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L’OMAGGIO

Mattarella: “protezionismi immotivati danneggerebbero in modo importante vino e olio”

Il Presidente della Repubblica nel “Forum” n. 44 della Fondazione Italiana Sommelier rivolto ai giovani ed al futuro dell’agroalimentare made in Italy

 “Le risorse alimentari, in tempi come quelli che viviamo, con la guerra ai confini dell’Europa, acquisiscono ancora più valore. Lo abbiamo visto relativamente al grano nella contesa che ha visto l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Nuove nubi, nel frattempo, sembrano addensarsi all’orizzonte, portatrici di protezionismi immotivati, di chiusura dei mercati dal sapore incomprensibilmente autarchico, che danneggerebbero in modo importante settori di eccellenza come quelli del vino e dell’olio. Produrre per l’auto-consumo ricondurrebbe l’Italia all’agricoltura dei primi anni del Novecento. Legittimamente le associazioni dei produttori esprimono preoccupazione per le sorti dell’export. Misure come quelle che vengono minacciate darebbero, inoltre, ulteriore spinta ai prodotti del cosiddetto “italian sounding”, con ulteriori conseguenze per le filiere produttive italiane, non essendo immaginabile che i consumatori di altri continenti rinuncino a cuor leggero a rincorrere gusti che hanno imparato ad apprezzare. Commerci e interdipendenza sono elementi di garanzia della pace. Nella storia la contrapposizione tra mercati ostili ha condotto ad altri più gravi forme di conflitto. I mercati aperti producono una fitta rete di collaborazioni che, nel comune interesse, proteggono la pace. Signore e signori, siete parte di quel che oggi l’Italia sa proporre con le sue eccellenze. Testimonianza della vitalità della sua società civile e delle sue forze produttive e le istituzioni devono essere a fianco dei vostri sforzi e del vostro lavoro. Grazie per quello che avete fatto e fate per qualificare la presenza italiana nel mondo”. Lo ha detto il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, rivolto alla platea di produttori ed esponenti del settore, con i Ministri dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e della Cultura Alessandro Giuli, nel “Forum della Cultura dell’Olio e del Vino” n. 44 promosso da Bibenda & Fondazione Italiana Sommelier (Fis), con la regia di Franco Maria Ricci, all’Hilton Cavalieri, oggi a Roma. Una concreta testimonianza della grande importanza che l’agroalimentare riveste per l’Italia, e che nel vino e nell’olio ha i suoi prodotti di punta - nel 2024 ha registrato il record storico di sempre nelle esportazioni, con oltre 69 miliardi di euro, con l’extravergine di oliva a trainare la crescita in valore, e con il vino che rappresenta la prima voce con 8,1 miliardi di euro, secondo i dati Istat definitivi, un contributo economico complessivo al Belpaese di oltre 45 miliardi di euro l’anno e un valore aggiunto di 17,4 miliardi di euro, pari all’1,1% del Pil, grazie a più di 300.000 aziende ed altrettanti occupati tra filiera e indotto - ma che, in uno scenario geopolitico sempre più complesso, sono minacciati dai dazi promessi dal Presidente Usa Donald Trump nei confronti dell’Ue. Presidente Mattarella al quale, la Fis ha donato un olivo, che verrà piantato nella Tenuta di Castel Porziano, come simbolo di vita e di longevità. E di pace, ha ricordato lo stesso Mattarella.
