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LE GUIDE DEL VINO PIU’ IMPORTANTI D’ITALIA (AIS-BIBENDA, GAMBERO ROSSO, L’ESPRESSO, MARONI, SLOW WINE, VERONELLI) EDIZIONE 2013, SONO QUASI PRONTE PER LA STAMPA. A WINENEWS LE PRIME TENDENZE PER I CURATORI, TRA SORPRESE, CONFERME E (MEZZE) DELUSIONI

Italia
Anteprima Guide 2013: i primi commenti e tendenze

Per sapere quali saranno i vini simbolo del 2013 enoico del Belpaese è ancora presto, ma le guide del vino più importanti e consultate d’Italia, dalla “Guida Vini d’Italia” del Gambero Rosso a “Duemilavini” di Ais-Bibenda, da “I Vini di Veronelli” a “Slow Wine” di Slow Food, dall’“Annuario dei migliori vini italiani” di Luca Maroni a “I vini d’Italia” dell’Espresso, iniziano a tirare le fila di un lavoro durato mesi e fatto di migliaia di assaggi.

Quello che ne viene fuori è un panorama fatto di conferme e novità, di territori che dopo decenni vissuti ai margini dell’enologia italiana, specie al Sud, dall’Etna alla Puglia, passando per la Campania, l’Abruzzo e la Sardegna, si rilanciano grazie ad un lavoro straordinario in vigna ed in cantina, capace di regalare vini di assoluta eccellenza, in grado persino di insidiare “mostri sacri” come Brunello, Barolo, Barbaresco, Amarone, Chianti Classico e Bolgheri che, dal canto loro, confermano tutta la solidità e la qualità degli alfieri italiani all’estero. Ma in ascesa, oltre ai territori, ci sono due tipologie di vino sempre più richieste dal mercato, le bollicine ed i rosati, con tante aziende che ci puntano con sempre più consapevolezza.

“Tante conferme ed una qualità diffusa che si va sempre più ampliando - spiega a WineNews, Gigi Brozzoni, curatore de “I Vini di Veronelli” - con le aziende che preferiscono ridurre i quantitativi piuttosto che abbassare il livello qualitativo. Tutto ormai si gioca sul numero di bottiglie prodotte, ma la qualità rimane sempre molto alta. Per il consumatore, però, sarà un po’ più difficile accaparrarsi le etichette migliori, perché i prezzi sono rimasti ovunque abbastanza stabili, poche aziende hanno avuto il coraggio di alzare i prezzi, una politica che invece riguarda maggiormente i vini di fascia più bassa, di maggior consumo, non le selezioni più importanti”. Tra i territori che confermano maggiormente le attese, Brozzoni non ha alcun dubbio, in cima c’è “l’Etna, che si sta rivelando un grandissimo territorio, ma sono molte le Regioni meridionali che hanno ritrovato smalto, un modo originale ed autonomo di esprimersi, senza più sentirsi in dovere di prendere spunto da altre Regioni. Poi c’è un’interessante inversione di tendenza nel Barolo, che non trovando annate particolarmente potenti sta rivelandosi come un vino molto vicino ai Borgogna, dai colori molto chiari, molto fruttato, semplice da bere, ma di grande ricchezza e complessità, molto elegante: forse quella moda improntata sulla potenza sta lentamente scemando, a vantaggio dell’eleganza e della semplicità, in una rinnovata personalità”. Scendendo lungo lo Stivale, si confermano le “difficoltà per il Chianti Classico, tra i toscani quello che soffre di più, perché per le aziende del territorio non è mai l’etichetta più importante, il top di gamma su cui puntare forte, con la conseguenza che difficilmente si raggiungono vette qualitative importanti: il perché è semplice, le cantine puntano molto sul proprio nome e molto poco sul prestigioso della denominazione”. Rimanendo in Toscana, va decisamente meglio al Brunello di Montalcino, capace di “ritrovare serenità nel modo di operare, anche se l’annata 2007 forse manca un po’ di fantasia e coraggio, mentre tutti hanno cercato di rimanere dentro a limiti molto classici e tradizionali”. Vive una situazione ancora diversa il Nobile di Montepulciano, “dove ancora manca un’identità precisa, c’è troppa diversità, e le aziende stesse sono spesso discontinue”. Per gli spumanti metodo Classico, si confermano al top Franciacorta e, “soprattutto, il TrentoDoc, che sta recuperando posizioni e proponendo vini molto interessanti, nonostante la Franciacorta rimanga un punto di riferimento assoluto”. Ma gli spumanti si producono in tante altre Regioni e allora il discorso cambia, “perché c’è chi manda in Veneto a spumantizzare qualsiasi cosa con risultati deludenti, e chi invece si prende ben più seriamente: il problema è che il mercato vuole questi vini e le aziende sono disposte a tutto per darglielo, ma è una bolla che credo di smonterà presto”.

