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PARMALAT: I FRANCESI DI LACTALIS ACQUISISCONO IL 15,3% CONTROLLATO DAI 3 FONDI STRANIERI E SALGONO AL 29%. IN ATTESA DELLE CONTROMOSSE DI FERRERO SI ACCENDE IL DIBATTITO SULLE SCALATE STRANIERE ALLE AZIENDE ITALIANE

Il primo gruppo al mondo dei latticini, la francese Lactalis, controllata dalla famiglia Besnier, ha acquistato il 15,3% delle azioni di Parmalat controllate da 3 diversi fondi stranieri - Zenit Asset Management, Skagen e Mackenzie Financial Corporation - e sale così ad una quota del 29%, riducendo al lumicino le possibilità acquisizione da parte di uno dei gruppi italiani di cui si era fatto il nome nei giorni passati, primo tra tutti Ferrero. Pronta la reazione del Governo Italiano, che già nei giorni scorsi, per bocca del Ministro dell’Economia e delle Finanza, aveva espresso preoccupazione e disappunto per la mancanza di leggi che permettano al Paese di garantirsi un controllo diretto sugli asset strategici della nostra economia. In tal senso è previsto per domani un Consiglio dei Ministri straordinario, che prevede all’ordine del giorno il voto su un decreto legge che impedisca scalate da parte di gruppi stranieri di aziende fondamentali per l’economia italiana. Legge che, a differenza di quanto scritto sui giornali negli ultimi giorni, non esiste neanche in Francia: oltralpe, infatti, una legge a protezione dei propri asset strategici coinvolge esclusivamente settori sensibili, come quello energetico, militare, o che abbiano a che vedere con la sicurezza nazionale, per il resto la parola passa alla diplomazia prima ed al mercato poi.

A chiedere l’intervento del Governo, sono in primis le associazioni di categoria del mondo agricolo, come la Cia, che, per bocca del presidente Giuseppe Politi lancia un appello: “Adesso occorre fare massima chiarezza. Il Governo deve intervenire prontamente. I nostri produttori di latte devono avere le opportune certezze. Non solo. L’agroalimentare italiano è strategico e deve essere tutelato. Non si può continuare ad assistere passivamente all’assalto dello straniero che in questo importante settore è diventato un indisturbato conquistatore. Le vicende di questi ultimi anni lo confermano in modo chiaro”. Dura anche la presa di posizione di Copagri, delusa dall’immobilismo sia del Governo - che in verità non ha, almeno ad oggi, alcuno strumento per impedire la scalata di un gruppo straniero ad un’azienda italiana - sia della classe imprenditoriale di casa nostra: “L’accordo che sarebbe stato raggiunto oggi per l’acquisizione di Parmalat da parte del colosso francese Lactalis si configura come l’ennesimo saccheggio del made in Italy. Dopo le ipotesi di mantenimento dell’azienda nelle mani di un gruppo italiano e il freno annunciato dal Ministro Tremonti rispetto all’acquisto da parte di industrie estere si va consumando un altro grave danno per l’economia agricola ed agroalimentare nazionale. I nostri allevatori sono sempre meno garantiti e mentre all’estero prosegue la caccia al nostro agroalimentare, comprendendone l’inestimabile valore, in Italia, a livello politico - istituzionale, c’è solo disinteresse”.

Sono molti gli interessi in campo, e la vicenda non è ancora conclusa. Certo è che ad oggi, con il 29% della società, Lactalis “rischia” seriamente di uscire vincitrice dall’assemblea del 12 (o 14) aprile prossimo, aggiungendo un’altra “perla” - la quinta - ad un “collier” che in Italia la vede controllare già 4 delle più grandi aziende del settore caseario, Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori. Difficile del resto prevedere le prossime mosse di Ferrero, l’unico player credibile nella partita Parmalat, l’unico ad avere la possibilità di sparigliare le carte in tavola, le cui scelte però, sono intrinsecamente legate alla possibilità di trovare un appoggio da parte di Banca Intesa San Paolo. Defilato il ruolo di Granarolo, interessata al controllo del solo comparto italiano di Parmalat, che in serata fa sapere di non avere liquidità per investire in azioni Parmalat.

Ma la scalata dei francesi deve fare davvero paura? E perché l’imprenditoria italiana in campo agroalimentare è così indietro? Ne abbiamo parlato con Massimo Agostini, de “Il Sole 24 Ore”, che segue le vicende legate al gigante di Collecchio già da prima dello scandalo che lo travolse nel 2004, lasciando sul campo 14 miliardi di deficit. “L’operazione di Lactalis non dovrebbe far così paura, né ai mercati né agli allevatori. Stiamo parlando di una multinazionale solida, che in Italia controlla già Galbani, Locatelli ed Invernizzi, garantendo un certo livello qualitativo. In fondo chi compra un’azienda che opera in Italia ne acquisisce anche l’aspetto qualitativo: non si vede perché vi dovrebbe rinunciare, a quel punto non ne varrebbe la pena”. Sul ruolo dell’imprenditoria italiana il giudizio è più complesso, ed ha radici lontane: “Sostanzialmente dal secondo dopoguerra l’Italia e la sua classe imprenditoriale non hanno mai creduto fino in fondo nelle potenzialità dell’agroalimentare. Si è puntato su altro, lasciando indietro un settore, sbagliano, che oggi si è rivelato invece fondamentale. Con queste premesse è chiaro come si sia arrivati ad oggi a non avere gruppi sufficientemente grandi, e con liquidità tali, da recitare un ruolo importante nel mondo della finanza e dell’economia”.

La lunga giornata delle scalata di Lactalis a Parmalat si conclude così il tonfo in Borsa, dove lascia il 7%, e le dichiarazioni di due Ministri del Governo, Paolo Romani, titolare dello Sviluppo economico, che si augura il palesarsi di una cordata italiana, e Giancarlo Galan, Ministro delle politiche Agricole, che lamenta come “da quando sono ministro delle Politiche agricole ho più volte denunciato l’assenza nel nostro Paese di una qualche forma di autentica e riconosciuta centralità dell’universo dell’agricoltura. Nella speranza che nelle prossime ore giungano buone notizie, - conclude il ministro - ribadisco la necessità e l’urgenza di riconsiderare gli attuali limiti politico-istituzionali in cui è costretto a muoversi un Ministero come quello di cui ho la responsabilità in simili frangenti”.

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