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La filiera per un cibo “giusto” per chi lo consuma e chi lo produce passa dalla legalità, che si costruisce con cambiamenti normativi e culturali. Da “Terra Madre Salone del Gusto” Don Ciotti di “Libera” e l’ex procuratore Gian Carlo Caselli

Non Solo Vino
Gian Carlo Caselli Tiziana De Masi Don Luigi Ciotti e Gaetano Pascale a Terra Madre Salone del Gusto 2016

“Parlare di cibo e acqua è parlare dei diritti delle persone, togliere cibo e acqua è come togliere aria, e questo sta succedendo, dobbiamo affermare che i diritti delle persone arrivano prima dei profitti delle aziende, e lo scopo di “Terra Madre Salone del Gusto” (Torino, 22-26 settembre, www.salonedelgusto.com) è quello di far emergere i cibi che portano questi messaggi, e chi li produce nel mondo”. Così Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, sul palco del congresso “Sapori Fuori Legge”, insieme al fondatore di “Libera” Don Luigi Ciotti, che oggi con “Libera Terra” gestisce molti terreni confiscati alle mafie, e all’ex procuratore di Torino Gian Carlo Caselli (che guida il Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Criminalità nell’Agricoltura e sul Sistema Agroalimentare e la Commissione sui Reati Agroalimentarei voluta dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando). Che affermano con forza come il tema della legalità nella filiera agroalimentare sia fondamentale, concreto e reale per un cibo davvero giusto. E questo passa anche da un nuovo sistema legislativo pronto per essere discusso, in Italia, ma che, al di là di apprezzamenti e proclami, è ancora in un cassetto. Eppure, è necessario agire, per tanti motivi.
“Il 63% delle sementi del mondo sono in mano a tre colossi, che detengono anche il 70% del mercato dei pesticidi: è un sistema criminale”, dice Don Ciotti, che aggiunge: “per un cibo davvero “giusto” serve un cambiamento culturale. Bene, in questo senso, le iniziative di educazione nelle scuole, perchè è qualcosa che deve partire dai bambini. Bene anche la legge contro lo spreco alimentare che l’Italia, dopo la Francia, è il secondo Paese ad introdurre, anche se a differenza dei francesi che puntano sulle sanzioni, noi abbiamo puntato sugli incentivi per chi mette atto buone pratiche. Sono cose fondamentali, anche queste, per un cibo giusto, e per riconoscere dignità ai contadini di tutto il mondo”.
Come fanno Libera e realtà che ad essa sono legate ed ispirate, come “il gruppo Abele, con cui siamo attivi in Africa e in Messico”, dice ancora Don Ciotti. Con Libera che, sottolinea Pascale, “è diventato anche un modello di sviluppo etico, non solo di gestione dei terreni confiscati”.
“Non tutti i beni sono restituibili alla collettività, si fa quando è possibile - spiega Don Ciotti - e se sono terreni agricoli, bisogna farli coltivare, con il “buono pulito e giusto”. Oggi ci sono progetti migliorativi della legge che consente questo, per dare a tutti gli strumenti per farlo. Le cooperative di Libera ce le siamo inventante, abbiamo fatto l’elemosina per farle partire, all’inizio, ma serve un sistema che preveda l’accesso ai fondi per chi vuole impegnarsi, dobbiamo fare un balzo in avanti.
Abbiamo scelto il biologico e la cooperazione, oggi “Libera” non gestisce, promuove. Ha fatto formazione in territori difficilissimi, nelle scuole. All’inizio non ne importava niente a nessuno dei beni confiscati, oggi su questo tema si sono scaldati tutti.
I mafiosi ridevano, “tanto finirà”, dicevano, ma quando hanno toccato con mano giovani che con bando pubblico lavorano, aprono agriturismi con grandi prodotti, in tutta Italia, Puglia, Campania, Lazio, Piemonte, Calabria, per loro è lo schiaffo più grandi. Ma ancora oggi, ogni giorno, lottiamo contro delle corazzate che vogliono distruggere tutto questo, aggiunge Don Ciotti, che racconta: “quando è nata la prima cooperativa a Corleone è stata una grande festa, si concretizzava il sogno che il grano biologico, coltivato nei terreni confiscati ai Riina, ai Brusca, diventasse buona pasta. Con prefettura, sindacati e magistratura avevamo scelto un laboratorio bellissimo, con gente meravigliosa. Abbiamo fatto la prima pasta. Poi un anno dopo siamo dovuti andare via, perchè c’era più lavoro, abbiamo cercato un altro posto ma non è stato possibile perchè “Cosa Nostra” di fatto lo ha impedito. Ci siamo spostati da un’altra parte, con il sogno di ritornarci. Ma un camion carico di quel grano è caduto da un viadotto. Penso a terreni dove avevamo messo i ceci: nella notte dei camion hanno scaricato un centinaio di pecore che hanno mangiato tutto. Per non parlare di incendi e così via. Ma non ci siamo fermati, e non ci fermiamo. Dobbiamo lavorare contro la burocrazia, contro interessi deviati, per sostenere questi ragazzi, per spingere la politica a migliorare le leggi, perchè la terra va restituita alle persone. Il credo della terra di Papa Francesco è giusto, perchè quelle terre “credono”, hanno valori. E dobbiamo guardare anche al futuro, pensando che tra 30 anni mancherà l’acqua per molta gente, nel mondo, ed in questo senso Europa e Asia sono le aree più a rischio. L’acqua è un grande tema di riflessione che non possiamo dimenticare e non fare nostro. Perchè anche lì le mafie stanno lavorando e ci stanno rimettendo le mani sopra, magari a partire dai piccoli centri”.
