Diciamo spesso che l’Italia del vino, per continuare a crescere, deve esportare qualità, ed imparare a puntare più sul prezzo medio che sulle quantità. Ma come si è comportato, sugli scaffali della grande distribuzione dei diversi Paesi in cui è protagonista? Nei mercati emergenti, come racconta l’analisi di Cogea su dati Iwsr - International Wine & Spirit Research (dati 2010-2013), e riportata dal “Corriere Vinicolo” (www.uiv.it), l’Italia posiziona il grosso delle vendite nelle fasce super premium (10-14,99 euro a litro) e ultra-premium (15-49,99 euro al litro), mentre sui mercati più maturi la fascia di prezzo più rappresentativa è la commercial premium (5-9,99 euro al litro).
I vini top di gamma sono maggiormente concentrati sui mercati extra europei, con punte del 20% a Hong Kong e del 17% in Russia, ma bene fanno anche Cina ed Usa, con quote dell’8,4 e dell’8,3%, mentre è scarsissima, se non addirittura nulla, la presenza sui mercati europei. Ovviamente, sui mercati extraeuropei, gioca molto il fattore dazi e tassazione, che spinge i vini d’importazione “automaticamente” verso fasce di prezzo più alte, e questo pesa: in Cina l’ultra premium pesa addirittura per il 63,9%, in Giappone per il 55,3% ed in Russia per il 46,8%.
Stesso discorso per il mercato britannico, dove l’effetto “duty escalator”, negli ultimi cinque anni, ha via via finito per asciugare la fascia entry level, oggi ridotta al 2%. Al contrario, Paesi come la Germania hanno tra i più alti tassi di prodotti nella fascia entry level (26,8%) anche a causa del fatto che il grosso delle vendite off-trade si effettua negli hard discount. Nel complesso, il posizionamento dei vini itaoiani segue senza grosse differenze la frammentazione dei singoli mercati, facendo, come nel caso di Russia e Giappone, anche meglio della media.
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