Presa da sempre come esempio di unità nel gestire la filiera del vino, la Francia sembra accusare in maniera pesante una “tempesta perfetta” dal punto di vista economico, imposta dai dazi Usa prima e dalla pandemia poi, che ha colpito prima di tutti uno dei mercati fondamentali dei grandi vini francesi, come la Cina. E così, con non poche tensioni, nei grandi territori dell’Esagono si fanno i conti, si discute di tagli delle rese per la vendemmia in vista (come hanno già deliberato molti dei più importanti Consorzi del vino d’Italia, ndr), anche con rotture forti, come nella Champagne, mentre a Bordeaux si valuta addirittura se estirpare o meno fino a 10.000 ettari di vigneto per riequilibrare il mercato. Proprio nella Gironda, riporta il sito Vitisphere, nei giorni scorsi, la Bordeaux Winegrowers Association ha sottoposto alla La Fédération des Grands Vins de Bordeaux la riduzione delle rese nell’ordine di un -10% sul 2019, in media, per le diverse denominazioni bordolesi, proposto anche l’introduzione di una riserva di vendemmia per i vini rossi. Tutto ancora in fase di discussione, così come è tornata di attualità l’idea, che guarda più al lungo termine, di espiantare tra gli 8.000 ed i 10.000 ettari di vigna dalla Gironda, selezionando quelli di minor pregio, per riequilibrare la produzione, visto che le scorte nelle cantine della più grande regione di Francia (110.000 ettari vitati) sono pari a 2 anni di vendite. Un piano, questo, di cui si era già discusso a fine 2019 (quando però si parlava di 5.000 ettari, con un rimborso ipotizzato di 5.000 euro per ogni ettaro espiantato), ma poi rimasto in sospeso proprio a causa dell’emergenza sanitaria.
Una strada che, se intrapresa dalla denominazione del vino più grande di Francia, potrebbe essere seguita anche da altri. Ma se nella Gironda si ragiona in maniera abbastanza organica, nella Champagne gli animi sono molto più tesi. Per il più celebre degli spumanti francesi, nei primi 4 mesi 2020, le vendite si sono dimezzate, e si teme che i dati di maggio e giugno 2020 siano anche peggiori, secondo il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, che sitma perdite, a fine anno, di 1,7 miliardi di euro. E se da subito si è ipotizzato di bloccare l’ingresso sul mercato di parte della prossima produzione addirittura fino al 2022, il tema centrale è la riduzione delle rese per la vendemmia 2020. Talmente divisivo che ha portato, proprio oggi, la Fédération des Vignerons Indépendants de Champagne ad uscire dal Syndicat Général des Vignerons, proprio per il disaccordo in materia. Il numero chiave è quello di 9.000 chili di uva per ettaro, sotto i quali, secondo i Vignerons Indépendants non si può assolutamente scendere per mantenere margini di profitto per i “recoltant manipulant”, ovvero coloro che producono Champagne solo da uve provenienti dai propri vigneti. Un tema cruciale in una filiera articolata come quella dello Champagne, dove la maggior parte delle grandi maison produce vini comprando gran parte delle uve. Un confronto muscolare, dunque, che verosimilmente, nonostante gli appelli all’unità lanciati dal Comitè Champagne, proseguirà fino al 22 luglio, data ultima per fissare le rese. Tra le grandi denominazioni di Francia, chi sembra guardare al futuro con maggior serenità è la Borgogna, dove l’impatto della crisi sembra essere meno forte che altrove: secondo il Bureau Interprofessionnel des Vins de Bourgogne la perdita in valore, da qui alla fine dell’anno, dovrebbe essere nell’ordine del -20%. Una perdita importante, ma non drammatica, vista la solidità finanziaria di gran parte delle cantine del territorio, al punto che il Civb ha deciso di confermare tutti i budget per lo sviluppo e la promozione del territorio, senza alcun taglio: “questo ci consentirà di mettere in campo azioni forte e dare al mondo il segnale di una Borgogna che è in salute. Se sarà necessario, se ci sarà una nuova crisi, rivedremo il bilancio in autunno” ha detto Louis-Fabrice Latour.
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