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LE QUOTE LATTE? CI COSTANO IL 10% DEL TOTALE DELLA MANOVRA TREMONTI, CHE BLOCCA LA RISCOSSIONE DEI DEBITI DEGLI SPLAFANOTORI (4,4 MILIARDI) E CONSENTE LORO DI NEGOZIARE. COLDIRETTI CHIEDERA’ LUMI AL MINISTRO ALL’ASSEMBLEA NAZIONALE A ROMA (7 LUGLIO)?

Le quote latte “costano” agli italiani, in termini economici, il 10% del totale previsto nell’arco dei tre anni dalla manovra di Giulio Tremonti che ha come obiettivo quello di rimettere in sesto l’economia nazionale. “Di ministro in ministro - dice Il Velino che ha cercato di fra luce sulla questione - ogni occasione sembra essere buona per rimettere mano alla vicenda delle quote latte”. La manovra finanziaria da 45 miliardi di euro in tre anni, infatti, se da una parte blocca la riscossione da parte di Equitalia dei debiti accumulati dalle multe non pagate dagli splafonatori (4,4 miliardi di euro), dall’altra dà la possibilità di negoziate a tutti coloro che si trovano in situazione debitoria per tributi o accordi di ristrutturazione dei propri debiti. Lasciando appunto in sospeso le procedure di riscossione e pignoramento. E chissà se Coldiretti chiederà lumi direttamente a Tremonti, visto che il Ministro, il 7 luglio al Palalottomatica di Roma Eur, interverrà all’Assemblea Nazionale dell’organizzazione agricola, alla presenza di 15.000 coltivatori italiani provenienti dalle campagne di tutte le Regioni italiane, dedicata al “made in Italy alimentare quale leva competitiva in Italia e nel mondo”, per evidenziarne il contributo che può offrire all’economia, all’occupazione e alla sicurezza alimentare dei cittadini, e discuterne le strategie per valorizzare l’agricoltura e il modello agroalimentare italiano nel mondo dove ha conquistato primati nella qualità, tipicità e nella salubrità.

Tornando alla manovra, in pratica, se si tirano le somme negli anni le quote latte sono costate e costeranno ai contribuenti circa il 10% della manovra del Ministro Tremonti. Il debito esigibile ammonta oggi a 781 milioni di euro, ma il prelievo supplementare totale imputato all’Italia dal 1984 al 2010 - da quando l’allora Ministro dell’Agricoltura Filippo Maria Pandolfi barattò il latte con l’acciaio - ammonta a 4,4 miliardi di euro. Di questi il prelievo imputato nella prima fase e pagato interamente dalle casse dello Stato con l’accordo Ecofin del 1994 ammonta a 1,9 miliardi di euro. Accordo che chiuse - sempre con il Ministro Giulio Tremonti come negoziatore - la fase relativa alle campagne comprese tra il 1984-85 e il 1992-93. In sostanza facendo ricadere il debito delle quote sui contribuenti italiani sotto forma di maggiore pressione fiscale. Ancora in discussione la rimanente parte, vale a dire i 2,5 miliardi di euro relativi alle campagne comprese tra 1995-96 e 2009-2010.

Di questi i produttori cosiddetti “splafonatori” hanno pagato circa 400 milioni di euro - anche attraverso la vecchia rateizzazione del 2003 condotta dall’allora Ministro Gianni Alemanno - mentre il prelievo a loro imputato e non ancora versato corrisponde a 2,1 miliardi di euro. Soldi che sono già stati sottratti da Bruxelles all’Italia sottoforma di trattenute sui trasferimenti della Pac. I produttori che si trovano oggi a dover pagare le multe - relative alle campagne 1995-96 e 2009-2010 - si dividono in due categorie: i produttori con debito non esigibile per effetto di ricorsi - al Tar - ancora in atto, il cui debito ammonta a 1,3 miliardi di euro; e i produttori con debito esigibile (senza ricorsi o con ricorsi chiusi a sfavore per i produttori) il cui debito ammonta a circa 780 milioni di euro. Di questi ultimi - stando ai dati che si evincono dalla circolare Agea del 17 dicembre 2010 - sono stati “coperti”, attraverso la rateizzazione di Zaia, circa 43 milioni di euro. Il debito esigibile rimanente - 740 milioni circa - se non dovessero essere saldati dai produttori multati, ricadrebbero inevitabilmente sui contribuenti italiani sottoforma di pressione fiscale.

