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Mario Incisa Della Rocchetta, il ricordo di un agronomo ed ambientalista di Attilio Scienza

Mentre firma il nuovo libro “Vine and Prejudice”, uno dei massimi esperti di viticoltura racconta l’agricoltura italiana tra Ottocento e Novecento

Mario Incisa della Rocchetta, agronomo ed ambientalista - Il ricordo di un agronomo
Ringrazio Stefano Hunyady, nipote di Mario Incisa e Pier Mario Meletti Cavallari, viticoltore in Bolgheri, che per primo intuì, con il vino di Grattamacco, il valore del territorio attraverso il successo del Sassicaia, per avermi riservato l’onore di poter parlare di Mario I., agronomo e ambientalista e di avermi concesso di accedere alla documentazione in loro possesso. Ho scoperto attraverso le imprese di Mario I., perché di imprese si tratta, quella parte della storia dell’agricoltura italiana tra Ottocento e Novecento che ancora oggi condiziona il nostro operare. Vi sembrerà strano, ma in questo ricordo di Mario Incisa, si parlerà poco di Sassicaia e di Ribot, anche se questi due fenomeni dall’elevato valore mediatico sono fortemente connessi a tutta la vita di Mario I. durante la sua permanenza all’Olgiata. Spero che dalla mia trattazione non emergano quegli accenni agiografici che spesso accompagnano la storia delle persone importanti, per onorare la scelta di Mario I. per una vita semplice e lontana dalla mondanità. La narrazione può essere fatta come uno storytelling dell’Europa tra Ottocento e Novecento, attraversata da alcune grandi calamità e da grandi innovazioni e scoperte scientifiche che hanno cambiato il corso della storia agraria anche contemporanea, non solo del Vecchio Continente. Possiamo immaginare Mario I. come un eroe moderno, alla ricerca di sé stesso, coinvolto in un conflitto tra l’eroe e l’antieroe, nell’impresa verso la scoperta di un tesoro o di un evento verità e, anche grazie all’aiuto di aiutanti, supera gli ostacoli e raggiunge il premio finale a coronamento dell’impresa. La sua, come avremo occasione di scoprire, è un’impresa di grande attualità, perché attraverso la sua esperienza di agronomo ed ambientalista possiamo individuare alcuni antidoti efficaci per risolvere i problemi che affliggono il nostro tempo, come la sostenibilità ambientale e le conseguenze del cambiamento climatico.
La storia inizia, come di prassi con la nascita di Mario I., nel 1899 a Palazzo Ghigi in piazza Colonna a Roma. È figlio di Eleonora Chigi della Rovere e di Enrico Incisa della Rocchetta. A Pisa dopo la guerra dove era stato ufficiale di cavalleria, studia, contro le sue volontà, agraria ed incontra nel corso delle cavalcate a San Rossore, il conte Alberto e suo figlio Giorgio Ugolino (Gogo) della Gherardesca che studia anche lui agraria a Pisa. Con loro fa il primo incontro con Bolgheri, incontro che si rivelerà determinante nella vita di Mario I. perché conosce nelle frequentazioni successive con Gogo, Clarice della Gherardesca, con la quale si fidanza e che poi sposerà il 18 ottobre del 1930. Per Bolgheri Mario I. ha un curioso rapporto di odio/amore. Da buon piemontese diffida dei toscani, d’altra parte è attratto dalla natura selvaggia della Maremma. Viene a Bolgheri solo per i bagni d’estate ed ospita Luigi Einaudi, piemontese come lui, per studiare come abolire la mezzadria che odia. Infatti liquida i contadini che assume come dipendenti. All’Olgiata si trasferìsce verso gli anni Trenta, dove rimarrà fino al dopoguerra. È l’Olgiata il suo vero progetto, che sarà finanziato dai successi di Ribot, e il luogo dove nascono i suoi figli. Anche San Guido ed in parte il paese di Donoratico sono costruiti con questi successi. A Bolgheri di ritorno dall’Olgiata, dopo gli anni Cinquanta, intraprende una produzione di frutta ed ortaggi per la Svizzera, oltre ai bulbi di gladiolo per Europa ed America. Quando nel Settantadue muore Ribot, i redditi del Marchese crollano e solo il vino salverà la sua impresa. E pensare che Ribot a Bolgheri non arrivò mai. La storia del Sassicaia e della sua origine talvolta leggendaria, inizia nel 1950 quando Mario I. pianta le prime viti negli ex orti dei coloni a Castiglioncello a 400 m slm. Dapprima con vitigni toscani, in seguito con quelli bordolesi, le cui marze sono prelevate nei vigneti dei Salviati di Migliarino.
