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ECONOMIA

L’export agrifood italiano è il più “veloce” d’Europa: in 10 anni +27%, su una media Ue a +12%

Lo studio Cersi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con Fiere di Parma, presentato a “Cibus”
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Un piatto di pasta ed un bicchiere di vino, “cartolina” della tavola italiana

Nel decennio 2013-2023 la crescita italiana nell’export agrifood è stata del 27% sul 12% della media europea. Un risultato che ha portato i prodotti agroalimentari italiani venduti all’estero a sfiorare i 64 miliardi di dollari, il 10% dell’export europeo (679 miliardi di dollari), collocando il nostro Paese al quarto posto nel 2023 per sviluppo dell’export in Europa. Sono alcune delle principali conclusioni della ricerca realizzata dal Cersi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, in collaborazione con Fiere di Parma, presentata a Cibus (fino al 10 maggio). A livello globale, l’Europa mantiene la leadership mondiale, con una quota di mercato del 2022 superiore al 40%. In particolare dal 2020 si può notare una leggera riduzione della quota di mercato dell’Europa a vantaggio di America e Asia: nel 2022, il 22,4% del food export mondiale è asiatico, mentre il 29,5% americano. Quote di mercato inferiori rispetto a quella del nostro continente, ma sicuramente una dinamica “erosiva” da tenere sotto osservazione.
L’andamento è più chiaro se si guardano le serie storiche indicizzate, assumendo come base l’anno 2013. Qui si registra chiaramente la diversa velocità relativa di crescita (e decrescita) negli anni delle macroaree. Il “dato mondo”, infatti, è la composizione di un’America e un’Asia capaci di totalizzare rispettivamente +51% e +49%, a fronte di un’Europa cresciuta “solo” del 33%.
Tornando all’Italia, il nostro Paese ha registrato una crescita in tutti i quattro principali comparti dell’agroalimentare: nel dairy la quota di mercato passa dal 3,46% dal 2013 al 4,75% del 2022, con un valore dell’export di 5,4 miliardi di dollari; nei prodotti a base di cereali il valore dell’export nel 2022 è di 8,3 miliardi di dollari, corrispondenti a una quota di mercato dell’8,34% (era il 7,95% nel 2013); nelle conserve e nei preparati di frutta e verdura l’export del 2022 vale 5 miliardi di dollari, con una quota di mercato del 6,46% (6,38% nel 2013); e nel settore beverage l’Italia ha anche scalato una posizione, passando dal terzo al secondo posto del ranking, con un valore nominale dell’export 2022 pari a 12,6 miliardi di dollari, corrispondenti ad una quota di mercato dell’8,5%. A conferma di quanto evidenziato dai dati precedenti, in questi settori Francia e Germania hanno subito un’erosione delle proprie quote di mercato. Mostrano un trend di crescita anche Belgio, Olanda e Polonia.
Dunque l’agroalimentare made in Italy continua a viaggiare con una marcia in più registrando una crescita accelerata rispetto ad altri grandi Paesi Europei, a partire da Francia e Germania. La ricerca, presentata da Fabio Antoldi, direttore Cersi e professore di Strategia Aziendale e Imprenditorialità, insieme a Daniele Cerrato, professore di Economia Aziendale, International Business e Corporate Strategy, entrambi all’Università Cattolica del Sacro Cuore, evidenzia come si tratti di una tendenza strutturale, frutto della capacità dei nostri imprenditori, che hanno saputo cogliere opportunità di sviluppo nei mercati esteri e che ha mostrato visione strategica e orientamento di lungo termine. Elementi che confermano come l’Italia resti una terra di eccellenze. “Questi dati suggeriscono che, in un contesto macroeconomico e in un arco temporale caratterizzato da grande incertezza su tanti fronti, le imprese italiane del settore agroalimentare hanno mostrato grande capacità di adattamento ai cambiamenti nell’ambiente e sono state in grado di sostenere e sviluppare la propria competitività sui mercati internazionali più di quanto non sia accaduto in altri paesi europei”, afferma Antoldi.

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