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DAL 26 AL 28 SETTEMBRE

Perché il vino di montagna è differente? La risposta è in un calice di bollicine Trentodoc

Nel “Trentodoc Festival”, le maison di Istituto Trentodoc, chef, sommelier ed artisti raccontano il suo valore inestimabile tra Trento e il territorio

Il vino di montagna è più di un vino: in Italia la viticoltura di montagna rappresenta solo il 2% del totale, ma il suo valore inestimabile è quello di essere espressione di comunità, custode di biodiversità e cultura, frutto di un lavoro che mantiene vive le economie ed i territori d’alta quota. Come le 94 cime oltre i 3.000 metri ed i quasi 300 laghi che si contano in Trentino, dove, all’ombra delle Dolomiti Patrimonio Unesco, in poco più di 1.100 ettari vitati (il 16% dell’intera superficie vitata trentina), nasce il Trentodoc, il Metodo Classico di montagna per eccellenza (e primo ad ottenere la Doc), che, in questo contesto, ha elevato la sua qualità ad altissimi livelli, guadagnandosi un posto di rilievo nel mondo della spumantistica italiana, con una crescita costante che, nell’ultimo decennio, ha visto raddoppiare bottiglie e giro d’affari: 12,3 milioni le bottiglie vendute per 180 milioni di euro nel 2024, oltre il 90% in Italia, il mercato principale, mentre le esportazioni rappresentano l’asset strategico per il futuro del marchio, con Stati Uniti e Svizzera come primi mercati su cui puntare, sull’onda della passione mondiale per le bollicine e dei riconoscimenti da parte della critica (con il Trentodoc che è il più premiato nel celeberrimo “Mondiale degli spumanti” di Tom Stevenson). Una qualità che è frutto del legame ancestrale con le montagne e della grande tradizione spumantistica, nata nei primi del Novecento dall’intuizione di Giulio Ferrari, e legata alla rifermentazione in bottiglia ed al contatto prolungato sui lieviti che sono le caratteristiche peculiari del Trentodoc, capace di vantare altitudini importanti con la sua viticoltura eroica che vede i vignaioli coltivare la vite - principalmente Chardonnay e Pinot Nero, ma anche Pinot Bianco e Meunier - nei luoghi più impervi, ma anche affinamenti lunghissimi - ben oltre i 36 mesi minimi previsti per una Riserva, da un minimo di 15 - che lo vedono riposare anche sul fondo dei laghi o tra i ghiacciai, unendo uomo e natura, saperi antichi e innovazione.
Perché il vino di montagna è differente lo racconterà il “Trentodoc Festival” 2025 (e WineNews in un video, ndr), all’edizione n. 4, dal 26 al 28 settembre, diffuso in tutta Trento e nel territorio dove nascono le bollicine trentine, promosso dalla Provincia Autonoma di Trento e firmato dall’Istituto Trentodoc e Trentino Marketing, con la collaborazione del “Corriere della Sera” e con la direzione artistica del vice direttore Luciano Ferraro, e con esperti di vino, ma anche di economia, Intelligenza Artificiale, marketing e comunicazione, accanto ai produttori che aprono le porte di 53 maison con più di 120 eventi nell’evento con “Trentodoc in Cantina” - da Altemasi a Cesarini Sforza Spumanti (Gruppo Cavit), da Ferrari Trento alla Fondazione Edmund Mach, da Letrari a Marchesi Guerrieri Gonzaga, da Maso Martis a Rotari (Gruppo Mezzacorona), da Abate Nero a Balter, da Bellaveder a Michele Sartori, dalla Cantina di Toblino a Cembra Cantina di Montagna, da Gaierhof a Metius, da Moser a Reví, a Villa Corniole, per citarne solo alcune - grandi chef, sommelier stellati e tanti artisti - dal filosofo della scienza Telmo Pievani al cantautore Mario Biondi, dall’attore e doppiatore Francesco Pannofino al bassista Saturnino - che si ritrovano davanti ad un buon calice di bollicine, abbinato all’ottima cucina di montagna. Ed a conferma di come le bollicine siano davvero un “vino contemporaneo”, quasi un “non vino”, quanto piuttosto un vero e proprio “medium” della nostra società, sinonimo di freschezza, bassa gradazione e versatilità, capaci di unirsi in maniera perfetta sia con la cucina d’autore che di tradizione, ed alle bellezze dei territori dove nascono, sempre più meta di enoturismo, nel segno della convivialità e della condivisione, in ogni occasione.
Ma è l’agricoltura nel suo complesso a confermarsi volano dell’economia della montagna che interessa in Italia più 3.400 comuni, quasi la metà del territorio italiano: la filiera agricola produce in media il 16% del valore aggiunto dell’economia montana italiana, e per 129 comunità territoriali su 387 identificate dalle Alpi agli Appennini da Uncem e Ipsos nel “Rapporto Montagne Italia” 2025 - nel progetto Italiae della Presidenza del Consiglio dei Ministri - supera i 20 milioni di euro. Più del turismo di montagna che, pure, si dimostra in salute ed è in continua crescita: oggi vale complessivamente il 6,7% del Pil dei territori montani, in linea con quello dell’intero Paese, ma con punte straordinarie come in Trentino dove in alcune comunità più del 60% del Pil è legato direttamente o indirettamente alla filiera turistica. Ma non si tratta solo di questo, perché la montagna è oggi considerato anche e soprattutto come luogo ideale in cui vivere, tanto che dopo decenni di spopolamento, tra il 2022 e il 2023 il saldo migratorio è tornato positivo, grazie a quasi 100.000 persone che vi si sono trasferite a vivere. Perché “la montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio tempo e misura”: parole dello scrittore Paolo Cognetti nel celebre romanzo “Le otto montagne”, dal quale è stato il pluripremiato film dei registi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch.