“Ringrazio dell’invito a un Forum che si presenta di grande interesse - ha aperto il suo intervento il Presidente Mattarella - è una occasione per dibattere su eccellenze della nostra esperienza produttiva, sulla crescita delle competenze professionali che l’hanno accompagnata. Induce a guardare alla strada percorsa sin qui. Una strada di continua e crescente garanzia di alta qualità. Chi non è più giovane ricorda la triste vicenda del metanolo quasi 40 anni fa, con vittime, invalidità permanenti, tanti intossicati. Allora Governo e Parlamento intervennero con decisione, modificando regole di tutela, ma a prendere coscienza furono soprattutto gli operatori del settore che, con la loro azione - con l’enologia divenuta una scienza - hanno assicurato immagine e prestigio al settore vitivinicolo. I vostri sono settori consapevoli di quanto l’impegno verso la qualità, con la salubrità degli alimenti, rechi beneficio ai comparti agricoli italiani, incrementando il valore delle produzioni, aprendo mercati all’estero, conquistando a vino e olio, in particolare, la responsabilità di rappresentare, nel mondo, un modo di essere italiani. Contribuendo alla stessa domanda di Italia nel mondo. L’agroalimentare, oggi - ha ribadito Mattarella - accanto alla cultura, al design, alla tecnologia, costituisce veicolo e attrattiva del modello di vita italiano. L’Italia è il secondo produttore mondiale di olio di oliva, l’export registra un valore di circa 3 miliardi di euro. Per quanto riguarda il vino, con un valore dell’imbottigliato che, nel 2024, ha superato i 14 miliardi di euro; con un export di quasi 8 miliardi che, per il 90%, si esprime nelle denominazioni di qualità. Conoscete bene queste cifre: ne siete protagonisti. Io desidero sottolineare il significato di queste tendenze positive, perché si riassumono nella manifestazione di qualità. Filiere, quindi che mettono insieme territori, saperi, professionalità, sostenibilità e salubrità, capacità di marketing e realizzano, così, un valore immateriale che va oltre gli addetti ai lavori, gli stessi consumatori, generando beni comuni. Elementi vitali per comunità gravate, spesso, nel secondo dopoguerra, dal fenomeno dell’abbandono delle terre. Dunque anche il valore del recupero di vita per le aree rurali e interne del nostro Paese. Produrre significa, infatti, abitare un luogo, averne cura - ha esortato Mattarella - questo è un merito di grande rilievo per chi vi si dedica. Tra di loro, le donne imprenditrici, i giovani che guardano alle campagne come opportunità, le strutture cooperative, sovente a servizio delle filiere vinicole e oleicole. Lo sviluppo di cui potete nutrire orgoglio si è verificato perché avete avuto la capacità di guidare l’innovazione, così importante in agricoltura. Avete saputo mettervi insieme, misurarvi con la crescente dimensione internazionale, senza timore di mercati prima sconosciuti e in cui, oggi, i prodotti italiani sono leader. Il futuro non si costruisce vivendo di nostalgie. Varrebbe anche per gratuite tentazioni di nostalgia alimentare: oggi i cibi sono sicuramente più salubri e controllati di un tempo. I progressi avvengono raramente per caso. Sono, piuttosto, frutto di intuizione, studio, determinazione, impegno, capacità di operare facendo sistema. L’agricoltura non fa eccezione. E, se oggi possiamo parlare di “Dop economy”, lo dobbiamo alle scelte di ammodernamento operate agli albori della Repubblica e alla nascita delle Comunità Europee - ha ricordato Mattarella - si valuta che i prodotti Dop, cibo e vino, valgano intorno ai 20 miliardi di euro (il 20% dell’intero fatturato agroalimentare) di cui larga parte alimenta le correnti export, metà delle quali, a loro volta, sono rivolte fuori dalla Unione Europea. Sappiamo che la nostra Costituzione è l’unica del suo tempo a dedicare un articolo al settore primario e alle condizioni necessarie a promuoverne lo sviluppo: l’art. 44. Il Trattato di Roma del 1957 che diede vita a quelle allora chiamate Comunità Europee, all’art. 39, poneva per la futura agricoltura del continente, gli obiettivi di: incrementare la produttività agricola; assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, con il miglioramento del reddito di coloro che lavorano in agricoltura; stabilizzare i mercati; garantire sicurezza degli approvvigionamenti; assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori. Così l’agricoltura divenne - e rimane - un motore dell’integrazione europea - non elemento di retroguardia da sussidiare - essendo, al contrario, una chiave per politiche, oltre che produttive, volte alla salvaguardia della salute dei consumatori e alla promozione dei territori e delle popolazioni in essi insediate. I risultati di quelle scelte politiche sono sotto gli occhi di tutti: l’Italia è il primo Paese dell’Unione Europea con prodotti agricoli espressamente indicati come meritevoli di tutela: 856 possono avvalersi di questo scudo. I risultati sono rilevanti anche sul piano sociale. I dati parlano di 330.000 occupati nella filiera del vino, di 110.000 occupati in quella dell’olio d’oliva. È facile - secondo Mattarella - indicare di chi sia il merito di tutto questo: è anzitutto degli agricoltori, impegnati direttamente nella conduzione delle loro aziende. Vorrei aggiungere, tuttavia - ho citato le esperienze cooperative - anche l’elemento associativo dei Consorzi di tutela. Sono oltre trecento quelli, promossi dagli operatori, che giocano un ruolo cruciale nella gestione delle indicazioni di provenienza e qualità, garantendo la protezione, la salubrità, la promozione e la valorizzazione di prodotti che rappresentano le eccellenze italiane, a livello sia nazionale sia internazionale. Vorrei aggiungere il vissuto dei territori e le capacità