Per comprendere l’opera di vita di Mario I. è necessario descrivere il contesto storico in cui opera e la scansione delle date degli avvenimenti di quel periodo, sono elementi importanti per comprendere le sue scelte. Mario I. agronomo, si forma nel fervore della rivoluzione delle conoscenze agronomiche dell’Ottocento che si fondano sulla scoperta della fotosintesi del De Saussure del 1804 e dal manifesto del Liebig del 1840 sulla fisiologia vegetale. Lo sviluppo agricolo in Europa continentale (Fiandre Brabante, Olanda, Inghilterra) tra il Settecento e l’Ottocento fu il risultato della conduzione diretta delle aziende da parte dei proprietari, a differenza dell’Italia dove la mezzadria, l’affitto, l’enfiteusi erano elementi di arretratezza. Questa nuova agricoltura si basava sulle cosiddette colture alterne (le rotazioni e le successioni) tra foraggi e cereali. Dalla metà dell’Ottocento in Europa, le gravi conseguenze economiche sociali provocate dall’arrivo della grandi calamità (malattie americane, malattie del gelso, del baco da seta, il carbonchio ematico) vennero in parte contrastate dagli sviluppi della nascente meccanizzazione agricola, dalle conoscenze sviluppate dalla chimica e dalla formazione dei tecnici attraverso le scuole di agraria. Nasce la figura dell’agronomo che portò alla creazione delle aziende modello, i veri motori della diffusione delle innovazioni sviluppate dalle sperimentazioni, unitamente alle Accademie di Agricoltura. In Toscana l’Accademia dei Georgofili si interessò ai problemi dell’agricoltura sulla spinta del pensiero fisiocratico. Le parole agronomia, agronomo, sintesi di arte e scienza, entrano nel vocabolario delle Crusca solo dopo il 1863 assieme alla parola agricoltura. L’opera di Cosimo Ridolfi fu certamente alla base delle scelte che fece Mario I. nelle modalità di conduzione delle sue aziende. Chi era Cosimo Ridolfi? Fiorentino, accademico dei Georgofili (che tra l’altro sposa una Salviati, famiglia che avrà un ruolo fondamentale nella attività di Mario I. viticoltore), con le “Lezioni di Agronomia” del 1857 propone il nuovo ruolo che doveva avere il proprietario agricolo, allora notoriamente assenteista (la conduzione delle aziende era affidata al fattore e gli agricoltori erano di norma mezzadri), nel riavvicinamento tra proprietari ed agricoltori, evidenziando altresì il ruolo della istruzione con la fondazione a Meleto nel 1834 della prima scuola di agricoltura. Analogamente in Lombardia Gaetano Cantoni fonda a Milano la prima scuola di agraria nel 1855 e scrive assieme ad altri, l’“Enciclopedia agraria italiana”, un’opera fondamentale per tutti gli agronomi del primo Novecento.
