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TRAGUARDI

L’Institute of Masters of Wine un po’ più italiano dà il benvenuto ad Andrea Lonardi

Dalla Valpolicella al gotha della wine industry mondiale: a WineNews, il percorso e gli obiettivi del Coo di Angelini Wines & Estates
ANDREA LONARDI, ANGELINI WINES & ESTATES, MANAGER, MASTERS OF WINE, MW, vino, VINO ITALIANO, Italia
Andrea Lonardi, COO di Angelini Wines & Estates e nuovo MW italiano

L’Institute of Masters of Wine, la più autorevole ed antica organizzazione dedicata alla conoscenza ed al commercio del vino (di cui fanno parte 412 professionisti da 31 Paesi) dà il benvenuto ad un nuovo Master of Wine italiano: Andrea Lonardi, classe 1974, nato in Valpolicella, Laurea in Agraria a Bologna e Master in Controllo di Gestione alla Grande Ecole di Montpellier, esperienza che gli ha aperto le porte prima di una collaborazione con la Washington State University, poi di una lunga carriera manageriale. Dopo gli stage formativi in Languedoc e Sonoma, Lonardi entra nella Top Wine Division del Gruppo Italiano Vini (Giv), occupandosi di marketing & sales. Nel 2005 guida il progetto di riorganizzazione della parte viticola del gruppo, che lo porta a lavorare nei più importanti territori del vino italiani, seguendo oltre 1.000 ettari di vigneto dalle Alpi alla Sicilia, nel ruolo di coordinatore viticolo del Gruppo Italiano Vini. Dal 2008 inizia anche ad occuparsi della parte enologica per alcuni progetti del gruppo. Nel 2012 è pronto per una nuova sfida nel ruolo di Chief Operating Officer della Bertani Domains,  oggi Angelini Wines & Estates, dove si occupa, ancora adesso, della riorganizzazione produttiva, dello sviluppo dei concept del gruppo, della costruzione del portafoglio prodotti e dello sviluppo del business.

A WineNews, il percorso di studi e professionale, iniziato nel 2014, che ha portato il Coo di Angelini Wines & Estates, Andrea Lonardi, a diventare il secondo Master of Wine italiano. E, soprattutto, le prospettive che si troverà di fronte un profilo ben diverso dalla maggior parte dei colleghi, decisamente più a proprio agio nei panni del manager che in quelli del comunicatore “con il bicchiere in mano”. Quello di Andrea Lonardi sarà un contributo diverso - ma altrettanto pregnante - a tutto il vino italiano, fondato sulla consapevolezza di poter contare su territori di grandissima eccellenza, e su managerialità e professionalità di altissimo livello: è a queste che si deve guardare, senza il bisogno di copiare modelli lontani e, culturalmente, distanti. Il tutto, ovviamente, con un approccio analitico, serio e trasparente, in cui la condivisione della conoscenza, come avviene nel percorso di ogni Master of Wine, diventa un moltiplicatore eccezionale.

