Lontani i tempi della Guerra Fredda, la Polonia di oggi è un mercato dal potenziale gigantesco, in cui la cultura del vino sta ancora muovendo i primi passi. Ci sono da scardinare abitudini assai radicate, che nel bicchiere si traducono in consumi ancorati a birra e Vodka, con il vino che negli ultimi 30 anni è stato prima uno status symbol per pochi, poi un’alternativa sempre più popolare, ma in declinazioni ben precise, all’insegna, come negli Stati Uniti di qualche decennio fa, della piacevolezza. E allora, come racconta a WineNews chi la Polonia la conosce bene, come Tessa Capponi Borawska, che nel 1983 ha lasciato il Chianti, dove la famiglia è proprietaria della storica griffe del Chianti Classico Villa Calcinaia, per stabilirsi a Varsavia, a guidare i vini italiani (che nel 2017 hanno toccato i 52,9 milioni di euro di esportazioni in Polonia, ndr) sono le produzioni del Meridione, su tutte il Primitivo di Manduria, come conferma il mondo della ristorazione, da Adam Vigh, che nel Centro di Varsavia ha due ristoranti ad alta vocazione italiana, specie in carta, il Maka i Woda ed il Supperlardo, a Lucjan Bartek, alla guida del Chianti, tra i migliori ristoranti italiani della città (presto le interviste su WineNews.tv).
Strada da fare, come detto, ce n’è, per questo, come spiega Marina Nedic, alla guida di Iem, a Varsavia per la seconda tappa del “Simply Italian Great Wines” Eastern Europe, “la Polonia è un mercato che continuiamo a presidiare con grande attenzione. È un Paese in crescita, e lo dimostra l’accoglienza riservata ai nostri produttori, accompagnata da sempre più curiosità e conoscenza, anche se a piccoli passi. C’è tanto lavoro da fare, ma l’interesse per seminari e degustazioni è grande, così come la curiosità per i vini che portiamo qui, principalmente da Veneto, Piemonte e Toscana. In realtà - aggiunge Marina Nedic - ci sarebbe spazio per tante altre Regioni, anche perché è un mercato vicino, interessato all’Italia ed ai nostri vini, visitabile facilmente in pochi giorni, per cui piuttosto che disperdere risorse, specie per alcune tipologie di aziende, su mercati lontani e difficili, forse è meglio puntare su un Paese come la Polonia”.
A ripercorrere la storia e le fortune recenti del vino in Polonia è Tessa Capponi Borawska, che ricorda come, “quando arrivai qui, nel 1983, si trovavano vini assolutamente imbevibili, importati da Bulgaria e Ungheria, da dove arrivava di tanto in tanto qualche bottiglia di Egri Bikavér, già sopra la media. Culturalmente, la Polonia è un Paese legato al consumo di birra e Vodka, come superalcolico principe consumato anche a tavola, ma dopo il 1989 (e quindi dopo la caduta del Muro di Berlino, ndr) il mercato è iniziato a cambiare, dapprima con i vini fake, bottiglie vendute come francesi ma che non si sa se fossero realmente francesi, al di là dell’etichetta evocativa di un qualche Château”.
E il vino italiano? “Arriva dopo - riprende Tessa Capponi Borawska - negli anni Novanta inoltrati, con le “2 B”, quelle di Barolo e Brunello, che hanno sempre fatto molta impressione, ma più per una questione di prestigio e di prezzo che non di apprezzamento reale del vino in sé, anche perché negli anni Novanta la cultura in termini di giornalismo e riviste specializzate era inesistente, quindi si andava al ristorante e si ordinava una bottiglia di Barolo o di Brunello giusto come status symbol. Poi, è arrivato il momento dei vini sudamericani, i Malbec argentini e i vini cileni, barricati e dolci. Una dinamica che si riflette anche sui vini italiani: piacciono i vini pieni, quelli prodotti nel Meridione, come il Primitivo, che qui si vende come l’acqua, è apprezzatissimo proprio per il suo carattere “piacione”. Io provengo da una famiglia di produttori di Chianti Classico, che ha sempre avuto delle difficoltà - ricorda la giornalista ed opinion leader - perché considerato in fondo troppo aspro, troppo tanninico, non piacevole al palato, ma ci sono stati e ci sono ancora dei pionieri, qui in Polonia, che cercano di educare il pubblico al vino italiano che hanno scritto delle cose straordinarie, come lo scrittore Marek Bieńczyk, che hanno portato avanti un discorso educativo estremamente importante”.
A fare la differenza, secondo Tessa Capponi, “è stato il cambio generazionale: i giovani hanno cominciato a viaggiare e ad apprezzare il prodotto degustato in loco, di conseguenza anche il vino, imparando a capire che per comprendere fino in fondo il vino bisogna assaporarlo dove viene prodotto, nella sua terra. Il deciso aumento del turismo, in questo senso, che non è un turismo di massa ma slow, ha dato i suoi frutti. La gente, inoltre, inizia a capire che il vino non è solamente una questione di prestigio, di mettere in mostra la grande etichetta: sta passando, per fortuna, la moda del vino da conversazione e si arriva a capire che il vino ha un senso se bevuto a tavola, che l’abbinamento tra buon cibo e buon vino è essenziale. Un’altra cosa interessante - aggiunge Tessa Capponi Borawska - è che dagli inizia degli anni Duemila la viticoltura ha iniziato a muovere i primi passi anche in Polonia, con una produzione concentrata soprattutto nella zona della Slesia, ma anche più a nord, al confine con la Germania. L’unico problema del vino polacco, che sta facendo strada, è che non c’è un rapporto tra qualità e prezzo: con l’equivalente di 20 euro che costa in media una bottiglia di vino polacco, buono ma non eccezionale, come consumatore ci penso due volte. Quello che dobbiamo fare, adesso, è far capire alle persone l’importanza del vino come prodotto culturale, anche perché gli stessi giovani, se da un lato viaggiano e vedono di più, dall’altro quando tornano a casa tornano a birra e Vodka, che allontanano i consumatori dal discorso sul vino ed il cibo”.
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