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LE “CITTÀ DEL VINO” IN SENATO. LE PROPOSTE PER TUTELARE L’ORIGINE: “OBBLIGO DI IMBOTTIGLIAMENTO IN ZONA, PROPRIETÀ INTELLETTUALE DI DOC E DOCG, GESTIONE CATASTO VITICOLO, LIMITAZIONI IN ETICHETTA SULL’USO DEI NOMI DEI VITIGNI AUTOCTONI E STORICI”

Italia
Valentino Valentini, presidente Città del Vino

Se non si rafforza l’origine, si rischia un duro colpo al sistema della qualità del vino italiano e al suo legame con il territorio. Le Città del Vino sembrano non aver dubbi ed lo hanno esposto oggi, in un’audizione al Senato, sulla riforma dell’Ocm.

“Se la nuova Ocm sarà mantenuta - stando alla dichiarazione delle Città del Vino - così come è stata prospettata, compresa la liberalizzazione dei diritti d'impianto, sono necessarie alcune regole di salvaguardia per rafforzare il ruolo delle denominazioni e valorizzare gli sforzi fatti da generazioni di imprenditori e amministratori pubblici per la promozione della qualità e del legame del vino con il territorio di origine”.

Questi i punti irrinunciabili, secondo le Città del Vino, per rafforzare il sistema delle denominazioni di origine nella nuova riforma:

Primo: l’indicazione dell’obbligo di imbottigliamento in zona (se le uve sono prodotte esclusivamente nell’area della denominazione devono essere vinificate e imbottigliate nei confini stabiliti dal disciplinare).

Secondo: la proprietà intellettuale della denominazione deve rimanere patrimonio collettivo del territorio.

Terzo: il mantenimento del Catasto Viticolo e la gestione in capo ai Comuni.

Quarto: l’estensione della protezione della denominazione anche al vitigno autoctono o storico; che così non potrà essere riportato in etichetta per denominare un vino a indicazione geografica o da tavola.

“La riforma, con l’adeguamento del settore vino alla Pac, prevede - sostengono le Cità del Vino - una “banalizzazione” della piramide della qualità, riducendola a tre soli livelli: vini da tavola, indicazioni geografiche protette (Igp) e denominazioni di origine protette (Dop); è il punto più controverso del nuovo regolamento comunitario, quello che più banalizza il rapporto vino/territorio. L’unica differenza sostanziale tra Dop e Igp sarebbe sulla provenienza delle uve: al 100% dall’area di produzione del vino nel primo caso, all’85% dall’area di produzione nel secondo. Considerato che anche sui vini da tavola si potranno indicare in etichetta annata e vitigno, e considerando l’opportunità di poter riconoscere anche denominazioni extra Ue, ‘si profila un duro colpo alla qualità del vino e al suo legame territoriale”.

“E visto che il riconoscimento e la protezione delle denominazioni e indicazioni geografiche faranno capo alla Comunità Europea - avverte il presidente di Città del Vino, Valentino Valentini - centinaia di territori del vino rischiano di subire uno scippo della proprietà intellettuale delle singole denominazioni, che oggi sono parte integrante del patrimonio collettivo di una determinata area. Con la liberalizzazione degli impianti e l’abolizione del catasto viticolo gli effetti della riforma potrebbero essere devastanti per il sistema della qualità”.

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