9 ordinanze di arresti domiciliari 4 misure interdittive del divieto di esercitare attività d’impresa, sequestri preventivi per 35 milioni di euro corrispondenti all’illecito profitto derivante dall’attività fraudolenta, sui beni mobili, immobili, partecipazioni societarie e conti correnti riconducibili a 20 dei soggetti indagati, nonché sui beni aziendali di 6 società, con l’accusa di “associazione a delinquere finalizzata alla frode nell’esercizio del commercio, aggravata dalla transnazionalità del reato commesso a danno di un prodotto di qualità regolamentata”. Ecco le coordinate di “Vertical Bio”, l’operazione con cui l’Ispettorato Repressione Frodi (Icqrf) e la Guardia di Finanza di Pesaro, con la collaborazione del Corpo Forestale dello Stato, hanno disarticolato un’associazione per delinquere di carattere internazionale composta da diversi soggetti tra cui operatori inseriti nel settore dei prodotti da agricoltura biologica i quali, avvalendosi di un sistema collaudato di frode, importavano da Paesi terzi (Moldavia, Ucraina, India,) granaglie destinate al comparto zootecnico e, in taluni casi, all’alimentazione umana (in particolare, soia, mais, grano tenero e lino), falsamente certificate come “bio”, per poi rivenderle ad ignare aziende nell’Unione Europea.
“L’attività - si legge in un comunicato - si colloca nel quadro delle azioni di controllo promosse a tutela del made in Italy e della leale concorrenza, attuate per assicurare un adeguato livello qualitativo e di sicurezza delle derrate alimentari, garantendo i consumatori e gli operatori onesti.
Nelle indagini, durate circa due anni, sono stati utilizzati complessi metodi di investigazione tra cui intercettazioni telefoniche e analisi chimico-fisiche dei prodotti nonché ricostruzioni documentali. Tali strumenti hanno consentito di accertare che i responsabili di tale frode - capeggiati da un ultrasettantenne emiliano, chiamato dagli affiliati con il nome in codice di “maestro Joda” - hanno commercializzato prodotti dichiarati come biologici, mentre in realtà in alcuni casi erano stati ottenuti con il contributo di organismi geneticamente modificati (Ogm) ovvero contaminati con principi attivi chimici vietati in agricoltura biologica (tra cui un diserbante come il glyphosate e brachizzanti come il clormequat). L’illecito in questione prevedeva addirittura che le società italiane coinvolte controllassero da un punto di vista tecnico e finanziario le realtà imprenditoriali operanti nei suddetti Paesi terzi sia gestendo i metodi di coltivazione dei prodotti che la certificazione biologica rilasciata dagli organismi di controllo preposti. L’attività di polizia giudiziaria è stata delegata e coordinata dal Sostituto Procuratore della Repubblica di Pesaro, Silvia Cecchi”.
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