Saranno queste opere il vademecum dei progressi dell’agricoltura italiana del tempo e la base della formazione dell’agronomo Mario I. all’Università di Pisa. Nella seconda metà dell’Ottocento si susseguirono alcune iniziative fondamentali per lo sviluppo della agricoltura italiana del Novecento: nel 1866 vengono fondati i Comizi agrari organismi pubblici per promuovere la divulgazione agraria, nel 1870 vengono fondate le prime tre stazioni sperimentali, e nel 1886 la prima cattedra ambulante che verso gli anni Quaranta del Novecento saranno trasformate negli ispettorati agrari, perdendo così la loro gestione autonoma. Questo attivismo mette in luce il problema della mancanza degli agronomi preparati, necessari per gestire queste nuove esperienze di formazione e divulgazione a causa dell’arretratezza delle Facoltà di Agraria. Con l’arrivo della meccanizzazione nella seconda metà dell’Ottocento, viene introdotto l’aratro di ferro capace di “dissodare, rivoltare la fetta ed appianare il terreno”. È il passaggio dall’aratro simmetrico, tracciatore di solchi lineari all’aratro asimmetrico che rivolge la fetta. Questo tipo di aratro è una vera rivoluzione ed ogni Paese europeo ne propone tipi diversi in funzione dei suoli dove devono operare. Sono inizialmente mossi dalle macchine a vapore. Le prime innovazioni tecnologiche investono solo le grandi aziende del nord. La fine dell’Ottocento evidenzia le criticità dell’agricoltura italiana: la globalizzazione dei mercati dei cereali a causa delle importazioni di grano dagli Usa, provoca il crollo dei prezzi in Europa. La crisi agricola viene accentuata dagli effetti drammatici delle malattie americane. Si inasprisce il conflitto sociale delle campagne con la contrapposizione degli atteggiamenti del patronato e le rivendicazioni salariali, accompagnato da un consistente incremento demografico che provoca emigrazione rurale interna verso le città ed esterna verso le Americhe. Per la prima volta è necessario considerare la produttività ed i costi di produzione. Vengono incontro a queste necessità, la meccanizzazione (trattori e aratri da scasso), la concimazione fosfatica (anche se quella organica resta prioritaria), il miglioramento genetico, anche se le leggi di Mendel vengono applicate solo dopo la Prima guerra mondiale (sementi selezionate) e lo sviluppo delle ferrovie e della rete stradale.
Mario Incisa vive una fase profonda di trasformazione della figura dell’agronomo e del suo ruolo di fronte alle nuove conoscenze della fisiologia, della biochimica e della chimica agraria. La conoscenza del suolo, dagli inizi del Novecento al periodo tra le due guerre, passa da qualche analisi chimica dei primi 30 cm del terreno, alle applicazioni della pedologia con lo studio del sub stratum che fa comprendere come il suolo sia la più fragile delle risorse agricole e nello stesso tempo il testimone previlegiato delle influenze dell’ambiente naturale ed antropico. Nascono le prime carte dei suoli ed una sorta di legame placentale con la terra: sono gli anni di una visione dinamica ed evoluzionistica della terra che rompe con la visione statica, inerte del suolo di Liebig, che diventa così un corpo vivente, non solo derivato dalla roccia madre ma soprattutto frutto di un processo di umificazione della sostanza organica. Queste conoscenze saranno determinanti per le scelte che Mario I. farà in quella parte della sua vita dove alla produttività delle coltivazioni si sostituirà la salvaguardia delle risorse ambientali.
