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PRODOTTI AGRO-ALIMENTARI, LA RENUMERAZIONE DELLA FASE AGRICOLA “PESA” PER IL 20% SUL PREZZO FINALE. E IL RESTO? TASSE, LOGISTICA, DISTRIBUZIONE, VENDITA. A DIRLO, IL RAPPORTO ISMEA “CHECK UP 2012: LA COMPETITIVITÀ DELL’AGROALIMENTARE ITALIANO”

Tra i problemi maggiori con cui deve fare i conti il settore agroalimentare italiano, c’è da sempre una filiera troppo lunga che va dall’agricoltore al consumatore passando per un numero imprecisato di passaggi intermedi, in cui il costo aumenta, praticamente senza motivo e, a pagarne le spese, sono sempre gli estremi della catena: il coltivatore, cui viene corrisposto un valore sempre minore alle materie prime, ed il consumatore, costretto a pagare frutta e verdura (ma anche, ovviamente, qualsiasi altro prodotto della filiera agroindustriale, dalla pasta allo yogurt) ben più del dovuto. A ribadirlo, arriva il rapporto Ismea “Check up 2012: la competitività dell’agroalimentare italiano” che, con un ampio corredo statistico sugli ultimi 10 anni e il confronto con le dinamiche degli altri Paesi Ue, fa il punto sullo lo stato di salute del settore agroalimentare nazionale.
Nel caso dei prodotti agricoli freschi o non soggetti a trasformazione industriale, in un decennio la remunerazione della fase agricola si è ridotta di quasi 6 euro su ogni 100 spesi dal consumatore. In altre parole, la quota di valore “trattenuta” dall’agricoltura è passata dal 25,6% del 2000 al 20% del 2009, mentre è aumentato nello stesso periodo il margine di tutte le attività che intervengono tra il “cancello” dell’azienda agricola e il punto di vendita dove si registra l’acquisto finale. In sostanza, il cosiddetto marketing share, che remunera logistica, distribuzione e vendita e che include il pagamento delle imposte sul consumo, ha raggiunto nel 2009 una quota pari al 73% del valore di filiera, mentre rappresentava il 68% nel 2000.
Nel caso dei prodotti trasformati, la quota agricola scende ulteriormente, passando dall’8,5% nel 2000 al 6% nel 2009. Cede valore anche la fase industriale (da 45,8% al 42,2%), mentre passano dal 39 al 42% i margini degli attori distributivi. Un graduale depauperamento dell’agricoltura trova conferma anche dalla contrazione del reddito aziendale. Nell’ultimo decennio, secondo i dati Eurostat, l’assegno che resta all’imprenditore agricolo, pagati i salari, le imposte e imputati gli ammortamenti, si è ridotto a valori correnti del 68%. Includendo i contributi comunitari la riduzione appare meno marcata (-47%), ma comunque molto più elevata della media Ue. All’origine di tale fenomeno - spiega Ismea - il divario tra i prezzi spuntati dagli agricoltori e i costi dei fattori di produzione. Dal 2001 al 2011, le quotazioni dei prodotti agricoli sono cresciute a un tasso medio annuo dell’1,8%, che si rapporta a un più 2,7% dei costi legati all’acquisto dei mezzi correnti di produzione. A condizionare il settore anche la dinamica dei consumi delle famiglie italiane, scesi dell’1,3% nel 2011, dopo una prolungata fase di stagnazione. Le difficoltà economiche e gli effetti del caro-vita hanno indotto le famiglie a ridurre i consumi alimentari, ritenuti in passato incomprimibili. Anche se le vendite all’estero hanno potuto almeno in parte compensare la mancata crescita della domanda interna.
Resta tuttavia bassa la propensione all’export dell’agroalimentare. L’Italia, infatti, presenta un’incidenza delle esportazioni sulla produzione agricola e sul fatturato dell’industria alimentare rispettivamente dell’11,4% e del 17,8%, inferiore sia rispetto alla media comunitaria e sia a quella dei principali competitor (Spagna, Francia e Germania). L’export italiano di prodotti agroalimentari è cresciuto del 12,8% nel 2010 e dell’8,5% nel 2011, trainato soprattutto dalla domanda extra-Ue, mentre nel medio periodo (2006-2011) l’aumento annuo è risultato in media del 6,2%. Il 68% delle esportazioni è riservato ai paesi Ue. Il resto del Mondo assorbe invece meno di un terzo, con un ruolo di punta di mercati tradizionali come Stati Uniti e Svizzera. Ancora scarsa la presenza nei paesi emergenti, anche se cresce l’export soprattutto in Cina e Russia. Quest’anno, conclude l’Ismea, le esportazioni di prodotti agricoli e alimentari sono finora aumentate del 4,2% (primi 5 mesi 2012), mentre l’import si è ridotto su base annua del 2,7%. Nel primo semestre si è ulteriormente allargata la forbice tra prezzi ricavo e prezzi costo, con i primi in flessione del 2,5% e i secondi aumentati mediamente del 2%.

Focus - Coldiretti: “grave che per ogni euro di spesa per prodotti alimentari solo 20 centesimi giungano nelle tasche delle agricoltori”
“È particolarmente grave che per ogni euro di spesa per prodotti alimentari solo 20 centesimi giungano nelle tasche delle agricoltori e il resto si perda nei meandri della filiera”. Lo dice la Coldiretti, commentando il rapporto Ismea “Check up 2012: la competitività dell’agroalimentare italiano” che fa il punto sullo stato di salute del settore.
A pesare negativamente sulla redditività dell’agricoltura italiana è la riduzione dei prezzi pagati alle imprese agricole per effetto dello strapotere contrattuale degli altri soggetti della filiera, ma anche per la concorrenza sleale dovuta alla mancanza di trasparenza nell’informazione ai consumatori che permette di spacciare come made in Italy prodotti importati.
“Un deficit di giustizia nella filiera e di verità nei confronti dei consumatori - dice il presidente Coldiretti Sergio Marini - reso possibile dalla mancanza della politica”. Eppure il modello agricolo italiano è vincente nel mondo dove ha conquistato primati nella qualità, tipicità e nella salubrità delle produzioni, ma anche nel valore aggiunto per ettaro di terreno ovvero la ricchezza netta prodotta per unità di superficie dall’agricoltura italiana, che è praticamente il doppio di quella di Germania, Francia e Spagna e il triplo di quella inglese.
“E’ proprio per rispondere alla crisi che attanaglia il Paese e per riportare giustizia e verità che abbiamo avviato - conclude Marini - il progetto della “Filiera agricola italiana”, un impegno che se da un lato va a salvaguardia dell’identità dell’agricoltura italiana, il rispetto dell’ambiente e della biodiversità, dall’altro garantisce ai consumatori giusta qualità e quantità, genuinità e sicurezza degli alimenti, conciliando i bisogni di consumatori e di produttori”.

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