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SALUTE

La ricerca scientifica che riabilita il vino come “scudo” contro depressione e declino cognitivo

Promossa da Signorvino e condotta da Giovanni Scapagnini, contestualizza il consumo in un approccio bio-evolutivo, culturale e anti “demonizzazione”

“Il recente riconoscimento della Cucina Italiana come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità da parte dell’Unesco evidenzia come cucinare e mangiare secondo le nostre tradizioni sia un’attività comunitaria che promuove inclusione sociale, benessere, trasmissione di saperi e convivialità. In questo contesto, il vino non è mai stato solo una bevanda, ma lo storico compagno della Dieta Mediterranea. Consumato in modo moderato e durante i pasti, il vino è parte integrante di quel rituale della tavola italiana che l’Unesco ha appena consacrato come universale motore di benessere”. A dirlo è Federico Veronesi, ad Signorvino, la più estesa catena italiana di enoteche con cucina dedicata alla promozione dell’eccellenza enologica nazionale, che ha recentemente promosso un progetto scientifico interdisciplinare che analizza il ruolo del consumo vario-moderato di vino nel mantenimento della salute e della qualità della vita lungo l’intero arco dell’esistenza. Il focus è rivolto al rapporto tra consumo regolare e consapevole di vino e alcuni indicatori dell’“healthspan” (l’arco temporale di vita vissuto in buona salute, ndr), come benessere psicologico, funzione cognitiva e salute cardiometabolica. Ne emerge che il vino, consumato in modo moderato e responsabile, può contribuire a rilassare la mente e a ridurre i livelli di stress (elemento che gioca un ruolo fondamentale nella longevità e nella qualità di vita), inserendosi, così, in un contesto più ampio di benessere psicofisico e sociale.
Firmata dal professor Giovanni Scapagnini,
ricercatore di fama internazionale e professore ordinario di Nutrizione Clinica all’Università degli Studi del Molise, nonché nome di riferimento per l’indagine dei meccanismi molecolari dell’invecchiamento e sulle geroscienze nutrizionali, la ricerca indaga il ruolo del vino nell’“healthspan” umano, valutando i suoi effetti sui parametri cardiometabolici, psicologici e cognitivi. Il progetto nasce per contestualizzare l’assunzione di vino in un approccio bio-evolutivo e culturale: un contributo al dialogo tra scienza, tradizione e consapevolezza nei consumi, in un momento storico segnato da incertezza e semplificazioni eccessive. Negli ultimi anni, infatti, spiega Signorvino, un approccio comunicativo spesso improntato alla “demonizzazione del vino” ha contribuito a generare incertezza tra consumatori e operatori del settore, trascurando la complessità e la specificità di ciò che il vino rappresenta nel modello alimentare mediterraneo. Con questa iniziativa, promossa in collaborazione con il professor Scapagnini, Signorvino si propone di riportare al centro del dialogo scientifico, culturale e sociale una visione più equilibrata, in sintonia con il concept di comunicazione “Il gusto di sentirsi bene”, lanciato ufficialmente a Vinitaly 2025, a Verona.
La ricerca spiega che nel Mediterraneo, fin da sempre, il vino è stato, prima di tutto, un linguaggio di convivialità: bere poco e con i pasti ha segnato il momento del “mangiare insieme”, favorendo legami, scambio e appartenenza al rito del pasto. Non a caso l’Unesco, descrivendo la Dieta Mediterranea, include proprio il mangiare in compagnia come elemento chiave di benessere. In molte coorti, i consumi leggeri di vino compaiono accanto a indici migliori di salute percepita, umore e aderenza a stili di vita complessivamente più sani. Già il “Seven Countries Study” di Ancel Keys mostrava come, nelle popolazioni mediterranee, il vino moderato ai pasti fosse parte integrante di un quadro alimentare ricco di legumi, cereali