Una ristorazione italiana più a “misura d’uomo”, non solo per il cliente, l’ospite, che soprattutto nell’alta ristorazione ricerca più che mai qualità e “coccole”, ma anche, e molto più di prima, per chi nei ristoranti lavora: chef e personale di sala. In un’ottica diversa dell’organizzazione di un lavoro che ha quasi naturalmente ritmi elevatissimi, forse troppo, e che va in qualche modo ripensato. È e sarà soprattutto questo, il cambiamento nella ristorazione portato da una pandemia che ha messo in crisi il settore, squassato i conti, costretto alla chiusura molti, ma che ha anche dato a tanti quel tempo di riflettere e di ripensarsi che, nella normalità, spesso manca. E che, salvo nuove fermate che tutti speriamo di evitare, non appena è stato possibile è ripartita in pompa magna. Sono le riflessioni, raccolte da WineNews, alla guida “ Michelin Italia 2022”, la n. 67, presentata ieri in Franciacorta (“destination partner”, per i prossimi tre anni, “una grande occasione per il nostro territorio, che chiuderà un 2021 da record sui mercati”, ha detto il presidente del Consorzio del Franciacorta, Silvano Brescianini). Un’edizione da record, “con 378 ristoranti e 35 novità, di cui 33 nuove stelle e 2 nuove due stelle - il Krèsios di Telese Terme ed i Tre Olivi di Paestum, passato da zero a due stelle in un solo step - e con la metà di queste novità sotto i 35 anni, cosa che fa pensare ad un grande futuro”, ha detto, sempre a WineNews, il Direttore Comunicazione della Michelin Italia, Marco Do. Una guida che ha riconfermato tutti gli 11 tristellati (dal Mudec di Milano di Enrico Bartolini all’Uliassi a Senigallia di Mauro Uliassi, dal St. Hubertus di Norbert Niederkofler a San Cassiano, al Piazza Duomo di Alba di Enrico Crippa, dal Da Vittorio a Brusaporto dei fratelli Cerea, al Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio della famiglia Santini, dal Reale a Castel di Sangro di Niko Romito, all’Enoteca Pinchiorri a Firenze di Giorgio Pinchiorri e Annie Féolde, dall’Osteria Francescana di Modena di Massimo Bottura, a La Pergola del Rome Cavalieri di Heinz Beck, a Le Calandre di Rubano dei fratelli Alajmo). E sono stati proprio alcuni di loro, chef, pensatori, imprenditori e manager, a raccontarci il loro pensiero sul recente passato e sul futuro prossimo della ristorazione italiana.
“La pandemia ha insegnato ad essere più umani - ha detto Massimo Bottura - ad essere più vicini alla propria squadra e questo ci ha consentito di ripartire a gas spalancato appena ce ne è stata la possibilità. Ci ha insegnato a investire sul proprio ristorante e sulle proprie attività, e non su se stessi, perchè quando hai delle difficoltà puoi attingere a tutto ciò che hai investito, anche da un punto di vista economico. Ci ha insegnato ad essere solidi, a crescere lentamente senza fare passi troppo lunghi, mettendo radici ben profonde che non vengono spazzate via dalla prima tempesta. Il futuro? Parte dal viaggiare con occhi e orecchie aperte senza dimenticare chi siamo, lo vedo ancora di più oggi chattando con i miei ragazzi a Los Angeles o a Tokyo. Li sento costantemente, vedo i piatti, li correggo, ho una discussione seria su quello che può essere il futuro. Che in cucina è fatto di piatti che rappresentano l’amore per l’Italia dello chef, che sia Antonio di Napoli o Mattia di Bergamo, ma che siano la loro espressione, con un dialogo costante con le materie prime locali”.
“Sicuramente la pandemia ci ha fatto fermare, riflettere su tante, cose, studiare tanto. Noi al Piazza Duomo - ha aggiunto Enrico Crippa - abbiamo lavorato tanto sul territorio, sul Barolo, creando un menù dedicato a questo grande vino, quindi qualcosa di positivo l’abbiamo tirata fuori anche da questo brutto momento. C’è tanta voglia di tornare alla normalità, la clientela è stata bravissima a prendere il ritmo di prima, con tanta voglia e tanti sorrisi che ci erano mancati tantissimo. A volte ci lamentiamo che siamo sempre in azione, di corsa, ma quando ti rendi conto che tutto questo non c’è, manca un pezzo della propria vita. Il futuro me lo immagino come era prima, con anche nuovo personale da ingaggiare, visto che, in questo anno, abbiamo fatto un po’ fatica a trovare cuochi e camerieri. Mi piacerebbe tornare a come era prima, magari con qualcosa di migliore, riuscendo a ritagliare un po’ più tempo per noi stessi e per il nostro staff.
