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IL PROFILO

A caccia di export manager: così le aziende agroalimentari vendono il made in Italy all’estero

Figure chiave per le esportazioni, sempre più ricercate e pagate. Cambianica (Hunters Group): “serve conoscere prodotto e mercato. Le lingue? La base”
agroalimentare, EXPORT MANAGER, HUNTERS GROUP, Non Solo Vino
Le aziende sono sempre più alla ricerca della figura dell’export manager

Il made in Italy, uno dei marchi più famosi al mondo e che ha ispirato film, canzoni e recentemente anche l’omonimo Ministero: un’indicazione di provenienza che garantisce la qualità del prodotto e lo protegge dalle falsificazioni. Ma il certificato da solo non basta, occorre saperlo vendere ed è qui che si inserisce la figura dell’export manager, un professionista con il compito di aumentare le esportazioni di una determinata azienda.
“Il settore food & beverage made in Italy è, insieme al design ed alla moda, il comparto che meglio rappresenta il nostro Paese all’estero - spiega, a WineNews, Davide Cambianica, manager Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale altamente qualificato - ma per far conoscere le nostre eccellenze fuori dai confini nazionali sono necessarie competenze specializzate”. Serve, dunque, un professionista, capace di analizzare i mercati e trovare i clienti soprattutto per il macrosettore dell’alimentare: “l’Italia è uno dei maggiori produttori di cibo al mondo, il food è un comparto decisivo per il made in Italy. Così, sia le piccole medie imprese che le grandi aziende, sono sempre più alla ricerca di export manager per aumentare i loro fatturati. Sono figure strategiche che devono avere una ottima conoscenza sia del prodotto che vanno a vendere sia del settore di riferimento e che si interfacciano direttamente con i buyer”, racconta Cambianica.
Le esportazioni di food & beverage sono cresciute sempre di più negli ultimi anni, segnando, nel 2023, un +8%. L’obiettivo è migliorare ancora queste percentuali individuando innanzitutto i mercati che funzionano di più: “il made in Italy vende tanto in Medio Oriente, soprattutto materie prime come la farina, di tutti i tipi; per esempio, ci sono aziende della Valtellina e del Mantovano che producono grano saraceno che lavorano molto con India e con la Cina. Il nuovo business è però quello dei prodotti bio e gluten free, che funzionano molto soprattutto nel Nord Europa. E poi i soliti mercati: il resto dell’Europa, gli Stati Uniti, Cina e Giappone”. Così l’export manager non solo deve avere una forte propensione per il lato commerciale, ma deve anche conoscere le lingue: “saper comunicare correttamente con i clienti stranieri è fondamentale. La base è l’inglese, ma un professionista capace deve saper parlare anche cinese, francese, spagnolo e portoghese. Chi ha ha avuto un percorso di laurea incentrato sullo studio delle lingue è sicuramente avvantaggiato, ma serve anche specializzarsi nell’attitudine al commercio e per quello ci sono master altamente formativi”.
L’export manager accompagna le aziende nel complicato processo di internazionalizzazione e per questo le imprese sono disposte a pagare bene. Il Ral (Reddito Annuo Lordo) vanno dai 50.000 ai 70-80.000 euro lordi, poi ci sono i bonus legati alla crescita del fatturato oppure in versione forfettaria: “sono tendenzialmente professionisti con alle spalle 10-15 anni di carriera, hanno tra i 45 e i 50 anni, e prendono in mano un ampio pacchetto di clienti perché conoscono bene sia il prodotto che il mercato - dice Cambianica - figure così sono molto utili per il mercato cinese dove sono restii a cambiare fornitore. Quindi chi ha già avuto esperienza con la Cina è avvantaggiato”. Poi ci sono anche gli export specialist: hanno un pacchetto più piccolo di clienti (due o tre) e per cui devono studiare nuovi piani di business. Sono più giovani, hanno 30-35 anni con Ral tra i 35.000 e i 40.000 euro, e riportano i loro progressi direttamente agli export manager. Eppure nonostante lauti stipendi le aziende fanno fatica a trovare queste figure: “il mondo è diventato più tecnico, si sta andando sempre di più su persone che conoscono bene il prodotto. Prima era diverso, entravano professionisti anche da altri settori e si dava spazio anche a chi si era occupato fino ad allora di tutt’altro. Oggi la prerogativa è essere esperti del prodotto specifico: infatti conviene specializzarsi su quello e sul settore di riferimento. Oltre a questo c’è anche da dire che le azienda cercano molto: la domanda è alta, l’offerta si restringe”.
E su cosa quindi diventare esperti? “Bio e gluten free sono i nuovi mercati - ricorda Cambianica - ma anche tutto ciò che è farina funziona bene. Ce ne sono, però, tante tipologie, bisogna saperle vendere bene. In Italia c’è una grande percentuale di export manager perché i nostri prodotti vengono richiesti in tutto il mondo. In una azienda sana le esportazioni devono incidere sul 35-40% del fatturato, altrimenti bisogna migliorare. La richiesta sta aumentando e anche l’Italia deve crescere a livello di export. Entro il 2026 le esportazioni agroalimentari italiane potranno sfiorare i 70 miliardi di euro”, conclude.

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