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LA FILIERA ORTOFRUTTICOLA HA BISOGNO DI UNA “DECISA INVERSIONE DI ROTTA”, NELLA DIREZIONE DI UNA MIGLIORE ORGANIZZAZIONE ED AGGREGAZIONE: PER LA CIA E’ IL NODO PRINCIPALE DA SCIOGLIERE. FOCUS - IN UN SECOLO PERSO IL 75% DELLE VARIETA’ DI FRUTTA

Non Solo Vino
Ortofrutta che vale 14 miliardi di euro in Italia

Serve una ”decisa inversione di rotta” nell’organizzazione della filiera dell’ortofrutta italiana, un settore eccessivamente frammentato, ma che vale 14 miliardi di euro l’anno, pari ad un terzo della produzione lorda vendibile (Plv) agricola italiana. Eppure, nonostante le cifre da primato, il comparto è fermo se paragonato alla produzione mondiale, cresciuta del 24% negli ultimi dieci anni. Lo dice la Cia - Confederazione Italiana Agricoltori, al forum dedicato al settore ortofrutticolo andato in scena a Napoli.

Oggi la produzione ortofrutticola italiana si estende su 880.000 ettari, e coinvolge 460.000 imprese agricole, ma solo il 30% ha dimensioni superiori a 5 ettari, pur rappresentando il 73% della superficie complessiva dedicata a questo tipo di produzione. Una situazione che - secondo la Cia - va necessariamente superata, anche perché la quota di ortofrutta organizzata rappresenta appena il 35% del totale, nonostante l’Organizzazione Comune del mercato unica (Ocm) preveda aiuti incentrati sulla costituzione e gestione delle organizzazioni dei produttori. Il problema organizzativo, quindi, rappresenta uno dei nodi principali da sciogliere, facendo i conti con questioni strutturali, sociali ed economiche che, legate anche a comportamenti anacronistici, non fanno decollare l’aggregazione dell’offerta. La costituzione di organizzazioni di produttori, in grado di aggregare il prodotto, pianificare strategie competitive e sviluppare efficaci relazioni interprofessionali, resta l’aspetto prioritario e il principale impegno politico e professionale della Cia, anche con il supporto del coordinamento Agrinsieme, proprio con l’obiettivo di sostenere gli agricoltori nell’aggregazione dell’offerta, consentire una maggiore competitività sul mercato e favorire tutte le relazioni di filiera.

Focus - Tra il 1900 e il 2000 in Italia perse il 75% delle varietà di frutta

Nell’ultimo secolo, in Italia, sono andate perdute il 75% delle varietà di alcune specie di frutta, anche la vite da vino si è “impoverita”. E entro il 2055, a causa del cambiamento climatico, scompariranno tra il 16 e il 22% dei parenti selvatici di colture importanti come arachidi, patate e fagioli. A lanciare l’allarme è l’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, sui dati degli studi della Fao, che sottolinea l’importanza di tutelare la frutta e i prodotti agricoli della nostra storia, per salvaguardare la cultura italiana e al tempo stesso venire incontro all’esigenza, sempre più sentita, di mangiare cibi sani, privi di alterazioni e veleni.

Secondo la Fao, infatti, tra il 1900 e il 2000 in Italia è andato perduto il 75% della diversità delle colture. Alcune specie di frutta come albicocco, ciliegio, pesco, pero, mandorlo e susino hanno registrato una perdita, con punte massime per albicocco e pero, dal tasso di sopravvivenza varietale di appena il 12%. Nel solo Sud Italia, tra il 1950 e il 1983, è stato riscontrato che delle 103 varietà locali mappate nel primo sopralluogo, solo 28 erano ancora coltivate poco più di trent’anni dopo. Perfino la vite da vino si è “impoverita” nell’ultimo secolo: dalla ricostituzione dei vigneti dopo la diffusione della fillossera avvenuta a fine Ottocento, il numero dei vitigni, coltivati all’epoca in alcune migliaia (400 nella sola provincia di Torino), è sceso nel 2000 a circa 350, di cui 10 soltanto occupano il 45% della superficie vitata italiana. Inoltre, l’organizzazione delle Nazioni Unite prevede che entro il 2055, a causa del cambiamento climatico, scompariranno tra il 16 e il 22% dei parenti selvatici per colture importanti come arachidi, patate e fagioli.

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