di rappresentarlo. Vorrei proseguire facendo riferimento alle intuizioni che hanno orientato questo processo. Poc’anzi, Angelo Gaja (il cui intervento segue, ndr) ha citato il nome di Paolo Desana, senatore della Repubblica, promotore della legge che, nel 1963, diede il via alla tutela delle denominazioni vinicole. Desana, - internato militare italiano nei lager tedeschi per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò dopo l’8 settembre 1943 - fu espressione del Monferrato - terra a schietta vocazione vinicola - e protagonista di una battaglia parlamentare che definì l’impianto legislativo, poi riassunto a livello europeo. Desana fu, altresì, colui che propiziò la prima riflessione organica sulle aree collinari nel dopoguerra, con il convegno nazionale convocato a Cerrina Monferrato nel 1955. Alla sua azione e alla sua figura va reso omaggio - ha aggiunto Mattarella, parlando poi dei territori - viti e ulivi caratterizzano un territorio. Va detto di più. L’ulivo, in particolare, ha disegnato - e caratterizza - un’intera civiltà, quella del Mediterraneo. Un simbolo di pace, di serena longevità rispetto alle impazienze del presente. Un territorio custodisce anzitutto la propria diversità. Riguardo all’agricoltura va richiamata la ricchezza delle biodiversità. Ci soccorre anche qui la nostra Carta costituzionale, all’art. 9. Lo ricordava Angela Velenosi (il cui intervento segue, ndr): i cultivar dell’olio sono strettamente legati al territorio, alla tutela delle sue vocazioni. Con queste colture si tramandano peculiarità culturali e conoscenze, ben sapendo che occorre saper affrontare le sfide dei tempi. Si pensi alla Xylella, ai cambiamenti climatici che affliggono l’agricoltura. Oggi nessuno si permette più di sottovalutare o addirittura di irridere questi pericoli. Avveniva negli anni scorsi. L’innovazione non è nemica dell’agricoltura, al contrario. È decisivo il valore delle tutele unitamente all’innovazione: vi è, ogni tanto, la tentazione di prendere scorciatoie, di superare le tutele, considerate come impedimenti, come fastidi. È il contrario. È lo stretto legame tra tutele e innovazione che produce progresso. Un prodotto tipico, gli ulivi, le vigne, ad esempio, sono qualcosa di più, oggi, di un semplice dato agroalimentare per un territorio. Lo caratterizzano. Tanto più in un Paese, come il nostro, dalle mille campagne, dalle mille produzioni tipiche. Mario Soldati - ha ricordato Mattarella - che ci ha lasciato poco più di venticinque anni fa, cantore del rapporto tra paesaggi, uomini, donne, case e casali, vigne, cibo, sottolineava per il vino - ma può applicarsi a qualsiasi produzione agricola di qualità - che esso si gusta e si capisce soltanto quando si entra in confidenza con l’ambiente dove è nato. Non può essere un oggetto staccato e astratto, separato dal suo luogo. Questa è la ragione delle nuove fortune per i luoghi di produzione, interessati da un turismo attento ed esigente. Ecco il senso dell’ulteriore apporto solidale che vino ed olio offrono ai territori di elezione e alla loro gente”, ha concluso Mattarella.
Nel ringraziarlo per l’onore grande della sua presenza al Forum n. 44, il “deus ex machina” Franco Maria Ricci, che, da sempre, incarna il ruolo di geniale “animatore” del mondo del vino italiano, per il quale ha fatto moltissimo (fin dai primi Anni Novanta del Novecento, ndr), anche oggi che è alla guida della Fis, uno dei più grandi centri di cultura del vino del mondo, e della Worldwide Sommelier Association, ha ricordato il loro incontro “alla Luiss il 2 luglio 2018, anche lì per un convegno di vino. Lei in quell’occasione prese atto delle mie parole e ricordo che mi donò un sorriso per assentire al concetto di grande cultura che stavamo celebrando. Una cultura antica, quella dell’olio, del vino e dei prodotti della Terra. Grazie per essere qui nel cuore di una scuola di alta formazione che insegna questa cultura ai giovani e ai meno giovani. Ogni giorno dell’anno lo ha fatto con milioni di persone compiendo in questo 2025 i suoi 60 anni. Lei oggi ci ha fatto l’onore di entrare in questa Fondazione offrendoci in dono un segnale forte di adesione al nostro impegno. Grazie - ha ribadito Ricci - oggi, alle parole del vino e dell’olio di due illustri produttori, aggiungo grazie al Signore e alla Terra che ci li ha donati. E con ammirazione penso al lavoro delle donne e degli uomini, molti qui presenti, che rendono l’Italia il più ricco Paese al mondo. Avrebbe avuto 100 anni oggi, Luigi Veronelli. Dobbiamo a lui, al suo testamento nel 2004, la volontà di costruire un importante corso sull’olio extravergine di oliva. Da 21 anni le nostre aule parlano dell’olio d’Italia, alimento prezioso per la salute e per il piacere. Il nostro grazie per esserci accanto al Ministro dell’Agricoltura, convinto com’è della strada che stiamo percorrendo per i giovani, gli agricoltori, per i produttori, per l’Italia. E che abbiamo sentito convinto che l’Italia debba introdurre nelle scuole l’insegnamento dei prodotti della terra. I produttori di olio presenti, e noi che l’olio lo raccontiamo, abbiamo pensato di donarle un olivo, che verrà piantato nella Tenuta di Castel Porziano, un simbolo di vita e di longevità. È un leccino di 100 anni, immune alla Xylella. È il ricordo di questa giornata per tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di essere affianco al nostro Presidente, che stimiamo e ammiriamo per il dono della sua vita che ha dedicato alla nostra Italia. Insomma, signor Presidente - ha concluso Ricci - è mio dovere farle ascoltare le parole dell’olio e del vino affinché possa proteggere il nostro impegno che svolgiamo con tutto l’amore possibile e le auguro di bere sempre le migliori bottiglie con le persone che ama”.
