Il vino, per alcuni territori, è il pilastro assoluto dell’economia e del tessuto sociale ed occupazionale, con la vite prima attrice dell’agricoltura. Eppure, dove con progetti di distretto, dove sulla spinta di singole aziende, in molti luoghi si sta assistendo ad una diversificazione della produzione, sempre nel segno della tipicità e dell’eccellenza. Una sorta di piccolo “ritorno al passato”, in un certo senso. Una ri-evoluzione dell’azienda vinicola e dell’agricoltura altamente specializzata verso una nuova visione dell’impresa agricola che contempla più produzioni dal punto di vista soprattutto della produzione, ma anche della trasformazione, della promozione e della distribuzione di vino integrata ad altri prodotti enogastronomici, che traccia una rotta diversa per il futuro, incarnando nel senso più ampio possibile il concetto della “biodiversità”. E se in tanti territori d’Italia una delle sinergie storiche e più comuni alla produzione di vino è quella dell’olio, che viene prodotto in buone quantità e di alta qualità da un numero importanti di cantine di grande prestigio di tutto il Belpaese, aziende e territori del vino stanno riscoprendo e valorizzando grani e cereali antichi, produzioni di formaggio, zafferano, miele, frutta, pasta e così via. Tra le case history territoriali più strutturate, c’è quella del Chianti Classico, dove alla produzione di vino è da sempre associata quella dell’olio, ma dove negli anni si è costituito un vero e proprio Distretto Rurale del Chianti, dove viene valorizzata anche la produzione di formaggio pecorino, pane toscano, carne di cinta senese, salumi come la Finocchiona Igp, prodotti dolciari come il Panforte ed in Ricciarelli di Siena, entrambi Igp, e così via.
“Il programma economico territoriale del Distretto - spiega, a WineNews, il presidente Tommaso Marrocchesi Marzi, alla guida della Tenuta Bibbiano - ha delle ampie parti di investimento proprio dedicate all’integrazione tra diverse filiere produttive. Vino e olio lo sono già in maniera strutturata, come conferma il fatto che esistono due Consorzi diversi ma che condividono gran parte della base sociale, delle strutture e dei programmi. Ma ora cerchiamo di favorire lo sviluppo di quelle produzione che ben si addicono al nostro territorio, quindi produzioni agricole alternative, anche grazie al lavoro e allo studio del Biodistretto del Chianti, ma anche la filiera dei formaggi e della carne, il recupero degli orti, di sementi e grani antichi presenti in passato nel territorio e andate in disuso per la scarsa resa, ma che proprio dall’integrazione con altre filiere potrebbero trovare nuovo slancio. Alcune aziende sono più avanti anche perchè hanno già i terreni per farlo, altre dovranno fare investimenti produttivi, ma è un processo di diversificazione che è in atto. Inoltre c’è anche un grande tema di recupero di aree dismesse attraverso queste diverse agricolture, che vuol dire anche contrasto al dissesto idrogeologico e all’impoverimento demografico dei territori. È chiaro poi che va affrontato il grande tema della comunicazione e della promozione di questi prodotti, anche nella direzione di portare un turismo qualificato nel territorio che sappia apprezzare questi prodotti agricoli ad alto valore aggiunto”.
Altra case history da raccontare, che arriva da un territorio di vino di livello mondiale che sta guardando anche ad un ritorno all’agricoltura fatta di biodiversità, vera ma moderna, e diversa, che può generare lavoro, ricchezza e mettere in moto ulteriormente quell’enoturismo che guarda sempre più all’esperienza ed alla vita in un territorio, è quella di Montalcino, terra del Brunello, dove produzioni che vanno dal tartufo bianco all’olio, dal miele allo zafferano, dal formaggio alle prugne, dalla pasta al farro, a breve potranno fregiarsi in etichetta della dicitura “Eccellenze di Montalcino”: il marchio è stato già registrato dalla Fondazione Territoriale del Brunello, emanazione socio-culturale del Consorzio del Brunello, nata nel 2016, con la volontà di reinvestire parte dei profitti a beneficio del territorio. Qui, tra le altre, spicca il caso di Castello Banfi, una delle aziende leader del territorio, che, tra le altre cose, è anche uno dei maggiori produttori italiani di prugne, e produce anche miele, olio e pasta da grani locali di alta qualità.
