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LA STUDIOSA GIULIANA BIAGIOLI RENDE GIUSTIZIA A BETTINO RICASOLI, L'INVENTORE DEL CHIANTI

Italia
Il Castello di Brolio a Gaiole in Chianti

"... il vino riceve dal Sangioveto (Sangiovese) la dose principale del suo profumo (a cui miro particolarmente) e una certa vigoria di sensazione; dal Canaiuolo l'amabilità che tempera la durezza del primo senza togliergli il suo profumo; la Malvagia (Malvasia), della quale si potrebbe fare a meno nei vini destinati all'invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle due prime uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggiero ...".

Così l'inventore del Chianti, Bettino Ricasoli, nel 1872, descrive i suoi punti importanti per creare il vino in quel di Brolio, a Gaiole in Chianti, "un vino che doveva avere ogni anno un carattere omogeneo ... e per essere trasportato su lunghe distanze senza alterarsi". Un Ricasoli che mette insomma a frutto la sua esperienza e creatività, maturata dopo lunghi viaggi in Francia (molto utili per conoscere l'enologia dal punto di vista scientifico).

Ma questa descrizione, riportata nel bel libro di Giuliana Biagioli "Il modello del proprietario imprenditore nella Toscana dell'Ottocento: Bettino Ricasoli. Il patrimonio, le fattorie" (Olschki), consegna alla storia una grande novità, forse sfuggita o soltanto poco notata dagli esperti del vino: Bettino Ricasoli non riteneva essenziale, nei vini destinati all'invecchiamento, l'aggiunta di uve bianche. Un aspetto (oggi superato con le ultime modifiche del disciplinare), ma che, purtroppo, è stato ignorato per tanto tempo da esperti e storici del vino. Insomma, anche per Bettino Ricasoli, il Chianti adatto per l'invecchiamento era il Sangiovese in purezza, contrariamente a quanto gli hanno attribuito, fino ad oggi gli storici.

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