Che cosa comporta l’arrivo del secondo Master of Wine italiano?
Per me non è una questione di classifica: solo quando tutti e tre gli italiani del gruppo di studio MW - oltre a me, ed a Gabriele Gorelli, primo MW del nostro Paese, e Pietro Russo, ora al terzo step del percorso - avremo in mano questo titolo potremo dire che l’Italia del vino è finalmente riuscita a dare un messaggio importante nella wine-industry internazionale. Insieme abbiamo iniziato questo percorso, insieme abbiamo condiviso ogni singolo step, perché solo insieme si riescono a fare esperienze così ampie, che vanno ben oltre il titolo. Che è sicuramente importante, ma la cosa fondamentale è la persona sulla quale esso si innesta, e per noi tre questo percorso di crescita era fondamentale. Il MW è il riconoscimento di massimo prestigio nel mondo del vino, l’Olimpiade del vino. È un esame difficilissimo, che alterna batterie di degustazione a essayes (temi) su base Oxford-Cambridge, quindi estremamente complicato per noi latini. Si può diventare MW anche studiando molto, impegnandosi solo per questa cosa, ma il rischio più grande che si corre è quello di volere il titolo e non il cambiamento di sistema operativo - fatto di hard and soft skills - che questo programma può generare a livello umano e professionale. In questo senso, le nostre storie ed i nostri background sono profondamente diversi: Gabriele Gorelli è un edonista del vino, è un professionista che conosce tutti i migliori produttori e vini del mondo. È un esteta del vino e potrà aiutare l’Italia a conoscere a fondo queste dinamiche. Pietro Russo, invece, è un winemaker con una forte sicilianità, e darà un grande contributo a questa Regione. Ha un approccio analitico, serio e trasparente al vino. A parte questo, credo che l’Italia potrà portare il concetto di managerialità del vino nei MW, grazie alle nostre figure professionali piene di creatività e spirito imprenditoriale. Il vino internazionale ha una grandissima fame di questi valori.
Quindi non arriva un altro comunicatore del vino?
I MW sono per la maggior parte dei comunicatori, poi vengono gli educator, poi alcuni winemaker ed infine i manager. Io appartengo a quest’ultima categoria, la più piccola e la più recente dei MW. Tra questi ci sono alcune wine-business people di grande successo, come David Gleave di Liberty Wines, ed alcuni più recenti come Justin Knock, Christophe Heynen e Nick Bielak. Questi ultimi tre sono stati quelli che mi hanno incuriosito ed ispirato, sono MW che non hanno costantemente il bicchiere in mano, ma si occupano di sviluppo, pianificazione, organizzazione ed hanno visione. In effetti, il vino non è solo ruotare un bicchiere, assaggiare un vino, indovinare la sua provenienza ed essere bravi a gestire i social media. Il vino è pensare anche al suo futuro stilistico, economico, sociale e produttivo. Il vino è dialogare con i viticoltori, con i commerciali e con gli imprenditori che vogliono rendere un’idea un potenziale successo. Il vino è capacità di ascolto, non solo di quello che sta nel bicchiere, ma anche di quello che un territorio può produrre o di quello che il consumatore o i mercati possono chiedere. Volevo quindi mettermi alla prova in un ricerca in cui potevo unire questi differenti approcci.
Non amo le poesie, rispetto tantissimo chi, con un bicchiere in mano, conquista le persone, ma io non ci riesco. Sono un creativo, ma ho bisogno di vedere dei risultati pratici oggettivi. Mi piace misurare le cose che si possono pensare, riportarle alla componente analitica ed ai metodi per sviluppare nuovi risultati. Pensate ad esempio a come un piccolo-medio gruppo come Angelini Wines & Estates possa contare da alcuni anni su una reportistica settimanale, con la quale si apre ogni settimana lavorativa aggiornando il gruppo di lavoro dei risultati raggiunti e dando delle proiezioni di breve (mensile) e medio (trimestrali) periodo.

Ma allora con il MW cosa farai? Cosa cambia da domani?
Continuerò a fare le stesse cose. Ho avuto una fortuna immensa in questi anni: poter praticare direttamente quello che vedevo ed imparavo nel MW su dei casi pratici e reali. In questi anni, grazie ad Angelini Wines & Estates, ho potuto sviluppare una serie di progetti di successo, innovativi e contemporanei, in cui ho messo non solo il classico grande impegno, ma anche un filo di coraggio e di visione, guidata dalla passione e dallo stimolo generato da questo programma unico. Il progetto di rilancio della Bertani attraverso il concetto dello stile, i versanti di Montalcino (le Vigne del Brunello), il focus sul Sangiovese da tre denominazioni diverse (Brunello di Montalcino, Chianti Classico e Nobile di Montepulciano), il progetto “The Library” a Bertani, lo sviluppo commerciale di Val di Suga in Usa con Wilson Daniels sono stati i miei campi di saggio. Ora, con il titolo di MW vorrei dare ancora maggiore focus, progettualità stilistica, organizzazione manageriale ed indirizzo commerciale al progetto di fine wines di Angelini Wines & Estates.