“Il vino resta il pilastro, e grazie al vino è nato il progetto “Eccellenze di Montalcino” - sottolinea il presidente del Consorzio Fabrizio Bindocci - perchè i produttori di Brunello vogliono valorizzare produzioni considerate “minori”, o comunque meno conosciute, del territorio, dal miele allo zafferano, dalle prugne alla pasta, dal formaggio ai grani antichi. Perchè Montalcino non è solo vino, ma è un territorio in cui c’è una grande attenzione alla biodiversità, e vogliamo valorizzare questo aspetto, con prodotti che devono avere il giusto riconoscimento. Con qualità ed eccellenza che devono essere tangibili e percepite da tutti”.
Messaggi chiari, che arrivano dalla voce di interi territori. Ma non mancano, tra le curiosità, esempi di singole aziende, sempre in Toscana, come quello della storica cantina della Vernaccia di San Gimignano Guicciardini Strozzi, che ospita anche uno dei più grandi allevamenti di fagiani d’Italia, o come quello di Castello del Terriccio, una delle più grandi aziende agricole in corpo unico del Belpaese, più di 1.500 ettari nelle colline pisane, dove alla produzione di grandi vini si affianca, tra le altre cose, l’allevamento di cavalli e bovini da carne.
Ma restando ai territori più blasonati del vino, impossibile non parlare delle Langhe: che la produzione di vino sia preminente non è indubbio, come testimonia anche il riconoscimento Unesco ai “Paesaggi vitivinicoli delle Langhe, del Roero e del Monferrato”. Come non è in discussione la sinergia tra i grandi vini ed il tartufo bianco di Alba, per esempio. Alcuni grandi produttori di vino, però, spinti anche dalla crescita dell’industria dolciaria, ed in particolare della Ferrero, sono tornati ad investire ed a piantare noccioleti, coltura storica del territorio, come ha fatto, per esempio, Ceretto, uno dei nomi più importanti del territorio.
“Ma probabilmente il binomio da sottolineare di più, a livello produttivo, anche per una maggiore affinità al vino, è quello con i grandi formaggi piemontesi, a partire dal Castelmagno”, spiega, a WineNews, il presidente del Consorzio del Barolo e Barbaresco, Matteo Ascheri. Anche qui le case history d’autore non mancano, come quella di Elio Altare, uno dei nomi più prestigiosi del vino e produttore di Castelmagno. O come quella di Des Martin, progetto che ha visto una cordata fatta anche da importanti produttori di vino (nomi come Enzo e Gianni Boglietti, Chiara Boschis, Cesare Boschis, Claudio Conterno ed Enrico Cordero di Montezemolo, negli anni scorsi, investire nel recupero di un intero borgo, quello Valliera, recuperando l’antica produzione del Castelmagno d’alpeggio ma non solo”.
Tra le sinergie più avanzate tra “agricolture”, se non casi di realtà che, oltre a vino, producono altri prodotti tipici, come grano saraceno, mele e formaggi, c’è quello della Valtellina, concretizzato nel Distretto Valtellina Che Gusto, che riunisce sotto un solo cappello i vini Dop e Igp del territorio, e produzioni certificate come pizzoccheri, mele, bresaola e formaggi come bitto e casera, in un percorso simile a quello fatto in Alto Adige con vino, formaggi, salumi e mele, per esempio.
Solo alcuni casi possibili tra i tanti, a cui se ne potrebbero aggiungere innumerevoli, se si prendessero in considerazione, per esempio, le innumerevoli cantine che, dal Nord al Sud, dal Trentino alla Sicilia, per la propria ospitalità e ristorazione interna curano orti e frutteti, o producono piccole quantità di salumi, formaggi ed altri prodotti, ma ancora più per autoconsumo che per il mercato. La cui dimensione, per il nuovo sviluppo o per il recupero di filiere agricole diverse, ma ancorate a quella del vino, resta imprescindibile. Eppure, al di là di esperienze che, nel complesso, restano ancora pionieristiche, la strada per il futuro sembra tracciata. Una strada che, come spesso capita, pensa al domani guardando al passato, quando in poderi, cascine e fattorie di tutta Italia, si produceva tutto quello che territorio, clima e conoscenze permettevano di produttore, prima per la propria sopravvivenza e poi per il mercato. Un mosaico di “biodiversità” agricola che poi, nei tempi più recenti, è andato un po’ perdendosi per la diffusione delle diverse agricolture specializzate, che se in moltissimi casi ha permesso ai territori di prosperare da un punto di vista economico, dall’altro ha un po’ impoverito la diversità di un’agricoltura che, invece, oggi, in molti modi si cerca di recuperare, in maniera virtuosa. Con le cantine che hanno fatto rinascere e stanno facendo crescere, soprattutto in questi ultimi anni, una originalità agricola fatta di biodiversità, di grande interesse, moderna, capace di dare nuova prosperità ai tanti territori d’Italia.
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