Parole come quelle di Angela Velenosi, “signora del vino” alla guida di Velenosi Vini, tra le aziende più importanti delle Marche e dell’Abruzzo, e produttrice anche di olio, che ha detto come “è un vero privilegio farmi portavoce in un contesto come quello odierno di una delle eccellenze della nostra Italia, e rappresentare brevemente quanta ricchezza si possa nascondere dentro quella bottiglia di extravergine che ogni giorno si presenta sulle nostre tavole, considerato, però, dalla maggior parte dei consumatori una presenza scontata, non immaginando che dietro quelle gocce di olio che incontrano i nostri cibi si possa nascondere una ricchezza che va oltre la percezione collettiva del semplice condimento. L’olio d’oliva affonda le sue radici nella civiltà greca e ancora oggi è simbolo di qualità e salute, come confermato da ricerche recenti. Non è un caso che il termine olio nel greco antico, sia la base delle parole economia ed ecologia, due concetti strettamente connessi alla produzione dell’olio d’oliva. Questo alimento non è solo un prodotto di valore economico - ha detto Velenosi - ma anche un emblema dell’equilibrio tra l’uomo e l’ambiente, un elemento che incarna la sostenibilità e il rispetto per le biodiversità. Il ramo d’olivo rappresenta la pace e la convivenza. La Dieta Mediterranea di cui l’olio d’oliva è il protagonista indiscusso è molto più di un semplice modello alimentare, è una filosofia di vita, un esempio di saggezza nel vivere quotidiano. Questo alimento nutre il corpo, ma è anche simbolo di convivialità e di legame con il territorio. Non a caso, l’olio d’oliva è uno degli elementi che contraddistingue il paesaggio mediterraneo, caratterizzando con i suoi uliveti secolari regioni intere e definendo l’identità di molti luoghi. Negli ultimi anni, la tutela della biodiversità ha assunto un’importanza sempre maggiore, tanto che nel 2022 - ha ricordato Velenosi - l’articolo 9 della Costituzione Italiana è stato integrato per includere esplicitamente la protezione delle biodiversità e delle tradizioni locali accanto alla salvaguarda del paesaggio e del patrimonio storico-artistico. L’ambiente non viene più considerato come un oggetto, ma come un valore primario, costituzionalmente protetto, che va salvaguardato nel rispetto delle future generazioni. Questo aggiornamento normativo sottolinea l’importanza di preservare le varietà autoctone di oliva, le tecniche di coltivazione tradizionali e le conoscenze legate alla produzione dell’olio d’oliva che rappresentano un’eredità inestimabile per le generazioni future. La guida agli oli extravergine d’oliva riflette la varietà e la ricchezza delle cultivar ragionali. Per un Paese come il nostro, avviare una progettualità basata sull’incontro tra estetica ambientale e crescita economica nel settore olivicolo non sarà difficoltoso, in quanto l’Italia, a differenza di molte altre nazioni, può contare già su una grande biodiversità olivicola e un panorama ampelografico unico, con più di 538 varietà censite, territori altamente vocati per produzioni di eccellenza e per un elevato numero di riconoscimenti che ben riguardano 42 Dop e 8 Igp. Il valore aggiunto nel sistema Italia rappresentato dai prodotti con Indicazione geografica celebra non solo l’eccellenza della produzione olivicola italiana, ma promuove anche una consapevolezza più ampia riguardo alla connessione tra la qualità del prodotto e la loro provenienza geografica. In termini produttivi, l’Italia con le sue 619 imprese olivicole, 4.327 frantoi attivi, conserva la sua posizione di livello mondiale, sia per la produzione sia per l’esportazione, con una cifra significativa di 359.000 tonnellate nel 2022 - ha aggiunto Velenosi - questi dati confermano inequivocabilmente il ruolo predominante che l’Italia svolge nel panorama internazionale dell’olio extravergine d’oliva, riflettendo la continua eccellenza e competenza del settore. Per questo l’olio d’oliva riveste un ruolo cruciale anche nell’economia italiana. L’Italia è il secondo produttore mondiale di olio d’oliva. Solo nel 2024 il valore dell’export è stato di 3 miliardi con una crescita del 45% sull’anno precedente. Il settore coinvolge oltre un milione di ettari coltivati e olivi e impiega direttamente e indirettamente centinaia di migliaia di persone dalla fase di coltivazione fino alla commercializzazione. Le esportazioni italiane di olio d’oliva rappresentano una voce importante nella crescita dell’export agroalimentare, con