Cosa significa l’espressione: buon padre di famiglia. Per i georgici latini la gestione dell’azienda agricola aveva come ideale la conservazione del patrimonio famigliare. È stato questo il fondamento dell’insegnamento agronomico nelle Facoltà d’Agraria fino alla Grande Trasformazione della metà del secolo scorso, coincisa con la scomparsa della mezzadria. Era questa una regola aurea per la conservazione delle risorse naturali dell’azienda agricola e per la loro reintegrazione con le strategie di un’economia circolare. L’attività di Mario I. all’Olgiata si sviluppa nel momento in cui il Regime Fascista vara la legge sulle bonifiche e avvia la Battaglia del Grano. L’aumento del prezzo del grano e le sanzioni della Società delle Nazioni per l’invasione italiana dell’Etiopia, costringono il Regime Fascista all’autarchia ed a trovare delle alternative alle importazioni di grano per garantire il pane agli italiani. Lo sviluppo della superficie coltivata venne ottenuta soprattutto grazie alla bonifica integrale bonifica realizzata su tutto il territorio nazionale, in particolar modo nell’Agro Pontino ed in Maremma, ed in parte con la coltivazione dei cereali in terreni prima destinati ad altre colture. La legge sulle bonifiche ed il ruolo dei consorzi di Bonifica del 1933 rappresentano lo strumento fondamentale per la salvaguardia del territorio e valorizzazione produzione agraria (o anche bonifica integrale secondo la definizione di Arrigo Serpieri, Acc. Georgofili 1929). Le linee guida furono indicate da Arrigo Serpieri, agronomo di spicco ed Accademico dei Georgofili a capo di un comitato di coordinamento che chiedeva l’esproprio dei latifondi ed il coinvolgimento delle Cattedre ambulanti di agricoltura (nascita della Federconsorzi) per divulgare le conoscenze derivanti dalla sperimentazione, rappresentate dalla selezione dei semi, la produzione e la diffusione delle sementi elette, il problema dei concimi e dei perfezionamenti tecnici, il problema dei prezzi. Nella scelta più accurata delle sementi, un importante ruolo fu svolto dall’Istituto di Granicultura di Rieti, diretto da Nazzareno Strampelli. Nacque il concetto di sementi elette, poi ripreso da un apposito Ente nazionale sementi elette, per favorire un maggiore ricorso a fertilizzanti, naturali e chimici, e un ruolo importante fu assunto dalla Montecatini (azienda) e dalla meccanizzazione. L’aumento di produttività agricola generato dalla Battaglia del Grano favorì lo sviluppo economico italiano nel lungo periodo. “Ferisco per fecondare” è il motto che venne coniato nel 1928 dal Regime nella bonifica dell’Agro pontino e nelle terre dette “di fuori porta”. Voleva dire abbandonare i metodi arcaici di aratura con animali ed utilizzare l’aratro che rivoltava la fetta di terra (una scoperta recente, verso la metà dell’Ottocento) trainato dalle prime motrici a motore a vapore e quindi endotermico (chiamata la macchina favola) . Con l’aratura dalla profondità di un metro si portava in superficie la terra vergine e fertile. Questa rivoluzione nel modo di coltivare la terra diede un contributo fondamentale alla bonifica di molte zone umide d’Italia ed al successo della Battaglia del Grano, che iniziò nel 1925 e contribuì alla riduzione dell’importazione di grano dall’estero.
In questo contesto politico ed economico inizia l’avventura dell’Olgiata. L’Olgiata viene data a Mario I. nel 1930 dalla madre Eleonora, dopo che la proprietà Chigi è riscattata dai fondi americani di Clarice della Gherardesca, moglie di Mario I., sposata a Bolgheri il 18 ottobre del 1930, con un vincolo del padre Giuseppe della Gherardesca a favore della figlia, visti i precedenti finanziari dei Chigi. La campagna romana tra l’Ottocento ed il Novecento mantiene la sua vocazione zootecnica e cerealicola estensiva: la nobiltà proprietaria pontificia non assume ruoli di diretta partecipazione alla gestione e si accontenta degli affitti in denaro. Mario I. si mise le mani nei capelli dopo aver visitato l’azienda: era un acquitrino pieno di zanzare e di malaria. Iniziò dalle strutture edilizie allora fatiscenti: oltre alla villa padronale, vennero costruite le case coloniche per i dipendenti, l’acquedotto, il caseificio, un dopolavoro per i dipendenti, un asilo ed una mensa. Una capannina meteorologica, una vera novità per quei tempi. Si ispirava allo schema della Citta Ideale, la reale colonia di S. Leucio di Ferdinando di Borbone della fine del Settecento. La Tenuta dei Chigi era una repubblica a parte che si poteva solo amare a detta dei dipendenti e collaboratori di Mario I. gratificati dalla