dal pedologo all’agronomo, dall’enologo all’uomo di marketing.
Siamo alle soglie di grandi cambiamenti, sia nella normativa che regola le Denominazioni per effetto dell’Ocm, sia nei gusti del consumatore e nel mercato del vino. La produzione deve adeguarsi a queste nuove esigenze, da un lato difendendo la tradizionalità dei vini, ma dall’altro proponendo nuove tipologie di vino per un mercato che dà poco valore al nome dei luoghi di origine e che ricorda invece molto bene una decina di varietà.
La differenza la farà quella zona di produzione che riuscirà a legare il suo vino alla storia, alla cultura, alla gastronomia, perché solo questi aspetti del tempo libero e dell’evasione, faranno la differenza nei confronti delle viticolture aggressive e industrializzate del Nuovo Mondo.
Attilio Scienza

L’esempio virtuoso - L’esperienza innovativa della cooperazione vitivinicola in Trentino
(la comunicazione è di Fausto Peratorner, amministratore delegato Cantina La Vis)

Il direttore generale della Cantina La Vis e Val di Cembra Fausto Peratoner ha illustrato le strategie di crescita di una cantina dalla visione socio-imprenditoriale “illuminata”, che ha saputo negli anni calibrare le decisioni strategiche, da un lato consolidando la cantina, dall’altro migliorando costantemente il valore dei vini, nel rapporto qualità-prezzo più che competitivo. Il tutto, avendo come punto di riferimento il territorio (Trentino, ndr), da un punto di vista economico, sociale, culturale.
Il settore vitivinicolo - Le superfici e le produzioni
- La coltivazione della vite in Provincia di Trento si estende su 9.845 ettari, situati in 104 dei 223 Comuni; le superfici vitate risultano dislocate per il 39% nel fondovalle, per il 41% in collina e per il 20% in montagna.
- I vitigni a frutto bianco rappresentano più del 60%. Il Trentino si riconferma quale terra particolarmente vocata alla coltivazione di uve bianche.
- Nelle situazioni altimetriche variano dai 70 metri slm del fondovalle nelle vicinanza di Riva del Garda, fino agli oltre 900 metri slm della Valle di Cembra.
- La produzione di uve in Provincia di Trento, negli ultimi venti anni, risulta stabile intorno ad 1 milione di quintali (1,6% della produzione nazionale).
La cooperazione nel settore vitivinicolo
Sono, in particolare le 12 cantine sociali a svolgere un ruolo di primaria importanza trasformando circa l’83% della produzione. Dieci delle quali riunite in un Consorzio di secondo grado (Cavit).
La qualità delle produzioni vitivinicole
Si stima che il 95% della produzione vitivinicola trentina è ottenuta seguendo i principi della produzione integrata. L’88% della superficie vitata è iscritto agli Albi dei Vigneti alla Doc; il 12% Igt. Un record questo che poche altre regioni italiane possono eguagliare.

La critica - Lo scrittore Andrea Zanfi: “L’aspetto del “sociale” delle cantine … è un po’ andato perduto …”
Lo scrtittore Andrea Zanfi ha rimarcato, nel convegno, come parte del senso delle realtà cooperative sia in parte andato perduto. L’aspetto del “sociale” (che, nel significato più profondo, significa “alleato”) è un po’ andato perduto, con tante, troppe cantine sociali (appunto) che invece che dedicarsi alla mutua assistenza, sia pure riveduta in chiave moderna, sono prone al profitto come fossero società private, oppure sono dedite a raccogliere contributi senza nessun reale beneficio né per i soci né per il territorio. Ecco che allora è necessario recuperare l’intima essenza del concetto di cooperativa; è chiaro che non si può più prescindere dal concetto di profitto, ma a patto che questo non sia un mero strumento di arricchimento individuale, bensì una leva attraverso cui operare reinvestimenti, arricchire culturalmente e socialmente (oltre che economicamente) un territorio, rafforzarne - in sinergia con altri settori (a partire dal turismo) - l’immagine, aiutare la collettività più o meno legata alla cooperativa, e così via …

Tra storia e curiosità - La cantine sotterranee di Pitigliano
Sotto l’abitato visibile di Pitigliano, si nasconde un’altra città invisibile, sotterranea, meravigliosamente suggestiva.
E’ fatta di grotte, colombari, cunicoli, ma soprattutto di cantine, dove si conservavano i vini. La cantina pitiglianese è di solito costituita da un “cellaro” o linaio e da una profonda gola scavata nel tufo, che si conclude nel bottaio, dove si tiene il vino in botti e damigiane. Vi era in esse tutto l’occorrente per vinificare: torchio, line, bigongi, vasi da vino, come le caratteristiche panate e rabbine in ceramica, prodotte in loco dai “cocciai” di Sorano.
Le cantine create dalla particolare abilità locale di scavare il tufo, hanno le forme più varie, perché sono anche la risultante di trasformazioni di vani preesistenti: stalle, tombe etrusche, antiche case rupestri. Spesso si svilupparono dai caratteristici pozzi da grano, dalla curiosa forma ovale, quando il vino assunse la prevalenza nell’economia di Pitigliano.
Quasi tutte le cantine hanno spiccati caratteri architettonici nelle forme ben squadrate del cellaro e del bottaio, nella volta rotonda della gola, nell’ingegnosa soluzione delle “mine”, strette gallerie per portare fuori l’acqua eventualmente infiltratasi. Non mancano talvolta pilastri con capitelli, mascheroni, nicchie decorate. Più rara è la gola con arco a sesto acuto, come nella vecchia cantina nel rione “la Fratta”, che era utilizzata dalla cantina cooperativa di Pitigliano per l’invecchiamento in botti di rovere dei vini “Gran Tosco” bianco e rosso, il cui nome evoca ricordi danteschi come indicato nel libro del Purgatorio, Canto XI, verso 58.

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