mercati chiave come Stati Uniti, Germania e Giappone. Tuttavia il settore è anche sottoposto a sfide. Una di queste è sicuramente la contraffazione e il fenomeno dell’italian sounding, contro i quali è fondamentale rafforzare le politiche di tutela e valorizzazione del prodotto nazionale - ha esortato Velenosi - le politiche di tutela del consumatore e le normative anti frodi giocano un ruolo cruciale nel difendere non solo il mercato, ma anche la nostra cultura e la qualità della nostra alimentazione quotidiana. Quando i consumatori non sono consapevoli delle differenze tra i diversi tipi di olive le pratiche fraudolenti diventano più diffuse. La seconda sfida è quella fitosanitaria cui ci ha esposto recentemente la Xylella. L’olio d’oliva è spesso associato ai suoi benefici salutistici e nutrizionali, essendo antiossidanti e acidi grassi, benefici per il nostro organismo. Tuttavia è anche un prodotto da scoprire sotto il profilo sensoriale e gustativo. L’amaro, il piccante, spesso considerati difetti dal consumatore come un formato, sono in realtà indicatori di freschezza e ricchezza in polifenoli, componenti essenziali per le proprietà benefiche dell’olio. È quindi un invito a riscoprire la piacevolezza di queste caratteristiche, apprezzando l’olio extravergine non solo come un condimento, ma come un vero e proprio protagonista che può trasformare e arricchire qualsiasi piatto. Integrare l’olio extravergine d’oliva nella dieta quotidiana può quindi rappresentare un valido sostegno per mantenere e promuovere la salute a tutte le età. Riassumendo, il concetto di qualità dell’olio d’oliva va ben oltre la semplice classificazione commerciale. Il rispetto per l’ambiente, la valorizzazione dell’olio d’oliva locale, l’attenzione alla sostenibilità dell’intero processo produttivo contribuiscono ad un eccellente prodotto finale. In questo scenario offro una provocazione - ha detto Velenosi - l’introduzione della carta degli oli nei ristoranti, proprio come accade per il vino. Ogni piatto merita di essere valorizzato con l’olio giusto, scelto in base alla varietà di olive, alla provenienza e alle sue peculiarità organolettiche. Questo permetterebbe di educare il consumatore alla diversità e alla ricchezza dell’olio d’oliva, valorizzando le produzioni di qualità e rafforzando la consapevolezza dell’importanza di questo straordinario prodotto nella nostra alimentazione e nella nostra cultura. Signor Presidente - ha concluso Velenosi - l’olio ha tutte le caratteristiche per essere protagonista della scena gastronomica. Dobbiamo solo lavorare sulla comunicazione, farlo percepire sempre più come un alimento salutistico, insegnarlo agli addetti ai lavori, a valorizzarlo e a presentarlo in relazione ai piatti della tradizione di ogni luogo d’Italia”.
Ed è questa la mission della Fis, come ha raccontato Daniela Scrobogna, presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Italiana Sommelier: “siamo qui riuniti oggi in tanti per onorare e celebrare l’olio come grande espressione dell’eccellenza italiana, a cui si affianca un altro grande prodotto della terra che è il vino, anch’esso pura eccellenza italiana. Ma come fare a comunicare correttamente queste due opere d’arte? La comprensione e la cultura sono gli unici strumenti che ci consentono di afferrarne il valore. In questo siamo aiutati dalla scuola, una scuola che rivendica il suo ruolo strategico, a volte sottovalutato, una scuola di vita custode del passato, ma protesa verso il futuro. Quella scuola che ha il grande compito di educare alla formazione culturale, che più in generale contribuisce allo sviluppo individuale e collettivo. La scuola per sommelier dell’olio e del vino di Fondazione Italiana Sommelier - ha spiegato Scrobogna - fornisce, oltre a tutto ciò, le competenze e conoscenze necessarie per comprendere il mondo di questi due splendidi prodotti. Sviluppa il pensiero critico, la capacità di analizzare profondamente questi due alimenti facenti parte della nostra secolare enogastronomia per poter poi e per tutta la vita fare delle libere scelte consapevoli. La scuola di Fondazione Italiana Sommelier offre anche l’opportunità di sviluppare le proprie passioni, anzi di crearne alcune, e aspirazioni, trasformandole in occasioni di lavoro, dando quegli strumenti indispensabili per competere nel mercato del lavoro. Molti dei nostri allievi oggi sono sommelier dell’olio e del vino con precise competenze e innovazioni, tra queste