Tutto, ovviamente, passa anche dall’intervento normativo che tutela la legalità, come ha spiegato Caselli: “le cooperative di “Libera” sono la testimonianza concreta che l’agricoltura sta assumendo un carattere multifunzionale, perché non produce solo beni, ma anche servizi, con una funzione sociale, e di tutela ambiente contro cemento, rifiuti irregolari, con la ricerca di una agricoltura di prossimità rispetto ai cittadini, filiere corte, prodotti veramente biologici. Detto questo, dobbiamo riflettere anche sul tema dell’abuso delle parole, come “Legalità”, che se non si sostanzia diventa vuota, logora. E allora agganciamola a cifre concrete: ogni anno evasione, corruzione e mafia ci costano 330 miliardi di euro, una montagna di ricchezza e di risorse che l’illegalità porta via e rapina, ed è tutta la comunità che patisce questo furto. È evidente che legalità e giustizia sono legate, ogni recupero di legalità è concreto, è recupero di reddito, ed è il percorso per una migliore distribuzione delle risorse e di giustizia. Non è solo un tema astratto, la legalità. E in questo senso - aggiunge Caselli - va sottolineato che la normativa agroalimentare italiana è vecchia, è una “groviera”, piena di buchi, per usare una metafora alimentare. Ragionando per assurdo, è criminogena, perché i costi-benefici sono evidentemente a favore del crimine, le pene sono minime, i rischi quasi zero. Ecco allora la necessità di una normativa nuova, alla quale io, come presidente del comitato scientifico preposto a prepararla, ho lavorato. Ad ottobre 2015 abbiamo presentato un progetto su 49 articoli, il Ministro delle Politiche Agricole lo ha apprezzato, lo condivide, vuole fare un disegno di legge, ma ad ora è rimasto nel cassetto. Speriamo che esca presto, è importante, come lo è che ci sia una mobilitazione dei consumatori, di Slow Food, perchè si vada avanti”.
Il fulcro di questa nuova normativa è “sanzionare chi froda soprattutto il cittadino consumatore, valorizzando e tutelando elementi come la provenienza ed l’identità del cibo, fondamentali per scelte responsabili. Il progetto vorrebbe creare un nuovo diritto penale agroalimentare “scalare”, cioè calibrato sul diverso valore delle condotte illegali, secondo maggiore o minore gravità; “bifronte”, attento non solo alla lesione dei beni tutelati, ma anche ai rischi che le condotte irregolari possono far correre, anche se non ci sono lesioni; e “coraggioso”, perché rompe tutti i sistemi che, di fatto, oggi “deresponsabilizzano” le persone giuridiche, che non si riescono mai a punire. Con un sistema sanzionatorio che preveda misure alternative come il ravvedimento operoso. E che sia funzionale alla vita quotidiana, che accompagni il consumatore dal campo allo scaffale alla tavola, garantendolo attraverso l’etichetta narrante, la più grande garanzia possibile, un’etichetta che dica la verità, che dica tutto su origine, ingredienti, metodi di produzione, e anche sistemi di distribuzione. Se si opera così, allora la legalità conviene sempre. Anche nell’agroalimentare: è la precondizione perché non sia per un cibo solamente buono, ma anche sano e giusto, che garantisca sicurezza alimentare e libertà commerciale, concepito come bene comune, che circola per distintività qualità e sicurezza, non solo come merce, per quantità e profitto. È tutto collegato, anche il tema della fame nel mondo perchè, come dice Papa Francesco, non c’è un problema di quantità: un terzo del cibo prodotto va sprecato, e con una distribuzione più equa sarebbe sufficiente alla grande per risolvere problemi di chi patisce fame nel mondo”.
Insomma, sul fronte della “giustizia” sulla filiera del cibo serve un cambiamento profondo, concreto, non solo normativo, ma anche culturale, che richiede, sintetizza Pascale, “l’impegno di chi fa la spesa”.
“L’educazione a questi valori, anche legati al cibo, deve partire dall’infanzia, con percorsi seri, strutturati, che diano conoscenza e responsabilità. La lotta alla mafia - chiude Don Ciotti - è un problema di legalità e civiltà. Se è da secoli che parliamo di mafia, è perchè non solo un problema di organizzazione criminale, per quello sarebbe bastata la magistratura. È un problema culturale, le mafie non sono figlie della povertà e dell’arretratezza, ma la povertà le fa prosperare. Natura e cultura sono facce della stessa medaglia che si chiama vita. Dobbiamo pensare che nel mondo ogni anno ci sono 6 milioni di bambini sotto i 5 anni morti di fame, di sete, e perchè non hanno accesso alle malattie. Si parla di 800 bambini all’ora. In Italia, l’Istat dice che 4,5 milioni di italiani vivono in povertà assoluta. la crisi ha creato tante fragilità, smarrimenti, sofferenze di cui non possiamo non tenere conto. Non basta commuoversi, bisogna muoverci un po’ di più, tutti”.

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