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MERCATO CINESE A RISCHIO PER L’OLIO ITALIANO DI QUALITÀ. L’ECONOMIA DEL DRAGONE VERSO UN’AUTOSUFFICIENZA NELLA PRODUZIONE. LO SPIEGA L’ACCADEMIA DEI GEORGOFILI DI FIRENZE

Dopo le difficoltà del vino anche il comparto dell’olio, rischia di non vedere l’Italia tra i protagonisti del mercato cinese. La preoccupazione è emersa ieri nella giornata di studio “L’agricoltura nella Cina del boom economico”, organizzata dall’Accademia dei Georgofili di Firenze dove esperti di marketing internazionale si sono confrontati sui problemi e le prospettive del mercato dei prodotti agricoli cinese e sulle opportunità di nuove collaborazioni internazionali.

“L’export di olio d’oliva italiano - ha spiegato Patrizia Tambosso, docente di marketing internazionale, citando gli ultimi dati Istat e Eurostat - nella Repubblica Popolare è cresciuto dal 2004 al 2005 del 156%. I cinesi considerano soprattutto l’olio toscano e quello umbro un prodotto di alta qualità, ma questo non vuol dire che il futuro riservi gli stessi indici di soddisfazione. La politica agricola di Pechino punta all’autosufficienza. Nel giro di cinque anni si avrà la prima produzione degli oliveti che sono stati impiantati e quindi il tempo stringe. Gli spagnoli inoltre stanno già invadendo il mercato cinese con il loro olio e stanno dettando la politica dei prezzi, anche se finora il prodotto che viene esportato è in genere quello di minore qualità e con un costo più basso”.

In Cina si è assistito negli ultimi anni ad un aumento generalizzato dell’interesse verso i prodotti di importazione di alta qualità, ma l’Italia rappresenta ancora il fanalino di coda rispetto ad altri paesi europei come Francia e Germania.

L’export di vino italiano in Cina, ad esempio, frutta ogni anno - ha spiegato Patrizia Tambosso - solo 7 milioni di euro, una cifra irrisoria se si considerano le dimensioni della Repubblica Popolare. “Da quindici anni i francesi hanno scelto una strategia vincente: quella di non competere, ma di sostenere le produzioni vinicole in Cina senza paura di trasferire know how e competenza. Il gruppo Lvmh, che ha fra le marche il Moet & Chandon, ha costituito da tempo una grande joint venture in Cina, molti studenti cinesi fanno dottorati di ricerca in Francia, così gran parte del vino delle cantine della Repubblica ha una vinificazione ‘francese’ e il mercato del vino è in mano ai nostri cugini e agli australiani”.

Nell’incontro sono stati anche segnalati alcuni encomiabili esempi di imprese vitivinicole italiane che hanno avviato promettenti loro insediamenti in alcune province cinesi. La giornata di studio ha evidenziato la necessità di un maggiore impegno nella presenza delle imprese italiane in Cina e i partecipanti hanno auspicato un coordinamento nazionale per una maggiore azione a carattere culturale oltre che strettamente commerciale.

Per non continuare a perdere occasioni preziose, come quella del mercato dell’olio, l’Italia dovrebbe attuare un’immediata e specifica politica.

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