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NELLE PAGINE DE “LA BARACCA DELLO ZAZZERI” UN OMAGGIO AD UNO DEI MIGLIORI CUOCHI TOSCANI. BRAVISSIMO AI FORNELLI MA SOPRATTUTTO DOTATO DI GRANDE UMANITÀ

Non Solo Vino
Luciano Zazzeri

Ci sono molti ristoranti in Toscana, o in Italia, dove mangiare benissimo. Molti i locali “stellati”, ma “La Pineta” di Luciano Zazzeri è un luogo unico. Soprattutto perché è possibile assaporare, oltre ai suoi splendidi piatti, una particolare atmosfera di calore, che ti fa sentire come a casa e che racconta, senza infingimenti di sorta, una storia dalle fondamenta autenticamente umili, comune, peraltro, a molti luoghi cult della ristorazione del Bel Paese ma troppo spesso celata da inopportuni e forzati snobismi.
Ecco allora che Patrizia Turini, autrice de “La baracca dello Zazzeri”, sembra cogliere perfettamente il tratto essenziale de “La Pineta”, fin dal titolo del suo libro appena uscito: un luogo in cui oltre a mangiare bene si mastica molta umanità e non ci si scorda da dove siamo venuti.
Il merito principale, naturalmente, del protagonista del testo, bravo, gentile, sapientemente diplomatico, capace di restare profondamente legato alle sue origini e a quella carica di umanità autentica che, detto volgarmente, resta l'anima più intima dell'oste, personaggio troppo spesso lasciato alle suggestioni letterarie e troppo poco preso ad esempio per la conduzione concreta dei ristoranti.
Un libro arricchito dalle foto di Bruno Bruchi e che alterna alle ricette più famose de “La Pineta” una serie di interventi, da quello dello stesso Luciano Zazzeri a quello del giornalista Salvatore Marchese e del presidente di Slow Food Internazionale Carlo Petrini, a quelli dei professori Vincenzo Vecchio e Sigfrido Romagnoli sul tema della conservazione dei prodotti alimentari. Ma entrano in questa storia anche una serie di interviste dell’autrice a personaggi che, in qualche modo, hanno contribuito al successo de “La Pineta”: da Marilisa Allegrini a Lodovico Antinori, da Piero Antinori a Sibilla e Gaddo della Gherardesca, da Nicolò Incisa della Rocchetta a Elena Bollati di Saint Pierre e Sebastiano Rosa, da Lorenza Sebasti e Marco Pallanti a Josè Rallo, da Angelo Gaja ad Oliviero Toscani ed all’avvocato-gourmand Paolo Baracchino, che illustra la cantina di Luciano.
Il sottotitolo dell’opera “storia di mare e di penna, aromi, colori, profumi, silenzi, incontri e immagini tra innovazione e tradizione” conferma la capacità dell'autrice di restituire l’essenza del suo protagonista: pescatore in passato e ancora oggi, cacciatore e ristoratore capace di tenere ben saldi i riferimenti della tradizione culinaria dell’Alta Maremma, arricchendoli allo stesso tempo con garbate escursioni innovative, senza mai dimenticare un tocco di cuore e di sensibilità nei rapporti con le persone e con la natura.

Focus - Il pensiero sul “La Pineta di Luciano Zazzeri” di Carlo Petrini, presidente di Slow Food Intarnazionale
Il ristorante “La Pineta” è un approdo per me. La pausa piacevole, che ti fa sentire a casa, mentre da o per il Piemonte ci si muove verso il Centro-Sud Italia. Come per me, lo è anche per molti amici piemontesi o del Nord-Est, produttori di vino e non, appassionati di cibo, per i quali rappresenta, sia logisticamente sia gastronomicamente, la tappa ideale durante un lungo viaggio.
Non sto a magnificare la cucina, le materie prime, il mare che si mangia da Luciano Zazzeri: voglio dire che qui si respira ciò che deve essere la gastronomia, a partire dal senso di convivialità che si può sentire appena varcata la soglia del ristorante, fino al suo praticare una scienza colta, multidisciplinare, che dal cibo percorre strade culturali che la portano anche in altri territori.
Perché il cibo non è soltanto nutrizione, la gastronomia non è soltanto nutrizionismo o folklore. Dal cibo possiamo imparare, con il cibo possiamo godere, leggere un territorio, le sue genti. Ma possiamo andare anche oltre: se pensiamo a quanto è stato intaccato dal consumismo, a quanto se ne spreca, a quanto la sua produzione nel mondo è diventata insostenibile, seriale e iniqua, ci rendiamo conto di come dal cibo possiamo ripartire per un nuovo modo di vivere, che sia più armonico con la Terra che ci ospita, a livello globale ma partendo dalla nostra realtà locale.
E il mondo di Zazzeri proprio questo fa: ci racconta del suo territorio, delle comunità che ci vivono, dei produttori e dei pescatori che ci lavorano. Sono luoghi di resistenza civile all’omologazione del consumo esasperato, che porta a confondere il valore del cibo con il suo prezzo, pretendendo che sia sempre più basso, fino a vilipenderlo, a spogliarlo di tutti i connotati che da sempre ha per l’uomo.
Le comunità locali che fanno sistema attorno a un ristorante, con i contadini del luogo, che conservano e sviluppano la propria gastronomia sono comunità che attuano una forma di democrazia partecipativa che va al di là della politica come la conosciamo ed è praticata oggi. Non sto esagerando. Se prendiamo per buona la definizione di gastronomia di Jean-Anthelme Brillat-Savarin il quale nella sua “Fisiologia del gusto” sostiene che essa è lo studio di tutto ciò che “è inerente all’uomo in quanto egli si nutre”, lo studio del cibo a 360° ci fa sconfinare in campi che tradizionalmente non sono mai stati accostati al mondo dell’alimentazione.
La gastronomia si pone oggi come una scienza profondamente interdisciplinare, che riguarda tanto l’agronomia quanto la storia dell’alimentazione, tanto l’economia quanto l’antropologia. Ne fanno parte le scienze, come la botanica e la chimica, e materie umanistiche che ci raccontino i modi di produrre e consumare, le tradizioni e la memoria. E un insieme di saperi ancestrali e nuove tecnologie, include nuove materie come l’ecologia. Intendere la gastronomia in questo modo apre campi di studio e ricerca, applicazioni e soluzioni del tutto inedite, dà sfogo alla fantasia e alla creatività. E un approccio sistemico e per fortuna si discosta profondamente dagli approcci lineari che hanno supportato la società dei consumi fino ad oggi: ben venga chi la pratica con questo stile, chi diventa roccaforte di questa filosofia in un mondo sempre più piatto, dove la diversità fa paura, invece di tornare ad essere la nostra principale fonte di ispirazione.

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