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Miele italiano ai minimi storici nel 2017: prodotto meno di un 1/3 della media nazionale. Raccolti quasi a zero in alcuni territori (-80%). Salve solo le varietà di montagna. Unaapi a WineNews: dalle api la certezza di una drammatica crisi ambientale

Tra clima impazzito, pesticidi e, soprattutto, flora in affanno, il raccolto 2017 di miele in Italia è ai minimi storici: prodotto meno di un 1/3 della media nazionale (230.000 quintali l’anno) con raccolti quasi a zero in alcuni territori, compromessi fin da primavera, per il freddo anomalo, seguito dal caldo improvviso, e soprattutto dalla siccità, con i fiori ormai secchi e il nettare disidratato per la mancanza di acqua, e per i quali i temporali estivi non sono certo risolutivi. Tanto che non si può neppure parlare di varietà prodotte più delle altre, perché c’è poco di tutto, e a salvarsi sono solo i mieli di alta e altissima montagna, solitamente rari e “di nicchia”. È la fotografia di un’annata drammatica per il miele italiano scattata a WineNews dall’Unaapi, l’Unione Nazionale Associazione Apicoltori Italiani guidata dal neo presidente Giuseppe Cefalo, che sottolinea come, in attesa di tracciare un bilancio definitivo agli stati generali dell’apicoltura italiana alla “Settimana del Miele” di Montalcino (8-10 settembre), al di là dei negazionisti del climate change tra cui il presidente Usa Donald Trump, dalle api, “sentinelle” per eccellenza della salute dell’ambiente - e dunque della nostra - non ci arrivano più avvisi, ma la certezza di una drammatica crisi ambientale, e di un trend negativo per il settore che non si arresta, ma anzi si aggrava.
Nel complesso, la produzione di miele 2017 si ferma al 30% (secondo le stime, nell’annata, non si arriverà a 90.000 quintali), con un crollo mai visto a memoria degli apicoltori, convinti che il 2016 fosse stata una delle peggiori annate degli ultimi 35 anni (per un totale di 140.000 quintali prodotti). Il segnale della gravità della situazione è il fatto che si è prodotto in modo significativo solo il raro miele di montagna, dal rododendro al millefiori, nell’arco alpino e lungo l’Appenino Tosco-Emiliano. Non è andata male per i mieli di castagno e tiglio ma sempre in alta collina e nelle vallate alpine, e per gli agrumi in Sicilia e in parte della Calabria e della costiera ionica. Per il resto, dalla Maremma alla Provincia di Alessandria, con il caldo africano e la conseguente grave siccità, le produzioni sono quasi a zero, dal girasole all’eucalipto, e, ad ora, non c’è neppure la melata. Dai boschi di acacia a quelli di castagno, il riscaldamento ambientale non dà tregua alla piante che stanno male, e non sono più in grado di attivare i normali meccanismi vegetali. Drammatica la situazione in Toscana, una delle regioni a maggiore vocazione apistica del Belpaese, con crolli fino all’80% della produzione: “nella storia del miele di Montalcino una situazione così non l’abbiamo mai vissuta: siamo al 20% della produzione - spiega Monica Cioni, presidente della “Settimana del Miele” - fino a giugno abbiamo avuto 500 ml di pioggia in meno, e senza acqua non c’è cibo, per le piante e quindi per le api. Tireremo le somme a fine agosto”.
Ma gli effetti del cambiamento climatico che colpiscono a tappeto tutta l’agricoltura e non risparmiano il miele, non solo l’unico “colpevole” del suo crollo produttivo. Nel solo 2017 gli apicoltori italiani, spiega Francesco Panella, che nell’Unaapi porta avanti le loro numerose battaglie, hanno sottoscritto la raccolta firme (oltre 1,3 milioni) dei Cittadini Europei (Ice) per la messa al bando dell’erbicida Glifosato da parte dell’Ue, alla quale chiedono anche l’introduzione di etichette tracciabili per determinare la provenienza del miele. Il tutto, in attesa, dopo lo stop all’uso dei neonicotinoidi, i pestici “killer” delle api, prima in Italia dal 2008 e poi a livello europeo dal 2013, della decisione degli Stati Membri di ratificare definitivamente il divieto, appellandosi con Greenpeace, Conapi e Pan Italia al Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina. Intanto, proseguono gli studi sugli effetti dei pesticidi, con l’ultima scoperta dei ricercatori delle Università di Bologna e della California di San Diego sul thiamethoxam che altera l’abilità di volo delle api, già alle prese con le lotte contro la varroa e, da ultima, la vespa velutina, monitorate dal Cra-Api Crea. E tra le cause, ora si aggiungono anche gli incendi nei boschi della Penisola, con le fiamme che, in molti casi, hanno distrutto le arnie, e azzerato la produzione di polline e miele
Sono 1,2 milioni gli alveari sparsi nelle campagne italiane e dei 45.000 apicoltori censiti e e operanti in Italia sono quasi 20.000 quelli che lo fanno non per diletto e autoconsumo, ma per immettere il loro miele e prodotti apistici sul mercato, con tutti i parametri di legge tra cui l’indispensabile partita Iva (dati Bda-Banca Dati degli Allevamenti, l’anagrafe nazionale apistica), un settore importante per l’agricoltura italiana, con il record di 51 varietà di miele, un valore stimato di 150-170 milioni di euro più 2 miliardi di euro dall’attività di impollinazione delle api alle colture agricole. Ma nonostante la loro “vitale” importanza, per questi preziosi insetti al peggio non sembra esserci proprio fine.

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