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LA RISCOSSA DEL BRAND: IN UN MERCATO MONDIALE DEL VINO SEMPRE PIÙ AFFOLLATO E IN CUI, DA ANNI, LA PRODUZIONE COMPLESSIVA È MAGGIORE DEL CONSUMO VA AVANTI SOLO CHI PUÓ CONTARE SU UN MARCHIO AFFERMATO E RICONOSCIBILE

Scommettere sul brand: ecco la parola d’ordine per le cantine che vogliono avere successo in mercato del vino sempre più affollato di produttori, prodotti e territori di tutto il mondo che cercano il proprio spazio in un settore dove, da anni, la produzione complessiva è maggiore del consumo. Senza contare che i fornitissimi scaffali della grande distribuzione organizzata sono ormai saldamente, e in tutto il mondo, il primo canale di commercio del vino, sui quali, a distanza di pochi centimetri, si possono trovare bottiglie da 2 a 120 euro, di ogni tipologia e da ogni angolo del pianeta. Delle nuove tendenze del marketing si parlerà a Vinitaly (Verona, 7/11 aprile), uno degli eventi di riferimento del panorama enologico mondiale.

Solo per fare un esempio, negli Stati Uniti, primo Paese in assoluto per consumo, dove già sono presenti centinaia di migliaia di etichette, ogni anno ne vengono introdotte quasi 130.000 nuove di zecca. Non basta più dunque, fare prodotti di qualità, che è ormai è un pre-requisito per stare sul mercato, né poter vantare una tradizione, una storia particolare. Sempre più fondamentale è vantare un marchio riconoscibile, un brand distintivo che colpisca il consumatore e rimanga impresso nella sua memoria, raccontando i valori del prodotto e dell’azienda con i giusti linguaggi a seconda dei diversi target di consumo che si vogliono raggiungere. Se per 9 consumatori italiani su 10, secondo una ricerca Vinitaly, il marchio rappresenta una garanzia di qualità e di sicurezza, in alcuni mercati, soprattutto in quelli emergenti e in cui la cultura del vino è ancora giovane, il brand e l’etichetta, prima ancora che la qualità e l’origine del vino, rappresentano spesso il primo criterio di acquisto.

Ma il brand, quando si parla di vino, è un concetto più complesso che in altri settori e dove si mixano molti aspetti: c’è il brand territoriale, la denominazione, il marchio della cantina, il nome del prodotto. Ci sono casi in cui la denominazione è determinante, soprattutto per piccoli produttori che, con ridotti budget in comunicazione, possono far leva sulla riconoscibilità di quelli che sono a tutti gli effetti dei marchi nella percezione del consumatore, anche se questo vale per pochi casi nel variegato panorama italiano: dal Chianti Classico al Franciacorta, dal Brunello di Montalcino al Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, dal Barolo all’Asti, fino all’Amarone della Valpolicella, per citare alcune tra le più forti d’Italia a livello d’immagine. Ma anche chi può contare sul richiamo di una grande denominazione, che spesso assume il ruolo di un vero e proprio marchio collettivo, deve comunque investire in brand-marketing della propria identità individuale, sia a livello di “umbrella brand”, ovvero di marchio aziendale complessivo, che di “product brand”, ossia sulla riconoscibilità e la distintività di un particolare prodotto a seconda del mercato e del target a cui è destinato. Un conto, per esempio, sarà affermare il brand di una cantina che fa poche bottiglie di altissimo pregio, dove giocoforza i linguaggi saranno quelli dell’esclusività e del lusso; altra storia se l’obiettivo è affermare il marchio di chi punta su masse critiche di prodotto importanti.

Ma fondamentale anche tenere d’occhio l’evoluzione delle nuove tecnologie e dei canali moderni della comunicazione, puntando sempre più sul marketing mix, tenendo presente che internet, anche per l’accessibilità dei costi, ma soprattutto per la sua enorme diffusione (2 miliardi di utenti nel mondo), è sicuramente lo strumento principe e si presta a una molteplicità di utilizzi e di linguaggi (dal sito istituzionale alla campagna di prodotto, dal social network alle inserzioni pubblicitarie tout court) capaci di colpire in profondità più target. Ma importantissimo, per l’affermazione dei brand del mondo del vino, aprirsi anche a nuove discipline e metodologie della comunicazione fino ad oggi rimaste ai margini del mondo di Bacco, come il “neuro-marketing”, che studia il funzionamento del cervello davanti alle scelte di acquisto. Inoltre occorre aprirsi a nuovi approcci, ovvero pensare non più solo a prodotti buoni, ma anche a prodotti “giusti” per il mercato, pensati prima per chi deve acquistarli che per chi deve venderli. In questo senso, di casi che hanno fatto la storia non ce ne sono molti: il più celebre, e ancora inarrivato nei risultati, è quello di “Yellow Tail”, il marchio australiano inventato dalla famiglia italiana Casella, proprietaria della Casella Wines, che in pochi anni è passata da vendere da meno di 700.000 bottiglie a più di 120.000.000 milioni in tutto il mondo, puntando quasi esclusivamente sulla distintività del brand.

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