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“NON E’ TUTTO MADE IN ITALY QUELLO CHE LUCCICA”: LE RISTRETTEZZE IMPOSTE DALL’UNIONE EUROPEA NON FRENANO L’AFFLUSSO DI MATERIE PRIME STRANIERE PER LA PRODUZIONE DELL’ECCELLENZA AGROALIMENTARE “MADE IN ITALY”

L’eccellenza agroalimentare italiana è in realtà una cucina fusion e globalizzata a tutti gli effetti. La crescente importazione di materie prime provenienti dall’estero, impiegate come ingredienti base dei prodotti tipici italiani, riguarda pressoché tutte le principali filiere alimentari. Secondo un recente studio della Coldiretti, i consumatori spendono oltre la metà dei loro soldi per acquistare “prodotti dei quali non è possibile conoscere la provenienza per mancanza di trasparenza nelle etichette”. Le norme alimentari della Unione Europea sono labili e complicate e mostrano alle spalle un’evidente pressione congiunta di lobby molto potenti: i Paesi del Nord Europa, grandi esportatori di materia prima ed interessati ad avere meno intralci possibili ai loro commerci, e la grande industria di trasformazione che vuole acquisire liberamente dove più le conviene.

“Nel nostro comparto - afferma Luciano Sita, presidente della Granarolo (quasi 8 milioni di latte lavorato, di cui 1/4 acquistato all’estero) - siamo di fatto obbligati ad approvvigionarci fuori dall’Italia, perché le quote di produzione imposte dalla Unione Europea non sono sufficienti a soddisfare la domanda”. E il punto fondamentale sembra essere proprio questo: soddisfare un domanda sempre crescente che riguarda in modo particolare l’eccellenza della cucina italiana. I gravi danni che ne derivano colpiscono la tipicità italiana, i piccoli produttori agricoli, che in un mercato sempre più globalizzato rischiano di non sopravvivere, ed i consumatori che pagano prezzi sempre più cari senza sapere cosa hanno nel piatto.

I marchi di qualità Igp (indicazione geografica protetta), Dop (denominazione d’origine protetta) e Stg (specialità tradizionale garantita), con cui la Unione Europea preserva l’originalità e la qualità nazionale della produzione dei suoi paesi, difendono interessi economici colossali e proteggono i prodotti veri da quelli falsi, con normative che risultano però facilmente interpretabili ed adattabili a proprio piacere per giustificare l’uso di materie prime di importazione.

Da un inchiesta, condotta dal settimanale “Panorama”, emergono diversi casi eclatanti che riguardano alcuni tra i prodotti più famosi dell’eccellenza agroalimentare italiana. Oltre al recente blocco dell’importazione in Europa di carne bovina brasiliana - il cui sistema di tracciabilità non rispettava le norme di sicurezza della UE - con cui si produce la bresaola della Valtellina Igp, altre rivelazioni inquietanti emergono dal mondo della gastronomia italiana: il lardo in conca di Colonnata, prodotto con lardo surgelato spagnolo, e il formaggio di Castelmagno, che ormai si produce anche in altre zone.

I prodotti alimentari italiani confezionati in tutto o in parte con materie prime di importazione, senza che questa caratteristica sia specificata sull’etichetta, è pressoché sterminato: l’80% di latte è importato direttamente da Germania, Austria, Francia, Ungheria e Slovenia; il 65% di grano per il pane e i prodotti da forno proviene da Francia, Germania, Ucraina, Russia e Austria; il 55% delle olive per la produzione di olio da Spagna, Tunisia, Grecia, Turchia e Siria; il 55% del grano duro per la farina della pasta italiana arriva da Canada, Usa, Australia, Francia e Grecia; il 51% di orzo da Francia, Germania, Austria, Ungheria e Bulgaria; il 45% di patate da Francia, Egitto, Germania, Olanda e Belgio; il 42% di carne suina proviene direttamente da Germania, Paesi Bassi, Francia, Danimarca e Spagna; il 35% della carne bovina è importata da Francia, Germania, Paesi Bassi, Brasile e Polonia; il 32% di burro da Francia, Paesi Bassi, Belgio, Regno Unito e Germania.

“Il diritto all’informazione su quel che mangiamo è sacrosanto. Ma ho l’impressione che in questo caso il consumatore venga come strumentalizzato” afferma Paolo Martinello, presidente di “Altroconsumo”, storica associazione di difesa dei consumatori.

L’Unione Europea prevede un’etichettatura più trasparente per carne bovina, pesce, frutta, verdura, uova e miele, ma vorrebbe cambiare le regole, lasciando ai paesi la libertà di introdurre l’obbligo di indicare in etichetta l’origine del prodotto e dei suoi ingredienti, se tale misura va a difesa della qualità.

La Federalimentare, che rappresenta l’industria alimentare in Italia, esprime tutta la sua contrarietà, giudicando questa norma nazionale facoltativa impraticabile in un mercato che prevede la libera circolazione delle merci. Secondo un sondaggio Swg- Coldiretti, però, l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti e dei suoi ingredienti piace al 97% dei consumatori europei.

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