Quali sono i risultati più belli ottenute grazie al MW?
Il primo: aver modificato le mie soft skills. Sono un creativo ed istintivo, ed il percorso di MW mi ha insegnato la disciplina e la strategia, ed a ricercare le aree di miglioramento e individuare come e con chi vi si possa lavorare. Per aiutarmi in questo mi sono sottoposto a intense sedute di allenamento con un coach, il professore Andrea Cipriani. Dei tre, sono stato il primo a passare il blocco dell’esame di teoria. Si tratta di uno step che richiede di scrivere, nell’arco di cinque giorni, 13 essayes su tematiche che spaziano tra viticoltura, winemaking, quality control, marketing e temi contemporanei. Mi sono però arenato nella parte di tasting, apparentemente quella che avrei dovuto superare per primo, visto il mio background. Era la mia costante ricerca al di fuori dagli schemi che impediva questo secondo step. Oggi, grazie a queste sfide, ho acquisito una naturale flessibilità e capacità di lettura di quando servono la componente metodologica, la disciplina, il rigore e quando invece a questa si può aggiungere la componente creativa, che è quella che permette di eccellere e di diventare pionieristici e identitari.
Il secondo: il pensiero e la voglia di trasferire costantemente al gruppo di lavoro questa way of thinking. Le persone sono al centro del programma MW, così come sono il motore delle aziende, e lavorare su di esse è la cosa che più mi appassiona. Sono orgoglioso di alcuni nostri ragazzi in Angelini Wines & Estates, che hanno fatto passi da gigante in questi anni. Sono talenti favolosi per il vino italiano, e vorrei vederli spiccare definitivamente il volo e diventare wine people di riferimento nelle regioni in cui operano.
Il terzo non è ancora avvenuto: vorrei che altri managers del vino italiano potessero intraprendere questa strada. L’Italia è fatta di aziende leader dal punto di vista imprenditoriale, molto meglio di quelle che pensiamo di trovare all’estero. Dobbiamo però avere la forza e la capacità di consolidare i nostri modelli, dobbiamo individuare i nostri valori e stabilirne le priorità, saper indirizzare le nostre energie con lungimiranza e costanza. Il vino italiano ha e può mettere a disposizione grandi opportunità, non ha bisogno di scimmiottare modelli di riferimento quali Bordeaux, Borgogna, Rodano, Napa Valley o Champagne. Se non capiamo questo, corriamo il rischio di rimanere poco credibili agli occhi dei grandi opinion leader internazionali. I territori e i relativi leader hanno bisogno di coltivare la propria metodologia produttiva, la propria identità e di conseguenza la propria riconoscibilità. Barolo, Brunello, Bolgheri e alcuni top players del vino italiano - come Antinori, Ornellaia e Gaia - sono diventati veri leaders di questo modo di fare, di questa capacità di trasferire solidità, sicurezza, costanza produttiva e per questo sono substrato fertile per la creazione di valore attraverso la comunità internazionale. Oggi, per fare questo, servono risorse umane formate, e un MW può indubbiamente essere l’acceleratore per acquisire metodo e questi processi di sviluppo.