Focus: Al “Trentodoc Festival” 2025, con WineNews
Tra gli oltre 160 eventi nell’evento nel “Trentodoc Festival” 2025, nella selezione WineNews, il 26 settembre alla Loggia del Romanino del Castello del Buonconsiglio, nei Cook Tales, si parla di “Status, esperienza, accoglienza: cos’è il lusso contemporaneo?” nell’hôtellerie, raccontando il passaggio dalla formalità di ieri, alla ricerca di ingredienti rari e posti autentici di oggi, con Rossella Cerea, direttore esecutivo del ristorante di famiglia Da Vittorio, tre stelle Michelin a Brusaporto, Giuseppe Iannotti, chef del ristorante Krésios, due stelle Michelin a Telese Terme, Maurizio Bufi, che Il Fagiano, una stella Michelin al Grand Hotel Fasano a Gardone Riviera, Matteo Maenza, executive chef Gruppo Lefay, una stella Michelin con il ristorante Grual di Pinzolo, Matteo Lunelli, presidente e ad Ferrari Trento, e Roberto Failoni, assessore all’Artigianato, commercio, turismo, foreste, caccia e pesca Provincia Autonoma di Trento. “Cosa accadrà con l’Intelligenza artificiale nel vino”, tra opportunità, dubbi e sfide etiche, è, invece, il dibattito del Wine Talk a Palazzo Geremia con Riccardo Luna, editorialista del “Corriere della Sera”, dalla viticoltura di precisione al monitoraggio climatico, dall’analisi predittiva per la gestione delle vendemmie alla personalizzazione dell’esperienza del consumatore. Nel Trentodoc Tasting “Zero compressi, solo Trentodoc” a Palazzo Ocse, Essi Avellan, Master of Wine, e Roberto Anesi, Miglior Sommelier d’Italia dell’Ais-Associazione Italiana Sommelier 2017 spiegano cosa caratterizza un Trentodoc non dosato, quanto viene influenzata questa tipologia dalla zona di produzione e quanto conta la competenza dell’enologo. Nei Cook Tales alla Loggia del Romanino del Castello del Buonconsiglio, “Creatività e contaminazione: il concetto di meraviglia in cucina” è un confronto tra Anthony Genovese, chef Il Pagliaccio, due Stelle Michelin a Roma, Jessica Rosval, chef del ristorante Al Gatto Verde della Francescana Family di Massimo Bottura, stella Michelin e stella Verde a Modena, Alexander Robles, chef del ristorante Azotea di Torino, e Giovanni Tava, co-fondatore dell’azienda “Uova di Montagna” sul Monte Baldo, che lavora con chef tristellati come Massimiliano Alajmo e Giancarlo Perbellini, su cosa significano, in un mondo che è sempre più globalizzato, creatività e contaminazione, affrontando il concetto della meraviglia in cucina, per scoprire come la capacità di intrecciare suggestioni da mondi diversi è per molti il motore dell’innovazione. Ancora, nei Trentodoc Tasting a Palazzo Bortolazzi - sede Sosat, si parla di “Trentodoc Riserva: metodo, montagna, tempo” sempre con la Master of Wine Essi Avellan, che spiega come questi siano tre fattori indispensabili per la creazione di una Riserva Trentodoc: da disciplinare, per ottenere una Riserva, infatti, la bottiglia deve risposare sui lieviti almeno 36 mesi, ma tutte le case spumantistiche Trentodoc, grazie alla loro abilità e ad un territorio unico, allungano di molto questo periodo a tutto vantaggio della qualità finale nel calice. Il Wine Talk nella Corte di Palazzo Roccabruna, sede dell’Enoteca Provinciale del Trentino, “Raccontare il vino, accogliere il mondo: come cambiano le cantine” mette, quindi, a confronto Violante Gardini Cinelli Colombini, presidente Movimento del Turismo del Vino, Raffaella Bologna, proprietaria della cantina Braida a Rocchetta Tanaro, Giulia Zanotelli, assessore all’Agricoltura, promozione dei prodotti trentini, ambiente, difesa idrogeologica ed enti locali della Provincia Autonoma di Trento, Elisabetta Nardelli, head of agrifood & sustainability Trentino Marketing, e Valentina Togn, proprietaria Maso Poli, sul fatto che il vino oggi non si limita più a essere prodotto e venduto, ma si racconta, si vive, si sperimenta, tra nuove strategie di comunicazione, percorsi di visita, degustazioni immersive, eventi culturali e ospitalità, grazie all’enoturismo che ha trasformato le cantine in veri e propri luoghi di accoglienza e narrazione del territorio.