partecipazione degli utili, un esempio poco gradito da Mussolini. Stalle moderne per i bovini (147), silos per i foraggi, 1700 capi ovini incrociati con la Merinos ed infine l’allevamento dei cavalli da corsa della famosa razza della Dormello Olgiata, con Nearco capostipite ed il grande Ribot, per il quale gli americani nel 1956 pagheranno un miliardo per le sue doti di razzatore. Morirà nel Kentucky nel 1972. Nel recupero dell’azienda si avvalse delle competenze dei duchi Salviati e dell’apporto scientifico di Nazareno Strampelli, affrontando i problemi della presenza di un caranto che lo costrinse a arature molto profonde per soddisfare quello che veniva chiamato il “mago” del grano. Vedremo che questa scelta rappresenterà una nemesi storica nella sua vita di agronomo. Con Strampelli venne realizzato un laboratorio germinale per valutare la reazione dei vari grani al terreno ed i risultati di questo lavoro portarono alla cv Roma, una varietà élite per produttività e qualità dei grani. Il professor Molon, pomologo dell’Università di Milano, di ritorno da un viaggio di studio attraverso la frutticoltura degli Usa, pubblicato del 1917, si rende conto della arretratezza della frutticoltura italiana dai connotati di una produzione famigliare, mentre quella californiana era di tipo industriale dove le differenze non erano solo a livello varietale o di forma di allevamento ma anche nei trasporti e confezionamento. Mario I. dai riscontri della relazione di Molon, chiede al professor M. Ferraguti, discepolo di Mendel, per reagire allo stato di arretratezza della frutticoltura italiana di allora, di realizzare il cosiddetto ettaro lanciato: 2.000-3.000 piante ettaro, allevamento del pero a fusetto, produzione fino a 1.000 qli/Ha.

Il Ventennio e la genetica dei cereali
Se nell’Ottocento l’incremento della produzione di grano in Europa era legata alla diponibilità di letame e quindi allo sviluppo della zootecnia, la rivoluzione agraria del Novecento è stato un fenomeno correlato alla rivoluzione dell’alimentazione ed al miglioramento delle condizioni di vita di contadini e cittadini. Il successo della Battaglia del Grano del Fascismo è imputabile a due fattori innovativi, il miglioramento genetico (Nazareno Strampelli) e la concimazione azotata (Dante Gìbertini) . Chi era Strampelli (Montalto delle Marche 1886- 1942)? Alle soglie della Prima Guerra mondiale, sulla base delle teorie di Mendel da poco tempo sdoganate dal mondo accademico, fa i primi incroci utilizzando i grani locali di Rieti dove sorgerà durante la Battaglia del Grano la prima stazione sperimentale di cerealicoltura, per ottenere resistenza alle ruggini ed all’allettamento. Nel 1929 rilascia il San Pastore protagonista delle Battaglia del Grano e la più diffusa varietà nel mondo. Nel grano duro suo è il Senatore Cappelli ancora oggi un grano di grande qualità per la pastificazione, creato nel 1915, resistente alla siccità, a taglia alta per soffocare le infestanti, creato utilizzando un grano nord africano. La strategia genetica di Strampelli si basava sulla creazione di grani precoci per sfuggire alla stretta della siccità di luglio e la taglia bassa per evitare l’allettamento favorito dalle concimazioni azotate
La cosiddetta rivoluzione verde è alle porte ed è il risultato degli incrementi di produttività per ettaro, per i perfezionamenti dell’agronomia ma soprattutto per i risultati della genetica dei cereali. Questa intensificazione colturale si sviluppa purtroppo in mono successione, e questo provoca l’incremento delle infestanti, la necessita di una elevata nutrizione minerale e la difesa dai parassiti. Si assiste per la prima volta alla riduzione della sostanza organica nei suoli (agricoltura di rapina). Nasce anche la agri-ecologia (si badi bene non l’agricoltura biologica) che contrasta alcuni principi base delle produzioni intensive quali la monocoltura, l’intensificazione delle lavorazioni al terreno, l’uso eccessivo di fertilizzanti ed agrofarmaci, con l’obiettivo di evitare la perdita di produttività delle terre coltivate (per la sostanza organica) stimato attorno all’0.1% anno. Non si tratta di ritornare alle tecniche di coltivazione superate ed obsolete del passato ma di praticare una agricoltura sostenibile ed insieme produttiva. È una rivoluzione concettuale, perché si passa da una agricoltura fillocentrica ad una rizocentrica che tende a favorire l’azione delle radici con lavorazioni e concimazioni ma che è in contrasto a quella che viene definita l’agricoltura conservativa che mira ad evitare l’ossidazione della sostanza organica.

