E’ di questi giorni l’ennesimo clima trionfalistico che accompagna le bollicine italiane. Una euforia dettata, sostanzialmente dalla crisi dello Champagne dalla portata, indubbiamente, a dir poco, storica.
Un nostro diretto competitor attraversa un momento decisamente delicato e la spumantistica italiana fa bene ad approfittare, come le leggi di mercato non solo consigliano, ma impongono. Fin qui nulla da eccepire, specialmente in un periodo di crisi come quello attuale. Se mai bisognerà valutare, e i segnali per adesso sono positivi, quanto il comparto spumantistico italiano sia capace di erodere concretamente le quote di mercato perse dai francesi.
Per dispiegare a pieno questo successo possibile, però, è necessario analizzare e quindi interpretare correttamente il variegato scenario dei cosiddetti “Vin Spumanti”. Una questione già sollevata ad inizio 2009 (http://www.winenews.it/index.php?c=detail&id=14813&dc=15) per esempio da Maurizio Zanella, presidente del Consorzio Franciacorta e uno degli artefici del successo proprio di quel vino e di quel territorio.
Ma proviamo a vedere un po’ più da vicino la questione con qualche cifra.
I numeri dei “vini spumanti” sono decisamente notevoli. Nel mondo si producono 2 miliardi e 300 milioni di bottiglie di “vini spumanti” all’anno (fonte Oiv). Il primo produttore mondiale è la Germania con 480 milioni di bottiglie, seguita dalla Francia con 435 milioni di bottiglie. Al terzo posto l’Italia con 299 milioni di bottiglie e al quarto la Spagna con 252 milioni di bottiglie prodotte (fonte: Osservatorio Nazionale Economico Spumanti - Rapporto 2008 - Stima ed elaborazione Forum su dati Iwsr/Gdr, Vinexpo, Oiv, Civc, Forum Spumanti, Consejo Cava).
Limitando la nostra attenzione a Francia ed Italia, notiamo subito che il volume complessivo della produzione francese è almeno di un centinaio di milioni di bottiglie superiore al classico numero di riferimento (quello della produzione complessiva di bottiglie di Champagne che si aggira intorno ai 300 milioni di pezzi) preso per costruire il modello di confronto con i prodotti italiani. In quella non piccola cifra sono compresi gli altri spumanti francesi, magari poco conosciuti dalle nostre parti, i “crèmant” (Crémant d’Alsace, Crémant de Borgogne, Crémant de Loire, Crémant de Bordeaux, Crémant de Limoux, Crèmant du Jura, Crèmant de Die prodotti prevalentemente anch’essi con metodo champenoise), e le bottiglie prodotte con metodo Charmat, che a dispetto del nome, è un sistema di vinificazione pressoché abbandonato dalla spumantistica francese. Ma a rendere il confronto impreciso se non addirittura fuorviante è soprattutto il fatto che si continua ancora a mettere sullo stesso piano una produzione, quella italiana costituita per la maggior parte da bottiglie ottenute con metodo Charmat, con una produzione, quella francese e, per giunta, solo quella della Champagne, prodotta esclusivamente con metodo classico o champenoise. Insomma, è come se confrontassimo mele con pere, perché stiamo parlando di due vini assolutamente diversi non solo per metodologia produttiva ma anche per caratteristiche organolettiche e per prezzo di vendita.
Il vero confronto sarebbe esatto soltanto se alla produzione dello Champagne noi contrapponessimo quella degli spumanti metodo classico, ma, in questo caso, evidentemente, i toni trionfalistici dovrebbero essere decisamente smorzati. La produzione metodo classico italiana, infatti, raggiunge complessivamente 22 milioni di bottiglie provenienti per lo più dal Trentino, dalla Franciacorta, dall’Oltrepo Pavese e dall’Alto Adige (Osservatorio Nazionale Economico Spumanti - Rapporto 2008). Il grosso degli Spumanti del Bel Paese è prodotto, invece, con metodo Charmat, per un totale che si aggira sui 277 milioni di bottiglie (raccogliendo la produzione dell’Asti, del Prosecco, degli spumanti dolci e secchi, ottenuti in ogni regione). Ed è proprio questa produzione, grazie anche a prezzi altamente competitivi, ad imprimere il dinamismo più incisivo sui mercati, facendo correre il comparto della spumantistico italiano.
