Ancora un commento autorevole, quello del professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura dell’Università di Milano, sulla storica decifrazione del genoma della vite, raccolto da www.winenews.tv, in esclusiva. Secondo il docente milanese, benché l’attività di studio sia al suo primo risultato importante, “abbiamo completato soltanto la prima fase della ricerca, quella “genomica”, vale a dire l’identificazione dei geni sui cromosomi della vite, ma non sappiamo quali espressioni abbiano questi geni. Ora dobbiamo studiare la fase “proteonica”, vale a dire l’espressione di quei geni che sono alla base dei caratteri, cioè, per esempio, degli aromi, del vigore o degli antociani di una vite, e che sono, a loro volta, il risultato di una attività enizimatica, cioè proteica, prodotta proprio da uno o molti geni. A Milano, San Michele all’Adige ed a Udine, ci sono studiosi già impegnati su questo fronte. Dopodiché c’è la fase “metabolica”, la vera e propria fase concreta, che consta nella valutazione dell’espressione di questi caratteri e nella comprensione di come i diversi vitigni producano più o meno caratteri”.
Per il professor Attilio Scienza la ricaduta più importante di questa ricerca è sul lato del miglioramento genetico: “utilizzando queste nuove conoscenze potremmo anticipare i risultati del miglioramento genetico. Oggi - spiega il docente - per costituire un nuovo clone per incrocio ci vogliono circa 15-20 anni, ma con l’utilizzo delle informazioni genetiche potremmo ridurre questo tempo a 4-5 anni. In altre parole, potremmo scartare o selezionare, già a partire dalle giovani piantine, quegli individui che non posseggono o posseggono i geni “marcatori” di quel carattere che non voglio o voglio moltiplicare. Stiamo veramente soffrendo cambiamenti climatici piuttosto repentini, un fenomeno naturale, peraltro, non insolito nella storia dell’uomo. Avere la disponibilità di un miglioramento genetico nel più breve tempo possibile è importante - continua Scienza - per ottenere varietà in grado di mantenere livelli di acidità anche con il caldo, sopportare temperature torride, la forte luminosità e lo stress idrico. E questo vale anche per i portainnesti, che - conclude Scienza - dal tempo della fillossera sono poco evoluti”.
Sul fronte della ricostruzione del Dna per i riconoscimenti varietali, “è un lavoro che si fa già da tempo - spiega il decente milanese - e, certamente, ci saranno ulteriori affinamenti. E’ un lavoro che ha svelato i tortuosi rapporti fra lo Shiraz e alcuni vitigni trentini, l’origine del Sangiovese, i padri del siciliano Grillo, cioè il Moscato d’Alessandria e il Catarratto e, attualmente, nel nostro istituto, stiamo analizzando i rapporti di parentela fra alcuni vitigni friulani e alcune varietà croate e dalmate”.
“Hanno già provato studiosi portoghesi e da noi di San Michele all’Adige ad analizzare il Dna presente in una bottiglia, per rintracciare il vitigno da cui è ottenuto il vino - spiega Scienza - ma è un’analisi ancora difficile, per la presenza di altro Dna, quello per esempio dei lieviti e dell’alcol che ne deteriora la struttura. La scoperta del genoma della vite però - conclude Scienza - apre la strada, anche in questo caso, ad evoluzioni future decisive, che consentiranno di stabilire con precisione le uve contenute in un vino e determinare una tracciabilità certa ed evidente”.
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