La pizza napoletana conquista il Wall Street Journal con la storia di un pizzaiolo statunitense, Justin Piazza, che per la prima volta ha deciso di produrre in Usa la pizza “doc” certificata dall’Associazione Verace Napoletana.
“Un segnale importante - dichiara la Coldiretti - in un Paese come gli Stati Uniti che registra il record mondiale dei consumi di pizza con una media di 13 chili per persona, quasi il doppio di quella degli italiani che si collocano al n. 2 con una media di 7,6 chili a testa”.
Il famoso impasto con pomodoro, mozzarella e basilico e cotta in forno a legna che attesta l’autenticità della pizza napoletana ha varcato così i confini campani come dimostra lo stesso Piazza, che dichiara: “lasciate pure che New York e Chicago abbiano le loro pizze, per quanto mi riguarda la mia è fatta come vuole la tradizione”. E, per provarlo, Piazza mostra il certificato avuto dall’Associazione napoletana: il pizzaiolo ha speso ben 25.000 dollari per acquistare un forno fatto con i mattoni fatti a loro volta con le ceneri del Vesuvio. Ha passato inoltre 6 mesi ad imparare l’arte del maneggiare l’impasto.
“Mio padre mi ha preso per matto - continua Piazza - ma con tutto il rispetto per lui non c’è paragone tra la pizza “New York Style” e la vera pizza napoletana”.
Ma come riporta il Wall Street Journal, il marchio Vpn (pizza verace napoletana) è poco conosciuto negli Stati Uniti. Solo 76 ristoranti hanno avuto la certificazione. Per ottenere il marchio le pizzerie devono pagare una quota di 2000 dollari, seguire lezioni in una scuola specifica oltre a diversi corsi che hanno un discreto costo. “È un impegno”, ha spiegato Peppe Miele, presidente di Vpn America, proprietario di due pizzerie a Los Angeles.
“Facciamo la pizza, non la “pie” (come viene chiamata in Usa) - continua Stefano Fabbri, altro proprietario di una pizzeria a Phoenix - quando si mangia questa pizza si sente la differenza”.
“Il business della pizza vale 40 miliardi di dollari con il 93% degli americani che la consuma almeno una volta al mese. La svolta del pizzaiolo di Phoenix in Arizona è una innovazione importante per il Made in Italy perché purtroppo di questo mercato - rileva la Coldiretti - quasi niente arriva all’economia italiana anche perché si usano quasi sempre ingredienti realizzati negli Stati Uniti, dalla mozzarella prodotta soprattutto nel Wisconsin, in California nello stato di New York alla conserva di pomodoro ottenuta in California dove si stanno diffondendo anche le coltivazioni di ulivi senza dimenticare il diffuso utilizzo di ingredienti molto lontani dal Made in Italy come l’ananas”.
“La perdita del legame della pizza con l’identità tricolore è un rischio che – denuncia la Coldiretti - corrono moltissimi prodotti Made in Italy per l’esponenziale diffusione sui mercati statunitense e mondiale di alimenti “taroccati” che richiamano nel nome e nell’immagine all’italianità senza avere alcun legame con la realtà produttiva nazionale, dal parmesan al provolone, dal salame Milano alla soppressata calabrese, dall’extravergine pompeian al pomodoro san Marzano”.
“In questo contesto l’arrivo della vera pizza tricolore in Usa si inserisce nel pieno della trattativa sull’accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti, Tansatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), che ha avuto una anticipazione nell’analogo negoziato condotto il Canada e che si occupa anche della tutela delle denominazioni degli alimenti e bevande e della proprietà intellettuale. La presunzione statunitense di continuare a chiamare con lo stesso nome alimenti del tutto diversi è inaccettabile perché si tratta di una concorrenza sleale che danneggia i produttori e inganna i consumatori e l’Unione Europea - sostiene la Coldiretti - ha il dovere di difendere prodotti che sono l’espressione di una identità territoriale non riproducibile altrove realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione sotto un rigido sistema di controllo”. “Negli Stati Uniti - continua la Coldiretti - sono stati prodotti nel 2013 oltre 200 miliardi di chili di formaggi di tipo “italiano” dal Parmesan all’Asiago, dal Provolone alla Mozzarella, fino al Gorgonzola che nulla hanno a che fare con il tessuto produttivo Made in Italy.
“Ma la pizza - conclude la Coldiretti - è nata in Italia con le prime attestazioni scritte che risalgono al 997 e con l’arrivo degli immigrati italiani nel tardo. XIX secolo fece la sua prima apparizione negli Usa dove si è rapidamente affermata, anche con curiosi adattamenti locali nella preparazione, negli ingredienti e nelle occasioni e modalità di consumo, che hanno purtroppo fatto dimenticare a molti la reale origine”.
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