Cosa riassume questo percorso?
La mia tesi finale, quello che gli inglesi chiamano research paper: “Pergola and VSP in Valpolicella: How Labour Demand and Current Challeges Impact Training System Choices”. Si tratta di un lavoro “apparentemente” tecnico e dedicato alla Valpolicella, ma che invece rappresenta un esempio pratico di un approccio multidisciplinare a strati. La Valpolicella è chiamata a un cambio stilistico e manageriale che impone una visione e delle scelte di posizionamento commerciale diverse da quelle del passato. Per poterlo fare, occorre prima di tutto autorevolezza e riconoscibilità nella comunità internazionale, obiettivo a cui mira questo lavoro. Un lavoro che rimane “per” e “della” denominazione, ma che in realtà fornisce spunti a tutto il mondo vitivinicolo. Il confronto tra forme di allevamento - come Controspalliera e Pergola - diventerà un tema sempre più attuale considerato il cambio climatico e la scarsità di manodopera. Mettere insieme temi climatici, qualitativi, economici, sociali e legislativi è stata la dimostrazione che con un metodo rigoroso si possono ottenere risultati oggettivi. Il MW mi ha fornito l’occasione di sperimentare e mettermi alla prova per un territorio al quale sentivo la necessità di lasciare un riconoscimento e un punto di partenza per un rinnovamento necessario.
I MW spesso rappresentano una wine region: è quindi arrivato un MW veneto?
I miei 10 anni in Gruppo Italiano Vini (Giv) mi hanno dato una visione ed una conoscenza trasversale sull’Italia. Controllavamo oltre 1.000 ettari di vigneto, dalle Alpi (Nino Negri) alla Sicilia (Rapitalà). Era un gruppo di manager di altissimo livello, ed io, a 33 anni, ero il più giovane. Eravamo nel pieno della rivoluzione produttiva del vino italiano, e siamo stati capaci di sviluppare concetti di controllo di gestione per l’area di produzione, portando i primi prototipi di viticoltura di precisione e indagine dei suoli. Siamo stati pioneristici nella gestione dell’irrigazione nei climi mediterranei sviluppando gli indici di stress idrico per le varietà autoctone italiane.
Poi, dal 2012, è arrivata la Bertani Domains (oggi Angelini Wines & Estates), progetto che si è evoluto quasi in concomitanza con il mio ingresso nei MW. In questa esperienza mi sono diviso soprattutto tra Toscana, Valpolicella e mercati esteri. Ed oggi mi seno proprio così: un toscano quando sono a Verona ed un veneto quanto sono in Toscana. La Toscana mi ha insegnato il concetto di qualità, di stile ma soprattutto la capacità di creare prestigio e valore, anche se alcune volte è molto lenta e macchinosa. Il Veneto vanta invece una grande imprenditorialità, ma il limite di dover sempre correre, che si estrinseca in una instancabile capacità produttiva. Oggi le aziende di Angelini Wines & Estates ed il nostro gruppo di lavoro combinano queste due Regioni ed i loro lati positivi. Bertani è cresciuta culturalmente e commercialmente grazie ad un approccio gestionale toscano, mentre le nostre realtà toscane sono esempi di efficienza ed efficacia nei rispettivi territori. In 10 anni abbiamo rigenerato Val di Suga, portandola tra le prime 15 aziende di Montalcino, ed in questo ci è voluto il giusto mix che il MW ha sicuramente stimolato.
Come stanno cambiando i MW?
Il mondo ed il ruolo del MW stanno cambiando molto. Quello che conosciamo meglio è il loro legame alla parte finale, quella dell’assaggio e della comunicazione. Il vino, e soprattutto quello italiano, hanno invece bisogno di strategia e programmazione, di seguire schemi e logicità, di avere disciplina e coltivare l’obiettivo di identità, di prestigio. Il programma dà la possibilità di studiare modelli e sviluppare hard and soft skills di questo tipo. È un network di informazioni e di contatti operativi in tutto il mondo ed in tutti i segmenti della wine-industry. Questi sono i motivi per cui l’ho scelto e le cose sulle quali mi sono concentrato. Per alcuni posso sembrare un MW anomalo, ma al contrario mi sento estremamente proiettato al futuro.

