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LA PIADINA ROMAGNOLA IGP, IL “PANE NAZIONALE DEI ROMAGNOLI” COME LA DEFINIVA GIOVANNI PASCOLI, OTTIENE LA PROTEZIONE NAZIONALE CON DECRETO MINISTERIALE CHE LA TUTELA IN ATTESA DEL MARCHIO UE PER UNA MAGGIORE DIFESA DALLE IMITAZIONI

Non Solo Vino
La creazione della famosa piadina romagnola

Il “pane nazionale dei Romagnoli”: così Giovanni Pascoli definiva la Piadina Romagnola Igp, una delle prelibatezze made in Italy più famose che ha ottenuto la protezione nazionale con un decreto ministeriale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale che riconosce la difesa dell’ndicazione geografica “Piadina romagnola”, nel Belpaese, e legittima il suo uso da parte dei produttori che rispettano il disciplinare depositato al Ministero delle Politiche Agricole, in attesa del marchio europeo che proteggerebbe più ampiamente dalle imitazioni quelle produzione Igp che la Regione Emilia-Romagna auspica “nei prossimi mesi, al termine della procedura stabilita dai regolamenti comunitari, siano registrate dalla Commissione Europea sulla base del disciplinare proposto”.
La questione non è solo economica (le confezioni artigianali muovono un fatturato da 100 milioni di euro): per stabilire come si fa la vera Piadina Romagnola si è litigato per anni. Tanto che alla fine, il Disciplinare di produzione dell’Indicazione Geografica Protetta (Igp) non ha risolto, né per un solo nome (si può dire Piada o Piadina) né per una sola tipologia: la Piadina Romagnola tout court deve essere “rigida e friabile, diametro da 15 a 25 centimetri, spessore da 4 a 8 millimetri”, ma la Piadina Romagnola “alla Riminese” è “morbida e flessibile, diametro da 23 a 30 centimetri, spessore fino a 3 millimetri”. Tutte comunque sono “a base di farina di grano tenero con aggiunta di acqua, grassi, sale, ed alcuni ingredienti opzionali”, come agenti lievitanti, ma “è vietata l’aggiunta di conservanti, aromi e/o altri additivi”. Alla fine ha “sapore fragrante e odore caratteristico simile a quello del pane appena sfornato”. Ovviamente la zona di produzione Igp è ben delimitata, un centinaio di Comuni nelle tre Province di Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna, sia della costa che nell’entroterra e in Appennino, e tutti i produttori sono sottoposti a controlli.
È lo stesso Disciplinare depositato al Ministero delle Politiche Agricole che ripercorre diatribe e cultura: la Piadina, recita, “ha origini antichissime e racconta la storia della gente della Romagna. Si tratta di un cibo semplice che nel corso dei secoli ha identificato e unificato la terra di Romagna sotto un unico emblema passando da simbolo della vita rustica e campagnola, “pane dei poveri”, a prodotto di largo consumo. Il termine “piada” è stato ufficializzato per merito di Giovanni Pascoli il quale italianizzò la parola romagnola Pié. In un suo famoso poemetto il poeta tesse un elogio della Piadina, alimento antico “quasi quanto l’uomo”, e la definisce “il pane nazionale dei Romagnoli” creando un binomio indissolubile tra Piadina e Romagna”.
La storia parla di antiche piadine “povere” (farina di mais o di grano e mais mescolate), accanto alle quali c’erano già quelle “ricche” di pura farina di frumento, “arricchite con strutto di maiale”, ingrediente tradizionale tutt’ora apprezzato, accanto all’olio di oliva, anche extra-vergine. “Nel 1913 - dice il Disciplinare - Maria Pascoli le preparava al fratello poeta, che ne andava giustamente ghiotto”. Diffusa molto nel secondo dopoguerra, “dagli anni Settanta, alle piadine casalinghe si accompagneranno quelle di produzione artigianale”.

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