“Per quanto riguarda la mia guida - racconta Luca Maroni, che cura l’”Annuario dei Migliori Vini Italiani” - le Regioni che più ci hanno colpito sono la Puglia e l’Abruzzo, che confermano il loro trend qualitativo e quindi di mercato molto elevato, sia in termini di rapporto qualità/prezzo che di qualità su vini particolarmente reperibili. Ed in questo anche il Lazio dimostra una crescita eccezionale, così come la Campania, che all’Irpinia affianca un altro territorio, il Massico dove stanno nascendo vini meravigliosi. Senza dimenticare il miglioramento evidente dei vini bianchi sardi, dove si comincia a controllare molto bene la maturazione, ed i vini sono sempre meno liquorosi e più fragranti”. Per quanto riguarda i territori ed i vini “storici” dell’enologia italiana, invece, “ritengo che stiano soffrendo la qualità che sta maturando in altre Regioni, pur confermandosi su livelli di assoluto prestigioso. Secondo me, sono dei vini datati, che dovrebbero i propri disciplinari di produzione, fermi agli anni ‘60, quando l’enologia era diversa. Un concetto che vale soprattutto per i grandi vini toscani e piemontesi, mentre in Veneto l’Amarone ha raggiunto degli standard assolutamente incredibili”. Ma il territorio che più di ogni altro si sta mettendo in luce, secondo Luca Maroni, è “senza dubbio la Maremma, il lato californiano della Toscana, con tante nuove aziende che si propongono insieme sul mercato con vini eccellenti, colmando una lacuna storica, l’assenza di un grande bianco in toscana, con il Vermentino che ormai è ai massimi livelli in Italia”. Delusioni? “Nessuna, mi sorprendo sempre della capacità che hanno i produttori italiani di migliorarsi anno dopo anno: l’Italia ormai è leader di due tipologie che sono gli spumanti ed i rosati. Il meglio viene proprio dai rosati, declinazioni di grandissimi vitigni, dal Sangiovese al Primitivo, passando per il Cerasuolo ed il Bardolino che si prestano ancora meglio. E la stessa cosa avviene per gli spumanti: vitigni come la Falanghina, l’Inzolia, il Catarratto al Sud e ancora il Muller Thurgau ed il Pignoletto più a nord, che si prestano meravigliosamente alla spumantizzazione”.

“La super star di quest’anno - secondo Giancarlo Gariglio, responsabile della guida “Slow Wine” - per noi è, senza dubbio, il Barolo 2008: la più bella annata degli ultimi 15 anni, almeno in questo momento, davvero sorprendente, pronto e piacevole. Del resto, anche a livello internazionale, il Nebbiolo 2008 ha conquistato l’investitura di molti, a cominciare da Jancis Robinson”. Ma non si pensi che sia così per tutto il Piemonte, perché il Barbaresco, ad esempio, “sconta un 2009 molto caldo, che probabilmente condannerà anche il Barolo del prossimo anno, perché le annate calde del Nebbiolo non sono così interessanti”. Sul fronte dei bianchi, la musica cambia, perché “nonostante in Piemonte e Val d’Aosta si sia lavorato molto bene sui vitigni più rappresentativi, su tutti il Timorasso ed il Petit Arvine, il 2011 è stata in realtà un’annata decisamente deludente per i bianchi. Specie per Regioni spiccatamente bianchiste come il Friuli, hanno patito molto un’annata in cui si è alzato molto il tono alcolico facendo perdere freschezza ai vini, si salvano invece l’Alto Adige e l’Irpinia, specie il Fiano”. Tra i territori in crescita, secondo Gariglio, spicca “la ligure Dolceacqua, già sulla bocca di molti blogger, i cui vini stanno crescendo molto. Rimanendo in Liguria ci sembrano molto interessanti molte microaziende delle Cinque Terre, ben focalizzate e capaci di ottenere risultati di grande rilievo. Andando in Toscana, il 2007 per il Brunello non è un’annata così interessante, con vini molto caldi, il tannino un po’ sballato e profumi leggermente cotti, sempre con le dovute eccezioni, meglio la Riserva 2006. Quello che ci ha colpito molto è, invece, il Chianti Classico, la tipologia di vino toscano maggiormente nelle nostre corde, anche perché gioca su diverse annate, a differenza del Nobile di Montepulciano, che offre punte di eccellenza ed una incapacità di offrire una qualità media così invitante. Interessante anche Bolgheri, mentre, andando nelle Marche, rimane interessante il Verdicchio, mentre i Rossi Piceni sono un po’ in affanno. Una novità riguarda invece l’Abruzzo, che avrà molti riconoscimenti nella nostra guida, specie per quanto riguarda i bianchi da Trebbiano: una Regione che sta riscoprendo un’anima bianchista in grandissima crescita”. Scendendo al Sud, “in Campania va forte il Fiano, segna invece il passo il Greco, che ha patito un’annata troppo calda, il Taurasi invece continua a piacerci sempre molto. In Calabria, poi, abbiamo accolto con gioia la crescita del Cirò, con sempre più aziende all’altezza, mentre in Sicilia l’Etna si conferma come terroir di sicuro affidamento, non la consideriamo neanche più una sorpresa, anche se per noi sono i bianchi a rivelarsi più longevi rispetto ai rossi, con caratteristiche molto interessanti. Ma nell’isola c’è un altro territorio che ci ha colpiti, quello di Vittoria, del Cerasuolo e del Frappato, i veri vini estivi dello Stivale”. Senza dimenticare “la Sardegna, che, nonostante il numero limitato di aziende, ha punte qualitative interessantissime, dal Sulcis ad alcuni tipi di Cannonau della Sardegna centro orientale, senza dimenticare il Vermentino”. Per quanto riguarda i rosati, l’entusiasmo del responsabile della guida di Slow Food non è certo lo stesso dei suoi colleghi: “per trovarne di veramente buoni bisogna andare in Puglia, nelle altre zone purtroppo continuano a fare fatica, anche se sta avendo un grosso riscontro commerciale praticamente ovunque”. Simile il discorso sulle bollicine, che continuano ad avere come riferimento “il Trentino e la Franciacorta, con pochissime altre punte di qualità, come l’Alta Langa in Piemonte”.