Come ti senti?
Fortunato ad avere avuto l’umiltà di accettare i consigli e di aver coltivato delle mentorship diversificate e di altissimo livello. È stata una cosa che ho ricercato e che pratico con metodicità. Curo confronti tecnici, metodologici, manageriali, di gestione delle risorse umane, ma allo stesso tempo stimolo la mia mente anche su temi esterni al vino. Da anni investo in coaching di alto livello e continuamente pianifico nuovi orizzonti di crescita. Adoro studiare le skills di chi mi sta di fronte e cercare di cogliere il meglio. Quando posso faccio di tutto per cercare di infondere queste cose anche nel mio gruppo di lavoro. Il MW è stato il contesto ed il substrato ideale per stimolare e sviluppare queste soft skills.

Ma come è la comunità dei MW?
È un ambiente unico, per certi versi diabolico, ma allo stesso tempo un grandissimo volano di energie e stimoli. È un grande club basato sul concetto di critical friends, in cui i giudizi sono sempre estremamente severi e selettivi: per questo in molti abbandonano. Sono però giudizi che non vogliono penalizzare, bensì mettere in luce quali sono i punti da migliorare. È un club nel quale la regola principale è lo share che crea un sistema orizzontale, come il mondo professionale oggi impone. È un club nel quale i leader basano la propria forza sul prestigio, e non sul comando. La comunità dei MW non dà imposizioni e non ci sono controlli, è un ambiente in cui vige una leadership fondata sull’autorevolezza, e che viene riconosciuta dal gruppo. Per questo le persone si uniscono e cercano supporto, perché non è il singolo, ma il gruppo di lavoro, che emerge. Io, Gabriele e Pietro siamo un esempio di questo, e questi sono gli elementi che rendono l’Institute of Master of Wine ancora oggi interessante e contemporaneo dal punto di vista formativo.

Quali sono le persone che vorresti ringraziare?
Mia moglie Alberta e le mie figlie Maria e Margherita: mai per un secondo hanno messo in dubbio che non sarebbe arrivato questo riconoscimento. La stima è fondamentale nella self-confidence. Gabriele Gorelli e Pietro Russo, i miei due compagni di viaggio: la nostra complementarietà deve essere esempio di team building e del fatto che in gruppo ciò che è impossibile singolarmente è superabile. E poi chi mi ha spinto a fare questa scelta, i vertici di Angelini Wines & Estates ed il mio gruppo di lavoro per avermi lasciato fare questa cosa. Andrea Cipriani, un professionista del coaching con il quale collaboro da tre anni. Ed infine alcuni Mws, su tutti Yiannis Karakasis, Michelle Cherutti-Kowal e Chistophe Heynen.

Focus - La biografia di Andrea Lonardi
Andrea Lonardi è nato in Valpolicella, si è laureato in Agraria a Bologna e ha un Master in Controllo di Gestione alla Grande École di Montpellier, che gli ha aperto le porte prima ad una collaborazione con la Washington State University, quindi ad una lunga carriera manageriale. Dopo gli stage formativi in Languedoc e Sonoma, Lonardi entra nella Top Wine Division del Gruppo Italiano Vini, occupandosi di Marketing & Sales. Nel 2005 guida il progetto di riorganizzazione della parte viticola del gruppo, che lo porta a lavorare nei più importanti territori del vino italiani, seguendo oltre 1.000 ettari di vigneto dalle Alpi alla Sicilia, nel ruolo di Coordinatore Viticolo di gruppo. Dal 2008 inizia anche ad occuparsi della parte enologica per alcuni progetti del gruppo. Nel 2012 è pronto per una nuova sfida, nel ruolo di Chief Operating Officer della Bertani Domains, oggi Angelini Wines & Estates, dove si occupato, della riorganizzazione produttiva, dello sviluppo del concept di gruppo, della costruzione del portafoglio prodotti e dello sviluppo del business. Oggi in Angelini Wines & Estates continua nella ricerca, produzione e sviluppo distributivo nel mondo dei fine wines. Andrea Lonardi è inoltre vice presidente del Consorzio Tutela Vini della Valpolicella, membro del board di Unione Italiana Vini (Uiv) ed ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo del progetto “Le Pievi” nel Vino Nobile di Montepulciano.

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