anche la stesura della carta degli oli nei ristoranti. Presenti, quindi, nella ristorazione, questo potrebbe sembrare scontato, ma così non è, in quanto ci vuole una ristorazione preparata e attenta che vada incontro alle esigenze del cliente. Molti quindi sono sommelier che hanno aperto enoteche, wine bar, atti a diffondere il vasto patrimonio di conoscenze acquisito nel tempo, consentendo a molti giovani di godere di questo aspetto culturale - ha precisato Scrobogna - nel corso degli anni è accaduto addirittura che molte persone abbiano modificato la propria professione a favore della sommellerie, in quanto folgorati dal bello che si cela dietro questo mondo. Tanti gli ottimi comunicatori capaci di influenzare in modo appropriato scelte e atteggiamenti e molti sono presenti nelle aziende come trait d’union tra produttore e consumatore. Tanti ruoli che hanno però un unico comun denominatore, la passione e il rispetto per l’olio e per il vino. La scuola di Fondazione Italiana Sommelier quindi contribuisce a preservare la memoria storica e a trasmettere quel grande patrimonio culturale che è la base della produzione dell’olio e del vino. Per raggiungere tale scopo non ci siamo mai risparmiati nel ricercare eccellenze, da proporre ai nostri corsi, consapevoli del ruolo strategico di oli e vini di qualità. Questo ha richiesto accurate selezioni, assaggi mirati che ci hanno permesso di entrare in contatto con splendide produzioni, di piccoli e grandi artigiani, a volte sconosciuti, che con grande entusiasmo abbiamo sostenuto e promosso, facendoli conoscere ai nostri allievi e al mondo dell’enogastronomia, anche grazie all’apporto strategico della guida Bibenda che ha dato concretezza a questi rapporti - ha ribadito Scrobogna - sono molti anni che sia per il corso dell’olio che per quello del vino portiamo avanti i programmi mirati alla ricerca della qualità e della cultura. Abbiamo iniziato quando dell’olio di qualità non si parlava ancora, immaginarlo correttamente abbinato al cibo o imbottigliato in orcetti o eleganti contenitori era pura fantascienza. Abbiamo dovuto strutturare un corso per conoscere l’olio, imparare a testarlo, riconoscere gli eventuali difetti e per questo ci siamo ispirati a quello del vino. Con grande umiltà abbiamo studiato, lavorato, ci siamo messi in discussione e siamo cresciuti con i nostri allievi, giorno dopo giorno, vedendo nei loro occhi lo stupore nell’apprendere la bellezza di questo mondo e la consapevolezza di farne parte. Programmi che oltre alla capacità di degustare e di spegnare i nostri sensi spaziano nella conoscenza dei vari territori, delle diverse cultivar e vitigni, dei pionieri che hanno fatto la storia delle più diverse tradizioni, dei vari sistemi di trasformazione, della tecnologia al servizio della produzione, esaltando quelle peculiarità che consentono l’eccelsa produzione del made in Italy. Un percorso che ci consente oggi di arrivare ad abbinare al cibo nel modo più corretto sia il vino che l’olio. Con grande competenza potremmo riassumere la nostra mission in tre A: assaggiare, analizzare, abbinare - ha detto Scrobogna - tutto questo è possibile però grazie al fondamentale ruolo del docente, figura chiave nel processo di apprendimento in cui deve con la sua passione e preparazione creare un ambiente sano e stimolante per l’allievo, capace di trasmettere quindi la visione edonistica e culturale del mondo dell’olio e del vino che piano piano si insinua nella mente dell’allievo, il quale rimane affascinato da questo vortice di bellezza. Vedere negli occhi degli allievi alla fine del percorso la gratitudine, ma soprattutto la fiammella dell’interesse, della passione e della cultura è una delle esperienze più gratificanti che un docente possa ricevere. Gli allievi, appena terminato il nostro corso - ha concluso Scrobogna - sono come piccole gocce di pioggia, una pioggerellina leggera, gocce nuove, quasi insignificanti, che scolano via senza bagnare, ma tutte queste gocce insieme possono diventare una pioggia torrenziale che bagna, inonda e travolge. Saranno loro a cambiare l’approccio distratto e incontro verso l’olio e il vino, consapevoli del loro grande valore, li renderanno dei punti di riferimento della propria cultura e della propria vita. Amatissimo Presidente, noi lo abbiamo già fatto da parecchi anni e la nostra vita si è arricchita di gratificanti esperienze sensoriali ed emozionali che ci appagano e rendono il nostro mondo migliore”.
