Dall’obbligo di indicare nelle confezioni il luogo di provenienza o mungitura del latte fresco commercializzato può venire una importante spinta alla ripresa dei consumi di un alimento indispensabile alla salute che se consumato fresco garantisce migliori caratteristiche organolettiche, nutrizionali, di genuinità ed ora anche di trasparenza dell’informazione ai consumatori: lo afferma la Coldiretti nel sottolineare che la nuova normativa che fissa multe fino a 9.500 euro per impedire di spacciare come made in Italy latte munto da mucche bavaresi, austriache, francesi o slovene, riguarda per il momento solo il latte pastorizzato fresco e non quello a lunga conservazione (Uht).
Il latte pastorizzato fresco - spiega la Coldiretti- arriva crudo allo stabilimento di confezionamento e viene sottoposto a un solo trattamento termico entro 48 ore dalla mungitura mentre il latte UHT a lunga conservazione subisce un trattamento termico di sterilizzazione in flusso continuo seguito dal confezionamento asettico. Una differenziazione di processo che - prosegue la Coldiretti - oltre a rendere più probabile l’utilizzazione di latte importato per il confezionamento a lunga conservazione (non essendoci il vincolo delle 24 ore dalla mungitura c’è piu’ tempo per il trasporto dall’estero) influenza e differenzia notevolmente le proprietà dei due prodotti.
Secondo il Professor Attilio Parisi Direttore dell’Istituto di medicina dello sport Coni-Smsi di Roma “nel latte a lunga conservazione si riduce il contenuto di vitamina B e acido folico, importanti per il metabolismo del ferro ed utili soprattutto nelle diete dei giovani e degli atleti, che rimangono invece presenti .nel latte fresco proprio perché sono termosensibili. Inoltre - a parere dello studioso - le qualità organolettiche del latte fresco sono superiori, più gradevoli di quelle del latte a lunga conservazione che viene esposto a una temperatura molto elevata che ne cuoce le proteine presenti peggiorandone decisamente il sapore”.
Nonostante questo sul totale di 23 milioni di quintali di latte ad uso alimentare consumati in Italia circa il 60% - rileva la Coldiretti - è rappresentato da quello a lunga conservazione (13,5 milioni di quintali) mentre solo il 40% (9,5 milioni di quintali) è latte fresco. Una situazione che - afferma la Coldiretti - potrebbe cambiare anche grazie alle nuove norme sulla etichettatura del latte fresco che ne garantiscono una maggiore rintracciabilità dopo che era già entrato in vigore il decreto che ha allungato al sesto giorno successivo a quello del trattamento termico la data di scadenza, facendolo rientrare nella tradizionale spesa settimanale familiare. Il “vantaggio” del latte a lunga conservazione è infatti per molti indicato in una durata pari a 90 giorni dalla data di confezionamento.
I diversi tipi di latte - continua la Coldiretti - possono essere distinti anche in base al contenuto in materia grassa e se il latte intero ha un tenore naturale in materia grassa non inferiore al 3,50%, in quello parzialmente scremato il tenore in materia grassa è stato portato, tramite scrematura all'1,5%-1,8%, mentre in quello scremato esso è a un tasso massimo dello 0,3%. L'Italia dopo il primato conquistato con il latte fresco, ha l'opportunità di porsi all'avanguardia a livello europeo con l'applicazione della legge 3 agosto 2004, n.204 che prevede appunto l'obbligo di indicare sulle etichette l'origine di tutti gli alimenti commercializzati e consente di valorizzare i primati qualitativi e di sicurezza della produzione nazionale. Una etichetta trasparente che contribuirebbe a fare chiarezza su tutto il latte commercializzato in Italia dopo che nel 2004 che sono salite a 17 milioni di quintali le importazioni di latte sfuso destinato ad essere lavorato e trasformato in formaggi, yogurt e latte alimentare "made in Italy" tanto che si stima che fino ad oggi una busta su tre sia stata confezionata in Italia, ma conteneva in realtà prodotto importato dall'estero senza alcuna informazione per i consumatori.
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