Insomma, per concludere, i recenti titoli dei giornali o i servizi televisivi che inneggiano al trionfo dello spumante italiano sullo Champagne fanno effetto, ma, purtroppo, non sono esattamente la realtà, che, come sempre, è un po’ più articolata e sfumata.
Focus - il “Metodo Classico” o Champenoise
Il metodo classico (o champenoise) è un processo di produzione di vino spumante che consiste nell’indurre la rifermentazione in bottiglia dei vini attraverso l’introduzione di zuccheri e lieviti selezionati (liqueur de tirage). In questo modo il vino acquisisce la tradizionale pressione (visibile sotto forma di bollicine) garantita dall’anidride carbonica prodotta dalla seconda fermentazione (prise de mousse, presa di spuma) avvenuta in bottiglia. Dopo un periodo di riposo avviene la fase del remuage: una continua rotazione delle bottiglie (effettuata nella maggior parte dei casi da macchine ad hoc) che fa depositare le fecce dei lieviti esausti (che sono stati prodotti dalla fermentazione in bottiglia) sul tappo. L’ultima fase della lavorazione (degorgement) consiste nel gelare il vino contenuto nel collo della bottiglia e nel togliere il tappo in modo che il deposito fuoriesca spinto dalla pressione. A questo punto il vino viene rabboccato con uno sciroppo di vino e zucchero (liqueur d’expedition) e posto ad affinare per qualche mese prima della vendita. La quantità di zucchero del composto determina le caratteristiche dello spumante, da demi-sec a extra-brut. Qualora non si introduca il liquer d’expedition ma lo stesso vino, si ha uno spumante pas dosé, particolarmente secco. Le cuvée, cioè l’assemblaggio di vini di varie annate, caratterizza lo stile della Maison. Se la cuvée è composta di uve almeno per l’85% della stessa annata, allora lo spumante merita la denominazione di millesimato e può essere riportata l’annata in etichetta; diversamente si ha un sans année. Il primo riposa in cantina dai 4-5 anni in poi, il secondo generalmente 2-3, prima della sua immissione sul mercato.
Focus il “Metodo Charmat” o Martinotti
Fu il casalese Federico Martinotti, direttore per l’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, ad inventare negli anni venti il metodo di rifermentazione controllata in grandi recipienti. Il francese Eugène Charmat intorno al 1910 costruì e brevettò tale attrezzatura, da qui il doppio nome, metodo Martinotti-Charmat. In sostanza il metodo prevede una seconda fermentazione del vino in grandi contenitori in acciaio, pressurizzati, dette appunto autoclavi. Questa la differenza principale con il metodo Champenoise in cui la fermentazione viene effettuata in bottiglia. Come per il metodo classico l’enologo stabilisce un assemblaggio con i vini a disposizione. Dopo una chiarifica o un filtraggio, il vino è pronto per essere messo nelle autoclavi dove è stata preparata la base dei lieviti selezionati con aggiunta di zuccheri e di sali minerali per favorirne l’attività. La fermentazione che si svolge è rapida, in genere intorno agli 80 giorni (30 se l’autoclave è dotata di agitatori); una qualità migliore si ottiene prolungando tale periodo di permanenza sui lieviti. Con tale sistema non tutta l’azione dei lieviti viene svolta, con un conseguente residuo zuccherino maggiore di quanto si trova negli spumanti champenoise, una caratteristica “imposta” dal metodo stesso che ha come obbiettivo quello di velocizzare le operazioni di spumantizzazione.
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