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LA NAZIONE

Montalcino, dove la terra è d’oro ... Un vigneto vale da 350mila euro l'ettaro in su: in 40 anni cresciuto del 2153%... Si diceva “avere un podere in Chianti”, un tempo, per indicare una ricchezza bella solida. Ma chi quel podere l’avesse comprato a Montalcino, quarant’anni fa, oggi si troverebbe tra le mani una fortuna: 350mila euro per un ettaro piantato a Brunello. Ed è perfino una cifra bassa: qualche big potrebbe arrivare a chiedere anche 400-450mila euro, o più di 500mila per i grandi cru. Ma i big non vendono, a quel che si sa: i “rumors” segnalano in bacheca un paio di aziende, una da 5 ettari di vigneto, richiesta sugli 11 milioni, un’altra più consistente, una ventina di ettari di vigne, richiesta 28 milioni. Dicono che a 22 si potrebbe anche chiudere l’affare, chissà.
Ma quello che conta è un dato preciso. Un conto della serva. E’ cresciuto di ventuno volte il prezzo della terra del vino più celebrato d’Italia, proclamato di recente perfino “campione del mondo” (è il Tenuta Nuova di Casanova di Neri 2001) da Wine Spectator. Il calcolo esatto dice +2153% dal 1967: è un conto realizzato dal sito Winenews.it, una “bibbia” degli enonauti, per celebrare i quarant’anni del Consorzio del Brunello. Allora un ettaro di vigneto costava i milione e 800mila lire (15.537 euro e 15 centesimi, grazie al calcolo attuariale con i coefficienti Istat), diventati 3 milioni e mezzo nel ‘77, e balzati addirittura a 50 milioni nell’87. In piena rivoluzione enologica, cioè: quando la “legge dei francesi” cominciò a dare i frutti anche da noi,e il Brunello produsse le strepitose annate ‘85 e ‘88, dopo le ottime ‘82 e ‘83.
Secondo Winenews.it, l’impennata dei prezzi è da far coincidere con lo sbarco a Montalcino delle grandi griffes, da Banfi a Antimori a Frescobaldi. “Ma è vero solo in parte - commenta Stefano Campatelli, direttore del Consorzio dal 1990 - perché molto merito va attribuito ai coltivatori che ebbero il coraggio di restare quando i campi si svuotavano. E di intraprendere la strada della qualità”. Già, perché Montalcino aveva conosciuto una crisi profonda, che negli anni Sessanta aveva visto perfino dimezzare la popolazione; poi, nel ‘67, nacque il Consorzio, fondato da 37 soci, di cui 12 imbottigliatori, cresciuti fino ai 247 (di cui 208 imbottigliatori) di oggi, cioè tutti ma proprio tutti, e i vigneti sono esplosi dai 64,58 ettari ai 2024,35 di oggi, con 79.440 ettolitri di vino all’anno: erano poco più di duemila, quarant’anni fa.
In 40 anni il Vigneto Toscana ha fatto passi enormi. Forse troppi, se ora scatta l’allarme territorio. Il rischio paesaggio, dal punto di vista dell’immagine, che si può “addolcire” seguendo meglio la rotondità della collina, ma soprattutto per la tenuta. Il vigneto del futuro deve eliminare il rischio erosioni, che in qualche caso arriva addirittura a 50 tonnellate di terra per ettaro. L’aveva rimarcato qualche settimana fa la Carta dell’uso del territorio, elaborata per il Chianti Classico, lo ribadisce uno studio finanziato dall’Arsia con l’Università di Firenze: rischio che riguarda il 60% dei vigneti, qualcosa come 38mila ettari di Toscana.
Come si ovvia? Il futuro sono i vigneti innovativi proposti nell’azienda agricola dell’Università, a Montepaldi, o nei terreni delle Cantine Leonardo di Vinci: microripiani trasversali alla pendenza della collina, tutti raccordati e sostenuti da ciglioni in erba, orientati in maniera ottimale per produrre più quantità e più qualità, ma anche per non rischiare l’erosione. Costeranno meno, ma daranno un paesaggio ancora più dolce. E viti più longeve. Per fare vini più importanti, come insegnano i francesi.

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