Il 27 settembre, nei Wine Talks nella Corte di Palazzo Roccabruna, ecco la risposta alla domanda “Perché il vino di montagna è differente” con il filosofo della Scienza Telmo Pievani, professore di Filosofia e Scienze Biologiche dell’Università di Padova, Stefano Fambri, presidente Istituto Trento Doc, e direttore Nosio - Rotari del Gruppo Mezzacorona, ed Andrea Buccella, responsabile produzione Cesarini Sforza (Gruppo Cavit). A seguire, sempre nei Wine Talks, ma nel Chiostro degli Agostiniani, si parla di “Il vino raccontato dagli scrittori, gli scrittori che ispirano le cantine”, e di come sin dall’antichità la letteratura decanta il vino, sotto forma di prosa o poesia, in un dialogo dinamico dove la forza evocativa della parola amplifica le sfumature sensoriali del vino, e viceversa, creando un intreccio di significati e immagini, con Alberto Toso Fei, scrittore e saggista, Massimo Donà, scrittore, filosofo e musicista jazz, Pietro Bortolotti, produttore Cantina Salim, ed Isabella Bossi Fedrigotti, giornalista, scrittrice e produttrice. Quindi, il Trentodoc Tasting a Conte di Luna a Palazzo Roccabruna, dedicato al “Trentodoc: dieci anni e non sentirli”, una degustazione di Trentodoc che hanno affinato e sono evoluti per ben 120 mesi in bottiglia, piccole produzioni in alcuni casi, rarità o esempi preziosi che vedono la collaborazione virtuosa tra l’uomo e il suo territorio, il Trentino, con Maurizio Dante Filippi e Roberto Anesi, rispettivamente Migliori Sommelier d’Italia dell’Ais-Associazione Italiana Sommelier 2016 e 2017. Ancora, nei Wine Talks a Palazzo Geremia, un confronto su “Dove puntano nel mondo le aziende del vino”, ovvero su quali sono le dinamiche attuali del commercio internazionale del vino, tra scenari in continua evoluzione, nuovi mercati emergenti e consolidamento nei mercati storici, come le aziende ripensano e diversificano le strategie di esportazione, presenza produttiva e distribuzione, con Giacomo Marzotto, presidente Herita Marzotto Wine Estates, Enrico Zanoni, dg Cavit, Francesco Ganz, ceo Ethicawines, e Carlo Flamini, responsabile Osservatorio del Vino di Unione Italiana Vini (Uiv). “Dagli abissi alle vette: Trentodoc estremi” è, a seguire, a Palazzo Bortolazzi - sede Sosat, un Trentodoc Tasting che racconta le bollicine che affinano più a lungo e in luoghi insoliti, condotto da Roberto Anesi, Miglior Sommelier d’Italia dell’Ais-Associazione Italiana Sommelier 2017.
Il 28 settembre, infine, c’è ancora tempo per “Formaggi: il rito immortale del carrello”, con Riccardo Monco, chef e co-proprietario Enoteca Pinchiorri, tre Stelle Michelin a Firenze, Nicolò Quarteroni, chef del ristorante Ferdy Wild, stella Verde a Lenna, e Marco Bortolotti, chef del ristorante Vecchia Segheria a Baselga di Pinè, che raccontano come, il carrello dei formaggi è un momento “sacro” tanto di ristoranti d’antan che di realtà iper-contemporanee, un rito che si è evoluto, e che oggi non può prescindere dall’esperienza sensoriale e dalla narrazione del territorio in cui nascono i formaggi, e da un calice di vino, bollicine of course, nel più classico dei classici degli abbinamenti.

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