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NEW YORK TIMES: DAL BOOM DEI PREZZI UNA NUOVA CULTURA DEL CIBO

Mentre i consumatori agonizzano di fronte alle casse dei supermercati pagando latte e uova quasi il quadruplo del 2007, c’é chi negli Stati Uniti saluta il rincaro dei generi alimentari come una positiva opportunità per far piazza pulita dei cibi spazzatura e per aprire una nuova stagione culturale a tavola. Se infatti le icone dell’American Way mangereccio, come hamburger, bibite gassate e cibi ipercalorici, continuano a lievitare nei prezzi, i consumatori sposteranno la loro attenzione sulla qualità, sulla genuinità e sulla filiera corta. E’ questo lo scenario, prossimo venturo, ipotizzato in un articolo apparso sul “New York Times”.

“E’ molto difficile argomentare - ha spiegato Michael Pollan, collaboratore del “New York Times Magazine” e autore del libro “In Defence of food: An Eater’s Manifesto” - a favore dell’aumento del prezzo degli alimenti, perché si tratta di una tesi apparentemente antipopolare. Eppure questa ascesa sta rimettendo in gioco, a livello economico, i prodotti sostenibili come la frutta, la verdura, la carne e il latte locali, che hanno poca dipendenza dai carburanti fossili”. Questi alimenti sembrano in effetti aver schivato i rincari e i Governi Statali e Federale hanno iniziato a incoraggiare i compratori istituzionali, come scuole o uffici pubblici, a considerare la distanza geografica e non solo il prezzo nella scelta di fornitori e contratti nel settore alimentare.

I sostenitori dell’aumento dei prezzi del cibo vogliono in sostanza promuovere un cambiamento nell’attuale sistema agricolo, basato essenzialmente sulla produzione monocolturale e sull’uso massiccio di fertilizzanti e trasporti. “Stiamo parlando - ha detto Alice Waters, uno degli chef più conosciuti e influenti d’America - di salute, di tutela del pianeta. Si può risparmiare su tante cose, ma su cibo e salute no”. Ma c’é chi non la pensa così: per Anna Lappé, fondatrice del Small Plancet Institute, “l’equazione cibo economico uguale cibo qualitativamente basso è una semplificazione sbagliata”, mentre per la ricercatrice Ephraim Leibtag “é difficile trovare qualcosa di positivo nell’aumento dei prezzi, soprattutto per quei milioni di persone vedono il cibo low-cost come un trionfo della nazione”.

E in Italia? Secondo la Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) le ipotesi contenute nell’articolo “sono suggestive e per certi versi condivisibili, anche se fortemente ancorate alla realtà e al modello economico alimentare statunitense. Nel nostro Paese ad un aumento dei prezzi corrisponde una contrazione dei consumi, più che un cambiamento di essi, anche perché il concetto di qualità degli alimenti per gli italiani non si collega immediatamente al costo del prodotto, ma è considerato un prerequisito indispensabile per tutti i generi agricoli e alimentari immessi in commercio”.

La confederazione sottolinea però l’importanza di “accorciare al massimo le filiere produttive, sia per stabilire un rapporto fiduciario tra chi produce e chi acquista, sia per un reale beneficio sulla formazione del prezzo finale”. Sulla stessa linea il nutrizionista Giorgio Calabrese, che ha sottolineato come l’aumento dei prezzi stia rendendo più coscienti i consumatori del costo del cibo, anche se in maniera forzata.

“Dal momento che tutti gli alimenti sono aumentati, nel confronto oggi si guarda forse più alla qualità che si sposa talvolta con risparmio. Basti pensare che nell’ultimo periodo i mercati sono sempre più affollati, perché meglio scegliere solo ciò che ci serve ed evitare lo spreco, la bella confezione, il costo salato trasporto e della distribuzione”.

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