Dal racconto dell’olio a quello del vino, “sono un privilegiato, perché non mi sarei mai sognato di parlare un giorno di fronte al Presidente della Repubblica ed a questa platea di personalità politiche, imprenditori produttori dell’olio e del vino, e di sommelier - ha detto Angelo Gaja, l’“artigiano” del vino italiano per eccellenza, uno dei produttori italiani più ammirati nel mondo nel suo “excursus” sul vino italiano - ma questo succede solo a Roma, e ogni volta che c’è il Forum dell’Olio e del Vino, edizione n. 44 della Fondazione Italiana Sommelier che sono seminatori di cultura. Ho dato un titolo al mio intervento “Il cammino del vino italiano”, ma devo essere breve, perché se dovessi descriverlo tutto non basterebbero settimane. Negli ultimi 70 anni c’è stata un’evoluzione nel mondo del vino, ovunque nel mondo, non solo in Italia, straordinaria ed incredibile, cambiamenti profondi, di innovazione ed evoluzione, nel vigneto, in cantina e nel mercato, a cui ho avuto la fortuna di assistere, avendo iniziato a lavorare in azienda nel 1961, e avendoli vissuti per oltre 60 anni. Non è che abbia capito tutto, ma ho appreso molto da questo percorso straordinario del vino italiano. Ma torniamo indietro, al decennio Cinquanta-Sessanta: in Italia si producevano anche dei vini di qualità da parte dei piccoli artigiani, ma la stragrande maggioranza erano vini banali, imbottigliati in fiaschi e bottiglioni da 2 litri che esportavamo. Eravamo alla deriva, e ci voleva un colpo di reni. E abbiamo avuto la fortuna di avere un senatore come Paolo Desana, originario di Casale Monferrato, che ha avviato il progetto delle Doc, e lo ha sostenuto per 20 anni nonostante i contrasti dovuti ad interessi diversi, con l’obbiettivo di arrivare al loro riconoscimento con la legge quadro 930 del 1963, con i primi vini che usciranno sul mercato nel 1966, il Brunello di Montalcino, il Barolo ed il Barbaresco - ha ricordato Gaja - ma in quale direzione si voleva andare? Anziché come si faceva prima con vini che principalmente portavano il nome varietale, ma non si sapeva da dove provenivano anche per le mescolanze, volevamo legare il nome varietale al luogo di origine, al territorio. Un progetto ambizioso che richiedeva del tempo, e c’è n’è voluto per realizzarlo. Perché era quello di valorizzare, di tutelare, le varietà indigene e storiche. Questi vini che si producevano venivano definiti dal mondo anglosassone “cheap & cheerful”, di basso prezzo e di qualità modesta, cosa che volevamo superare con le Doc. Ma sempre gli anglosassoni ci accusavano di confusione perché rispetto ai francesi, che avevano solo la Doc, volevamo avere due riconoscimenti con anche la Docg, e volevano sapere con quale garanzia. Ma siamo stati capaci di correggere questa confusione e di venire apprezzati per le nostre produzioni. In quel momento in Toscana, che produceva anche allora bottiglie di Chianti eccellenti, ma c’era una massa che andava nel fiasco abbastanza banale, dove qualche volta si ricorreva fino al 40% di varietà bianche come il Trebbiano, dei coraggiosi volevano ridare dignità alla loro terra. Nel 1968 esce il primo Sassicaia, nel 1974 il Tignanello, vini prodotti con varietà internazionali, Cabernet e Merlot nella fattispecie, che esprimevano un livello qualitativo elevato, ma con sempre gli anglosassoni a dirci che non potevano rientrare in una denominazione di origine controllata, e che, nonostante li giudicassero migliori e li pagassero un prezzo più elevato, invece noi li chiamavano vini da tavola: sono poi diventati i Supertuscan, ma ci sono voluti 25 anni per farli rientrare in un’Igt, entrata in vigore nel 1994. Che cosa ha dimostrato l’Italia? Che è capace di lavorare su due tavoli - e ci viene riconosciuto ovunque - quello delle varietà indigene e quello delle varietà internazionali. Questa è una ricchezza dell’Italia costruita in 70 anni e che oggi rappresenta un patrimonio straordinario. Lentamente ci siamo resi conto che le varietà indigene sono la nostra “Riserva Aurea”, sono il nostro “Fort Knox” - ha esortato Gaja - e che è lì che dobbiamo attingere, perché non c’è nessun Paese al mondo come l’Italia in cui i vigneti sono dappertutto, in tutte le regioni, oltre 300 varietà indigene che danno vini diversi e che sorprendono: è una ricchezza straordinaria. C’è voluto tempo per capirlo, ma oggi ne siamo consapevoli. Perché fanno del nostro Paese uno “scrigno di bellezza” ad arricchire il quale abbiamo contribuito anche noi viticoltori per anni e di generazione in generazione, dal mare alle montagne, anche se normalmente le varietà indigene riescono ad esprimere livelli di qualità elevati in collina, perché la vite ha bisogno anche di terreni magri