“Abbiamo imparato a fare un’analisi interna sulla struttura - sottolinea, invece, Enrico Bartolini (che si conferma lo chef più stellato d’Italia, con 9 stelle, tre con l’Enrico Bartolini al Mudec di Milano, due con il Glam di Venezia ed una a testa con la Trattoria Enrico Bartolini nella Tenuta La Badiola, del Gruppo Terra Moretti a Castiglione della Pescaia, con il Ristorante Casual di Bergamo, con la Locanda del Sant’Uffizio Enrico Bartolini a Cioccaro di Penango, e con la super consulenza al Poggio Rosso di Juan Camilo Quintero, a Castelnuovo Berardenga, ristorante gourmet di Borgo San Felice, il Relais & Chateaux, a cinque stelle, del gruppo Allianz) - e sulla capacità di reagire alle situazioni negative. Insieme alla solidarietà, quella umana, che abbiamo messo in pratica internamente alla squadra e più in generale. Ma abbiamo avuto anche il modo di misurare l’attaccamento degli ospiti, che non appena abbiamo riaperto sono stati straordinariamente vogliosi di coccolarsi, e quindi da maggio, con il sorriso, abbiamo ritrovato il piacere di fare il nostro mestiere. È un momento in cui la ripresa ci ha fatto pensare di voler essere un po’ più ascoltati, e forse è il momento che in Italia ci si unisca un po’ di più, tutti, per essere pronti a reagire quando ci sono le difficoltà. Avere un organo autorevole, rappresentante di tutta la categoria, non frazionato, ci aiuterebbe a dialogare meglio con le istituzioni, e raccontare anche al pubblico un messaggio coeso. Il futuro? Fino ad ora si è ridotto il numero di cose che si fanno, ma è aumentata la qualità. La tendenza è quella di portare più rispetto a noi stessi, ai collaboratori e ai clienti. Finchè i clienti apprezzano che si migliora la qualità, anche aumentando i prezzi se necessario - ma speriamo che non lo sia - e si migliora la qualità della vita delle persone che sono lì per rendere felici gli ospiti, andiamo incontro ad un cambiamento che sta avvenendo. Io - aggiunge Bartolini - ho iniziato nel 1993 a cucinare, tra scuola e alberghiera e lavoro, ho avuto un’educazione diversa al lavoro, dove il lavoro non era la fatica della giornata, ma era tutto finalizzato a tanti obiettivi, e tutto, anche il giorno di riposo, era concentrato sulla voglia di fare bene e tanto. Oggi c’è un rispetto della persona che è migliorato, ed è una cosa che apprezzo, voglio gestirla bene. Ed è importante che i nostri organi di controllo e le istituzioni ci insegnino a farlo meglio. Perchè noi possiamo prendere delle iniziative, che sono gradite ai nostri collaboratori e anche da raccontare, ma bisogna anche che il Governo ci aiuti ad impostare il lavoro in maniera migliore”.
“Abbiamo imparato a goderci la normalità - rilancia Chicco Cerea - ma è stato anche un momento di riflessione su quello che stavamo facendo e su quello che andremo a fare. Speriamo che la situazione regga, ma c’è un grande fermento, una grande voglia di fare, la gente è scatenata, frequenta i nostri locali come non mai. Abbiamo capito anche quanto siamo importanti per i nostri ospiti. È un momento che ci ha toccato il cuore, in tutti i sensi, dobbiamo trarre insegnamento da quello che succede. Il futuro me lo immagino sempre con gran voglia di fare, ma con la coscienza di dover dare a chi lavora con noi più tempo utile da dedicare a se stessi e alle proprie famiglie. La pandemia - conclude Cerea - ha cambiato il modo di pensare delle persone, ha fatto capire quanto sia importante godersi i piaceri, gli hobby, la famiglia. Quindi anche noi che abbiamo tanto ritmo, tanto lavoro, stiamo vedendo come riprogrammare, da gennaio in poi, di riprogrammare i tempi lavorativi ancora un po’ più alleggeriti, con turnazioni diverse da quelle di prima”.
“Questi due anni hanno insegnato che si deve stare sempre sul chi vive - dice, dal canto suo, Mauro Uliassi - ad essere pronti anche a situazioni imprevedibili come è stata la pandemia. Ma anche a capire meglio il lavoro, a strutturarlo in modo diverso, abbiamo avuto la possibilità di pensare. Quando hanno riaperto tutti hanno messo in atto dei cambiamenti che sono ancora “work in progress”, anche perchè la pandemia purtroppo non è finita. A livello di cucina, invece, non è cambiato e non cambierà molto. Cuciniamo con lo stesso entusiasmo di prima e con il desiderio di innovare, ogni anno facciamo 40 giorni di studio e ricerca esattamente come facevamo prima. Anche se ci sono degli elementi, dei meccanismi che potrebbero cambiare qualcosa - spiega Uliassi - almeno nel breve termine. Per esempio, l’innalzamento vertiginoso di tutti i prezzi, dall’energia elettrica al gas, e questo si ripercuote su tutta la filiera. Anche sull’approvvigionamento della materia prima: ci sono prodotti che è difficile trovare. Ed è ancora difficile trovare chi vuole lavorare nella ristorazione, ma per motivi che si trascinavano da prima della pandemia, e che vanno risolti. La gente vuole essere inquadrata in modo diverso, migliore, ed è una buona cosa”.
“Questo biennio difficile ci ha insegnato a riflettere, a prendersi il tempo che serve, anche per ascoltare lo staff - conferma Heinz Beck - ma anche per pensare a come essere più sostenibili, tema su cui lavoriamo da anni, con un grande lavoro sull’economia circolare legata alla produzione dei piatti. Io ho anche aperto un progetto interessante, un “medical retreath”, mettendo in pratica 20 anni di studi della mia società “Beck & Maltese Consulting”, su una food line completamente diversa, con protocolli medici ristretti abbinando la cucina di qualità ai problemi di salute. Ed ha avuto un grande successo, le persone hanno capito che si può mangiare sano con grande qualità. I prossimi saranno anni interessanti quelli a venire, dobbiamo essere attenti alle problematiche della società, e prendere decisioni che ci consentano anche di continuare ad essere forti sul mercato”.
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