integrali, verdura, olio d’oliva e pesce, contribuendo ai minori tassi di coronaropatia e mortalità osservati. Nei primi Anni Duemila, l’associazione tra pattern mediterranei, longevità e consumo moderato di vino rosso venne confermata da più coorti: tra i soggetti con alta aderenza alla Dieta Mediterranea, chi beveva poco, con i pasti, viveva in media più a lungo degli astemi o dei forti bevitori e mostrava, in diversi studi, un miglior profilo cognitivo e dell’umore. E sul fronte della salute mentale, un’analisi prospettica condotta nel trial Predimed (Dieta Mediterranea in soggetti ad alto rischio cardiovascolare) ha mostrato che un consumo moderato e regolare di vino, in particolare 2-7 bicchieri a settimana, si associava a una minore incidenza di depressione rispetto all’astensione, mentre i consumi elevati invertivano il segno, aumentando il rischio. Una grande revisione pubblicata su “Circulation” nel 2017 ha concluso che, nel complesso, l’assunzione bassa-moderata di alcol è coerente con un minor rischio di coronaropatia e alcuni esiti cardiovascolari, rispetto sia all’astensione sia ai consumi più elevati.
Alla base di questi effetti vi sono sia l’alcol sia i componenti non alcolici. Paradossalmente, la sostanza più problematica del vino, l’etanolo, a dosi basse sembra esercitare un potenziale effetto protettivo sul sistema cardiovascolare, soprattutto aumentando il colesterolo Hdl e riducendo l’aggregazione piastrinica, e quindi il rischio aterotrombotico. Il vino, soprattutto rosso, aggiunge un ulteriore livello di complessità: è ricco di flavonoidi e polifenoli (resveratrolo, quercetina, procianidine, antocianine) che, nei modelli sperimentali, mostrano proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e - in alcuni casi - effetti su vie metaboliche e di longevità. Una recente revisione sistematica su “Cureus” (2023) ha provato a isolare il caso del vino rispetto agli altri alcolici, chiedendosi se, a parità di etanolo, i polifenoli facciano la differenza sugli esiti a lungo termine. Sono stati inclusi solo adulti con consumo regolare e moderato, seguiti per almeno 2 anni. Risultato: nessuna associazione negativa per i consumi moderati e un quadro complessivo dominato da segnali favorevoli o neutri. In particolare: la mortalità generale mostrava sistematicamente riduzioni di rischio rispetto ad astemi o consumatori di altri alcolici; la demenza e il declino cognitivo apparivano meno frequenti nei bevitori moderati di vino; sul piano cardiometabolico si osservavano Hdl più alte e profili di sindrome metabolica più favorevoli; e in oncologia, l’insieme degli studi risultava prevalentemente neutro, con alcuni segnali positivi per specifici tumori (come il linfoma non-Hodgkin). Resta, però, un punto delicato e non negoziabile, spiega la ricerca: sul piano oncologico, il consenso scientifico indica che tutte le bevande alcoliche, vino incluso, aumentano il rischio di vari tumori in modo dose-dipendente.
Non esiste quindi una “soglia zero rischio”, ma è altresì fondamentale, dicono i promotori, contestualizzare questo messaggio altrimenti pericolosamente forviante. In sintesi, anche alla luce delle evidenze epidemiologiche, la “parte buona” del vino coincide con il suo contesto mediterraneo: piccole quantità, con i pasti, in compagnia, in una dieta ricca di vegetali, legumi, cereali integrali e olio d’oliva, sostenuta da uno stile di vita attivo. In questo quadro il calice non è un fine, ma un “condimento sociale”: rallenta il ritmo, favorisce la conversazione, sigilla i legami e trasforma il cibo in convivialità. Il beneficio non sta solo nella chimica dei polifenoli, ma nel rituale del bere lentamente, mangiando e condividendo. È in questa misura che il vino torna a essere ciò che la storia mediterranea gli ha insegnato a essere: un ponte tra benessere e cultura.

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