La siccità degli Usa degli anni Trenta e la Grande Depressione
“Dust bowl” (vaso di polvere): nel 1932 furono registrate negli stati centrali degli Usa ,14 tempeste nelle pianure, che arrivarono a 38 nel 1933. Nel 1934 cento milioni di acri di terre agricole avevano perso tutta o almeno gran parte del terreno di superficie, soffiato via dal vento. Negli anni Trenta gli effetti della siccità colpirono maggiormente l’agricoltura e interessarono, per quasi dieci anni, tutte le Grandi Pianure. A danneggiare i raccolti, assieme alla scarsità di pioggia, arrivarono le alte temperature e il vento (J. Steinbeck, “Uomini e topi”, “Pian della Tortilla”, “Furore”, “La valle dell’Eden”, scritti tra il 1935 ed il 1939). Il fenomeno di erosione del suolo, dovuto al soffiare delle tempeste di polvere, non fu soltanto conseguenza dell’aridità, ma va fatto risalire, prima della siccità degli anni Trenta, alle pratiche di utilizzazione dei terreni poveri e a metodi di coltivazione che erano in voga nelle Grandi Pianure da quasi un secolo prima e che accentuarono la vulnerabilità dei suoli della regione. Negli anni Sessanta si sviluppa negli Usa una agricoltura conservativa con l’obiettivo di ridurre gli effetti dell’erosione anche eolica (in ricordo delle tempeste di sabbia degli anni Trenta) basata sul sod seeding e sul minimum tillage.
Certamente i drammatici effetti delle tempeste di sabbia americane causate dalle arature intensive, lasciarono il segno nel modo di interpretare l’agricoltura in Mario I. e contribuirono a far nascere in lui una nuova coscienza ambientalista. Il suo impegno per la protezione della natura come è scritto nel suo saggio “La terra è viva”, pubblicato postumo nel 1984, furono anche il risultato dei rapporti con il professor Longo, botanico dell’Università di Pisa. Dal libro dal quale traspare un nuovo approccio alla natura, delinea il significato di “ritmo” della natura, delle stagioni, della luna (per il taglio del legname per costruire i carri), della crescita delle piante e delle gravidanze caratteristiche di ogni animale. Definisce il ruolo che l’uomo simbionte ha nella conservazione della fertilità integrale del suolo. È un precursore del concetto di sostenibilità e di multifunzionalità dell’agricoltura, alla base di una epistemologia dell’ecologia che si sviluppa attorno agli anni Cinquanta. Si ispira ai precetti di Masanobu Fukuoka, botanico e filosofo giapponese, nonché assertore della agricoltura naturale o del non fare, nel suo libro “La rivoluzione del filo di paglia” del 1980. Nel libro vengono indicati i quattro pilastri della agricoltura naturale: 1) nessuna lavorazione, nessuna aratura del suolo (ripresa recentemente dal sod seding); 2) nessuna concimazione chimica (alternativa il sovescio); 3) nessun diserbo né con l’erpice né con i diserbanti (alterativa l’inerbimento); 4) nessuna dipendenza dai prodotti chimici. Da queste pagine capisce la necessità di rifiutare l’aratura causa della perdita di fertilità (ossidazione della sostanza organica) e quindi della perdita di vigore delle piante. Una volta arata la terra ha bisogno di fertilizzanti, occorre diserbare, combattere insetti e funghi. Non si lavora per una maggiore produzione o per più efficienza, che sono gli obiettivi esclusivi della agricoltura industriale, ma per il miglioramento degli esseri umani. Lui che aveva creduto nella ricerca, rinnega quella coltura basata esclusivamente sulle rigorose sperimentazioni cartesiane. Il saggio rappresenta un energico grido di condanna degli effetti nefasti sulla vita delle piante operati dalla aratura profonda che negli anni Trenta aveva bonificato le paludi italiane con l’introduzione della meccanizzazione. Aderisce alle indicazioni di Giulio Del Pelo Pardi famoso agronomo di quei tempi. Il libro è un vero e proprio trattato di agronomia scritto in modo semplice, ricco di esempi pratici presi anche dalla sue esperienza di cacciatore, su come si devono lavorare i diversi terreni: quelli forti, molto argillosi, per i quali è molto importante il momento in cui si lavorano, in estate, al contrario di quelli sabbiosi. Di estrema attualità il tema delle irrigazioni e dell’acqua resa indisponibile dall’abbassamento delle falde per le perforazioni profonde per estrarre gas o della possibilità di raccogliere la rugiada con le pietre ed infine il valore non solo ambientale delle zone umide e delle paludi, dissennatamente bonificate negli anni Trenta. Parlando dell’importanza di censire gli alberi monumentali, cosa che il Wwf fece in quegli anni, riporta una curiosa testimonianza di un giovane atleta accinto a tagliare una enorme quercia per allenarsi per le imminenti Olimpiadi di Roma.