anziché super ricchi, e trova nel vigneto un’eccellenza. Cosa dobbiamo fare ora? Imparare a meravigliarci di questa bellezza che abbiamo: l’Italia è uno scrigno di bellezza e la meravaglia ci aiuta a capire che dobbiamo conservare, tutelare e proteggere questo paesaggio, un patrimonio incredibile ovunque. E dove i vigneti originano vini di luogo, ed ormai nel mondo ci viene riconosciuto che la forza del vino italiano sta nel produrre vini da queste varietà indigene, storiche, locali, che esprimono l’identità di ogni regione. Per quanto riguarda, invece, il mercato, e quello estero in particolare, abbiamo lavorato tutti molto, partendo da un livello molto basso, e cercando di far crescere il riconoscimento e l’apprezzamento dei vini italiani, e non ho mai visto un riconoscimento così chiaro, definitivo e assoluto sulla qualità media del vino italiano che è salita enormemente, come oggi, anche grazie a chi ha organizzato tanti eventi fuori dall’Italia. C’era un momento in cui anche i giornalisti mi dicevano che guardavo solo all’estero: non è vero, perché l’Italia è il mio mercato di riferimento - ha spiegato Gaja - in cui devo essere capace di collocare i vini nei locali, dove le bottiglie si bevono e vengono apprezzate. Ma l’estero è un mercato enorme e c’è anche l’orgoglio di portarvi l’italianità, e la necessità, perché abbiamo una produzione importante, meno della metà consumata in Italia, e il resto all’estero dove dobbiamo essere capaci di costruire la domanda. A costruirla sono state prima di tutto le cantine medio-grandi che hanno fatto un lavoro straordinario nell’aprire i mercati esteri. Poi ci sono le aziende micro artigianali: in Italia ci sono oltre 30.000 cantine, l’80% sono medio-piccole e con un fatturato sotto il milione di euro. E sono un patrimonio enorme e creativo, che non va coperto di burocrazia, perché hanno una funzione straordinaria, perché sono il sogno di soggetti anche istruiti che vivono in città, ma che desiderano andare a lavorare in campagna ed avviare la loro produzione, e nessun altro prodotto come il vino sa salire sul palcoscenico. Queste cantine piccole ed i loro artigiani del vino appassionano molti giovani enoturisti, anche di città, e il mercato, si sa, si nutre di novità. I piccoli hanno la funzione di avviare la passione e la conoscenza dei giovani che vivono in città e non conoscono la provincia italiana verso il settore, insomma. Siamo in un momento di grandi sfide: per affrontare il cambiamento climatico dobbiamo avere una disponibilità quotidiana all’adattamento nel vigneto, in cantina e sul mercato. Dobbiamo sforzarci di imparare a leggere il presente con gli occhi di domani non di ieri, come lei ha detto, Presidente, con creatività (e penso anche all’Intelligenza artificiale). Certo che gli occhi di ieri ci servono per capire gli errori che abbiamo commesso, ma dobbiamo affrontare il futuro e abbiamo tutte le possibilità di farlo. Ci vuole questo coraggio. Il vino è una bevanda culturale straordinaria, ha una profondità che nessun altra bevanda alcolica al mondo ha, ha radici che vanno nell’umanità, nel paesaggio, nella storia, nella filosofia, nella cultura, nella tradizione, nella religione. Non è facile condensare tutto questo in un messaggio, ma dovremo anche riequilibrarlo, perché dobbiamo aiutare le persone a capirlo, ma anche che lo devi bere con misura, con buonsenso, con consapevolezza, non mi piace moderazione. E dobbiamo anche essere consapevoli che ci sono Paesi come l’Asia e come l’Africa, dove si aprono nuove frontiere, lentamente ma che maturano, perché vi si stanno piantando vigneti. Paesi che non sono concorrenziali, ma che accrescono la conoscenza del vino. L’ambizione di questi soggetti che piantano vigneti anche dove non mai è stato fatto prima è, infatti, anche di esprimere il loro orgoglio identitario anche attraverso il vino, e così cresce anche la cultura dei locali che poi, ovviamente, sono aperti anche verso altri vini. Dove dobbiamo guardare per il nostro futuro? Ai giovani - ha concluso Gaja - donne e uomini preparati, che conoscono le lingue e che sanno usare tutti gli strumenti possibili, e che sono nel mondo del vino e che saranno capaci di sorprenderci perché crediamo in loro. Hanno la possibilità di guadagnarsi spazi nei mercati esteri e portare alta la bandiera italiana. Sta a voi percorrere questa strada. Infine, voglio dire qualcosa anche sull’olio: la pianta di olivo ha una bellezza incredibile, e anche qui saranno i giovani il futuro con il loro coraggio di piantare nuove cultivar dopo la Xylella, e di portare alta la bandiera italiana grazie all’olio, insieme a noi produttori di vino”.

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