Al mondo esistono qualcosa come 1.368 varietà di uve da vino, ma solo qualche decina è stata capace di emergere e conquistare palati e mercati. Segno che il marketing conta, ma la biodiversità non è certo da meno, visto che proprio nella diversità, spesso e volentieri, si nascondono enormi potenziali. Basti pensare al Prosecco, e quindi al Glera (ma anche a varietà meno conosciute, locali ed ammesse nella produzione della bollicina veneta, come Verdiso, Perera e Bianchetta), che solo 10 anni fa, fuori dai confini dell’Italia, non conosceva nessuno. Ecco perché tutelare, studiare e puntare sulle varietà meno note potrebbe rivelarsi, prima o poi una strategia vincente.
In rampa di lancio, in quanto a varietà a bacca nera, secondo il genetista della vite più autorevole al mondo, José Vouillamoz, ce ne sono dieci, che ha messo in fila per “The Drinks Business” (www.thedrinksbusiness.com). Innanzitutto, il Pais, un vitigno che, grazie al lavoro di tanti enologi, si sta ritagliando un ruolo fondamentale nella crescita del vino cileno, dove fu portato nel XVI secolo dai primi “conquistadores” spagnoli. Pronuncia ardua per un’altra varietà, l’Öküzgözü, che in Turchia, da dove ha origine è tra le più famose, mentre sugli scaffali del resto del mondo non ha conosciuto la stessa fortuna: la svolta sembrava vicina, con la crescita esponenziale della vitivinicoltura turca degli ultimi anni, ma nel 2014 il Governo di Ankara ha inferto un colpo pesante a tutto il comparto, proibendo la pubblicità e il marketing interno di qualsiasi tipo di alcolico.
Arriva dalla Loira il Pineau D’Aunis, varietà speziata e fruttata “schiacciata” negli anni dalla popolarità del Cabernet Sauvignon, ma che oggi sta guadagnando spazio nelle carte dei vini della Regione. Il mondo del vino deve invece ringraziare una donna, italiana, per aver riscoperto il Teroldego: Elisabetta Foradori, in Trentino, ha ormai dimostrato che la scomparsa di questa varietà (riscoperta nella metà degli anni ‘80) sarebbe stata una perdita enorme per la viticoltura del Belpaese e non solo. Anche la Grecia ha una sua lunga ed importante storia di vini e vitigni, e negli ultimi tempi varietà come l’Agiorgitiko (ma anche, per i bianchi, Assyrtiko, Savatiano e Xinomavro) stanno recuperando terreno su quelle internazionali.
Mano conosciuto del Touriga Nacional, ma altrettanto importante, nella viticoltura portoghese, specie nella valle del Douro, sta riscoprendo una sua grande rilevanza il Touriga Franca, anche se nessuno lo vinifica in purezza (i vini lusitani, in effetti, sono quasi tutti dei blend di uve diverse, ndr). Protagonista del successo di un’altra Regione francese, il Jura, è il Trousseau, conosciuto anche con il nome di Bastardo, ormai ben più di una semplice curiosità della viticoltura alpina. I più grandi wine consultant del mondo, da Paul Hobbs a Michel Rolland, passando per Alberto Antonini, negli ultimi anni hanno invece riscoperto la culla della viticoltura, l’Armenia, con la sua varietà più rappresentativa, l’Areni. Poco lontano, ancora in quella porta naturale tra Asia ed Europa, c’è la Georgia, da sempre “cantina” della Russia, con un’altra varietà a dir poco simbolica: il Saperavi, a cui è legata la lunga tradizione della fermentazione in anfore interrate, le “qvevri”. Infine, ancora in Italia, ma all’altro capo del Paese, in Sicilia, c’è il Nerello Mascalese, varietà che sta portando uno dei terroir emergenti del Belpaese, l’Etna, all’attenzione del mondo intero, specie grazie all’impegno di una delle griffe più importanti dell’isola, Planeta.
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