La seconda guerra mondiale interrompe il suo impegno civile portandolo in Albania come ufficiale di complemento in cavalleria. Il trasferimento a Bolgheri alla “Villa il Poggio” avvenne dopo il bombardamento americano del casale dell’Olgiata, con l’armistizio dell’8 settembre del 1943 e con l’insediamento del comando tedesco nei fabbricati dell’azienda. Nel 1959 dona al Wwf i 90 Ha delle Padule che diviene assieme a Burano la prima oasi faunistica d’Italia. E il cofondatore e primo presidente nel 1966 del Wwf italiano. Da presidente della Olgiata Romana SpA favorì la lottizzazione della tenuta ma impose alcune regole: costruzione basse max 2 piani, 10.000 mq di terreno di pertinenza, nessun muretto di recinzione e sconsigliò l’illuminazione notturna delle strade per non perdere il gusto della notte. Nel 1971 gli viene conferita l’honoris causa in Scienze naturali dall’Università di Camerino come riconoscimento della donazione della Montagna del Torricchio all’Università. Questa proprietà, acquistata nel 1941che era utilizzata per le pecore dell’Olgiata, viene donata per istituire una Cattedra in ecologia in modo che la Montagna possa diventare un laboratorio all’aria aperta. Dalla Lectio Magistralis per il ringraziamento del conferimento della laurea ed in qualità di presidente del Wwf sono tratte queste parole: “Il “giardino terrestre” che è stato dato a noi tutti esseri viventi e che forse è il solo nell’universo, subisce le peggiori offese da noi “soli esseri ragionevoli”. A causa di quelle offese esso si deteriora, decade, deperisce di anno in anno, in maniera paurosamente progressiva e noi rischiamo di perderlo per sempre”.
Il 6 settembre del 1983 muore all’età di 84 anni in una clinica svizzera e riposa nel piccolo cimitero a ridosso di Castiglioncello, dove piantò le prime barbatelle. La moglie Clarice durante l’esperienza dell’Olgiata fu fedele interprete dello spirito innovativo ed anticonformista di Mario I. Fu determinante nel riscatto dell’Olgiata, gravata dai debiti di Agostino Chigi, portò oltre alle risorse finanziarie, anche lo spirito liberale americano, unito al solidarismo cristiano ed alla educazione montessoriana. Morirà nel 1998, 15 anni dopo suo marito. Per ricordare degnamente l’opera di Mario I. ed a conferma dell’espressione di Orietta alla sua morte, “è sempre stato un uomo avanti con i tempi”, penso che la migliore espressione sia quella che Dante usò per salutare Virgilio alla fine del Purgatorio (Canto XXII, 67-69): “Facesti come quel che va di notte che porta il lume e sé non giova, ma dopo sé fa le persone dotte”. Come diceva Umberto Eco: “dobbiamo riappropriarci dell’arte delle sintesi, della visione dell’insieme, della scienza dell’intero”.

Attilio Scienza, professore di Viticoltura all’Università di Milano
Relazione tenuta al Rotary Club Cecina nel luglio 2022 in onore di Mario Incisa della Rocchetta

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