L'Italia è un Paese pieno di fantasia e oltremodo attento alle apparenze, caratteristiche queste, che non ci difettano neanche nel mondo del vino. Se facciamo un giro in una qualsiasi enoteca, possiamo subito renderci conto
di quanto appena detto: gli scaffali sono pieni di nomi altisonanti, con etichette estrose, ma se si prova a cercare il tipo di uve o il luogo di provenienza spesso si rimane delusi. Pensate a nomi importanti come Turriga, San Leonardo, Schidione, Sassicaia, Masseto, per non parlare di Obsession, "Dreams...Now is just a wine", Capo di Stato, solo pochi appassionati sanno da dove vengono e con quali
uve sono fatti questi vini. Sui mercati esteri, invece, soprattutto negli Usa, al consumatore piace trovare una retroetichetta con qualche informazione in più senza doversi rivolgere sempre a riviste specializzate o al proprio enotecario di fiducia.
Soprattutto in Toscana ci si sta affidando troppo alla dicitura "vino da tavola di Toscana", mettendo in secondo piano tutte le altre informazioni (forse perché Toscana é una parola magica e tutto quello che è Toscana si vende...). Questo accade perchè in Italia non esiste una regolamentazione rigorosa sulla classificazione dei vini come in Francia: dall'etichetta di un vino francese (che sia più o meno costoso) riusciamo a conoscere dal vigneto di provenienza al fatto se il produttore è solo un imbottigliatore o anche un viticoltore. Sarebbe, forse, auspicabile che anche in Italia i produttori, rinunciando ad un pò della fantasia che li contraddistingue cominciassero a dare una più rigorosa informazione sulle bottiglie.
Massimiliano Calandrini
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