Stando ai dati Istat 2010, nel secondo trimestre, il numero di occupati (in termini destagionalizzati) risulta pari a 22.915.000 unità. Vale a dire il 57,5% della popolazione attiva compresa tra i 15 e i 64 anni. In base ai dati delle dichiarazioni Irpef 2009 (anno d’imposta 2008) - avevano già fatto sapere al Il Velino dal Dipartimento delle Finanze - sono 41.802.902 i soggetti che hanno assolto l’obbligo dichiarativo in via diretta, attraverso i diversi modelli dichiarativi (Unico, 730) o indiretta come soggetti sottoposti a ritenute da parte del soggetto che eroga loro i redditi (Mod. 770). Tra questi soggetti sono 31.087.681 i contribuenti per i quali risulta un’imposta netta, per un totale complessivo di 146,16 miliardi di euro, con un’imposta netta media di 4.700 euro. Se si analizza nel dettaglio le principali categorie di contribuenti, risulta che 17.657.443 contribuenti con imposta netta risultano avere un reddito da lavoro dipendente (a prescindere dalla titolarità o meno di altri redditi); 10.780.811 contribuenti con imposta netta risultano avere un reddito da pensione (a prescindere dalla titolarità o meno di altri redditi); e 2.593.583 contribuenti con imposta netta risultano essere titolari di partita Iva (a prescindere dalla titolarità o meno di altri redditi). A questi soggetti vanno aggiunti 412.859 contribuenti che pagano l’imposta sostitutiva collegata al regime dei contribuenti minimi. Se si divide il debito esigibile accumulato dalle multe non pagate (781 milioni) per i soggetti che secondo il Dipartimento delle Finanze hanno assolto l’obbligo dichiarativo, emerge che ogni lavoratore si troverebbe a dover pagare di tasca propria circa 20 euro nel nome degli splafonatori. Se poi si divide il debito esigibile per il numero di “occupati” stilati dall’Istat per quanto riguarda il secondo trimestre 2010, gli italiani dovrebbero pagare addirittura 32 euro circa, se le multe non dovessero essere pagate perché rimandate ancora.

Se infine gli splafonatori non dovessero saldare il conto e si volessero tirare le somme confrontando il totale del prelievo imputato da Bruxelles nel corso degli anni - vale a dire i 4,4 miliardi di euro già citati da cui devono essere sottratti i 440 saldati - e il numero di coloro che secondo il Dipartimento delle Finanze “hanno assolto l’obbligo dichiarativo”, emerge che ogni italiano che paga le tasse si ritrovera’ ad aver “contribuito” alla causa degli splafonatori, volente o nolente, circa 95 euro. Se poi si divide il debito totale per il numero di occupati risultati dai dati Istat, emerge che ogni lavoratore si troverà alla fine dei conti a dover pagare un conto da oltre 170 euro a testa per via della cattiva applicazione del regime delle quote latte in Italia. Se quello del vino è il settore di punta per l’export made in Italy agroalimentare e l’olio d’oliva è l’“oro verde” che rappresenta la Dieta Mediterranea nel mondo, è il comparto lattiero caseario il primo settore alimentare d’Italia. Secondo quando emerge dai dati di Assolatte, l’associazione Italiana dell’industria lattiero casearia alla quale aderiscono circa 300 imprese che rappresentano, in termini di fatturato, oltre il 90 % dell’intero comparto nazionale, il settore rappresenta più del 12% del fatturato complessivo del food nazionale. E le cifre parlano chiaro: le industrie lattiero casearie generano un fatturato alla produzione che raggiunge i 14,2 miliardi di euro e danno lavoro a circa 25.000 addetti, per un indotto che coinvolge più di 100.000 famiglie.

Il Ministro Tremonti sarà, intanto, all’Assemblea Coldiretti a Roma, dove sarà tra gli interventi, che seguiranno alla relazione del presidente Coldiretti Sergio Marini, insieme ad importanti esponenti del mondo accademico, rappresentanti istituzionali, responsabili delle forze sociali, economiche, sindacali e politiche nazionali ed estere: dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ad Enrico Letta, vicesegretario Pd, da Gianni Alemanno, sindaco di Roma Capitale, ai Ministri del Lavoro Maurizio Sacconi, della Salute Ferruccio Fazio e delle Politiche Agricole Saverio Romano. E nella quale la Coldiretti vuole fare il punto sull’agricoltura italiana, “un patrimonio del Paese che va difeso dalla concorrenza sleale che mette a rischio la sopravvivenza del sistema agricolo nazionale, la cui importanza è confermata dalle speculazioni sul cibo che hanno generato le recenti tensioni internazionali”.

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