Ernesto Gentili, de “I Vini d’Italia” de L’Espresso (che cura con Fabio Rizzari), concentra, invece, la propria analisi sull’incidenza che i cambiamenti climatici stanno avendo sul vino nel corso degli anni, “perché, ad esempio, il Merlot in Toscana, specie sulla costa, ne sta pagando le conseguenze: se negli anni ‘90 si avevano vini da 13,5 gradi e dalla spiccata acidità, oggi si hanno maturazioni troppo anticipate, ed improvvisamente una varietà che 15 anni fa sembrava in grado di adattarsi alla perfezione oggi non rende più”. Ma il cambiamento che in alcuni territori ha portato dei problemi, ha invece giovato ad altri, “dove le maturità arrivavano più a fatica, come nel nord del Piemonte, o della Val d’Isarco, le zone più fresche ed alte, che oggi si dimostrano perfette per una maturazione equilibrata: si sono spostati i riferimenti geografici, e questo presuppone un lavoro, sia in vigna che in cantina, improntato ad una maggiore attenzione”. In questa ricerca dell’equilibrio, cambiano anche le preferenze stilistiche, perché “oggi ci si tende ad entusiasmare per vini che mantengono freschezza, mentre anni fa la freschezza era sinonimo di immaturità, acidità, asprezza, ed oggi è invece equilibrio”.
Complessivamente, le denominazioni principali, si confermano su ottimi standard, “anche se dipende sempre dalle annate, con casi eccezionali come il Brunello, che ad una grande annata, la 2007, ha affiancato un’ottima Riserva. Bene anche le Langhe, che non dimostrano alcun cedimento, mentre quando si parla di Chianti Classico bisogna scindere l’aspetto commerciale da quello prettamente qualitativo: certe volte se il mercato non risponde diventa più difficile anche il lavoro quotidiano. Nel complesso le aree classiche storiche tengono bene, ed in alcuni casi, grazie ad annate favorevoli, anche meglio del solito”. Sulle bollicine, il punto di vista di Ernesto Gentili è simile a quello dei suoi colleghi: “ci sono degli spumanti assolutamente ottimi, ma non ci illudiamo di poter paragonare le nostre vette qualitative al top della produzione della Champagne, perché il gap da colmare è grande, e le caratteristiche dei nostri territori non ce lo permettono”. Sui rosati, invece, “si registra un aumento enorme dell’offerta, con un livello qualitativo sempre maggiori, anche perché quando si parla di rosati il risultato è legato alle scelte del produttore, se si decide di farlo seriamente il risultato, in tutta Italia, sarà un vino dalla grandissima piacevolezza”.

Se la maggior parte delle guide sono già pronte per essere date alle stampe, e la visione d’insieme è già esaustiva, due sono ancora in attesa delle ultime schede per tirare le somme: la “Guida Vini d’Italia” del Gambero Rosso e “Duemilavini”, la guida di Ais-Bibenda.

La “Guida Vini d’Italia” del Gambero Rosso, che, come dice il suo curatore, Marco Sabellico, “non è ancora chiusa, stiamo aspettando le ultime schede di territori importanti come il Piemonte. Ciò nonostante, i territori classici, su tutti Montalcino e l’Etna, ma anche la Franciacorta, hanno mantenuto le aspettative”.

Anche “Duemilavini”, la guida di Ais-Bibenda, non è ancora pronta, “ma - spiega Franco Ricci - ci stiamo rendendo conto, anno dopo anno, che la qualità media del vino italiano è altissima ovunque: ci sono 1.700 aziende nel Belpaese capaci di produrre buoni vini. In termini di territori al top, dobbiamo aspettare, ma Piemonte, Toscana e Friuli continuano a rappresentare il meglio dell’enologia italiana, in un contesto in cui la qualità media è altissima ovunque”.

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