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Rapporto Censis/Cia - Per tornare a crescere in Italia ci vuole l’agricoltura: lo dicono gli italiani (82% e 1 su 2 coltiva l’orto). E i dati: create 117.000 aziende in 3 anni, 15% da under 30, volano bio, l’agricoltura all’Università, l’export ...

Per tornare a crescere in Italia, ci vuole l’agricoltura: lo dicono gli italiani, per l’82% dei quali oggi il settore rappresenta un asset strategico del Paese, il 51% lo considera una fonte di ricchezza e di occupazione, il 31% ritiene che possa essere il nostro valore aggiunto in termini di competitività. E lo dimostra il fatto che gli anni più recenti sono stati caratterizzati da un diffuso e inaspettato ritorno di attenzione per il mondo agricolo. Emerge da “Un futuro per l’Italia: perché ripartire dall’agricoltura”, primo Rapporto realizzato dal Censis per Cia-Confederazione Italiana Agricoltori, e presentato oggi a Roma. E, dice il Rapporto, se gli italiani vedono più agricoltura nel futuro, anche il presente si colora di verde. Fare l’orto e dedicarsi al giardinaggio non sono più attività per pochi affezionati, magari anziani. Un italiano su due coltiva un orto (e tra i giovani la percentuale non si riduce: 51%) e ancora di più sono quelli con la passione per il giardinaggio (70%). Ma dalla parte dell’agricoltura, ci sono, ovviamente, anche i numeri: negli ultimi tre anni sono state create 117.000 nuove aziende (è agricola 1 impresa su 10 di quelle nate dal 2010), il 15% da giovani under 30, decollano i prodotti bio e i piccoli negozi etnici, e l’agricoltura ha successo anche negli studi universitari. E, come già ufficializzato, vola l’export agricolo e agroalimentare: +4,8% nel 2013, per 33,5 miliardi di euro.
Secondo il Rapporto Censis/Cia anche nei difficili anni della crisi l’agricoltura ha continuato a rappresentare un importante attrattore di iniziative imprenditoriali. Dal 2010 a oggi sono nate 117.000 nuove aziende, di cui 106.000 in ambito agricolo e 11.000 nell’agroalimentare. I due settori hanno rappresentato l’ambito di attività prescelto dal 10,1% degli imprenditori che hanno avviato un’impresa negli ultimi tre anni. E i giovani non hanno mancato di dare il loro contributo. Sono stati 17.000 gli under 30 che hanno avviato un’impresa agricola a partire dal 2010: su 100 start up, 15 sono state create da giovanissimi. Nell’agroalimentare il loro contributo sale al 18,3%. Così, se tra gli imprenditori agricoli con più di 40 anni il 43,5% ha al massimo la licenza elementare e il 31,2% la licenza media, tra i giovani il livello di istruzione aumenta significativamente. Tra gli imprenditori agricoli 25-40enni il 45,3% è in possesso di un diploma di scuola superiore e l’11,2% ha una laurea, tra quelli con meno di 25 anni il 65,3% è diplomato e il 5,2% è laureato. Tra il 2009 e il 2013, mentre è diminuito del 13,8% il numero complessivo degli immatricolati nelle università italiane, sono aumentati gli iscritti alle facoltà collegate al mondo agricolo: +43,1% per scienze zootecniche e tecnologie delle produzioni animali, +22,9% per scienze e tecnologie alimentari, +18,6% per scienze e tecnologie agrarie e forestali.

Il settore agricolo, inoltre, è un terreno fertile per l’universo femminile. Il 9% delle imprenditrici opera in questo comparto, a fronte di una percentuale che tra gli uomini si ferma al 6,6%. Le donne rappresentano il 31,2% del totale degli imprenditori del settore. E la produzione media dell’impresa agricola condotta da una donna risulta superiore a quella facente capo a un uomo: in media 28.500 euro contro 24.800 euro.
Da movimento di nicchia, il biologico è diventato un vero e proprio fenomeno di mercato. Tra il 2011 e il 2012 la crescita più forte del commercio di prodotti bio si è registrata, con una certa sorpresa, nei discount (+25,5%), poi nei supermercati (+5,5%). Nel 2013 il bio ha registrato una dinamica dei prezzi inferiore (+0,3%) rispetto ai prodotti convenzionali (+4,4%). Tra le aziende bio, solo il 15,4% ha un fatturato annuo inferiore agli 8.000 euro (contro il 62,8% del totale delle aziende agricole), mentre il 19,2% (rispetto al 5,5% del totale) vanta un volume economico superiore ai 100.000 euro. Più aperte al rapporto diretto con il mercato, ma anche più in rete: a fronte di una media dell’1,8% delle aziende che ha un proprio sito web, tra quelle bio la percentuale sale al 10,7%.
Se il supermercato resta di gran lunga il luogo prediletto dalle famiglie italiane per fare la spesa alimentare (per il 52%), il 9% si rivolge ai mercati rionali o ai piccoli negozi, mentre il 39% divide la spesa equamente tra supermercati e mercati rionali. In crescita gli acquisti presso botteghe e negozi gestiti da stranieri: il 23% degli italiani vi acquista generi alimentari, frutta e verdura. Per il 62% i prezzi sono più convenienti, per il 34% conta la particolarità dei prodotti offerti, per il 22% gli orari più flessibili rispetto ai negozi tradizionali.
Non si ferma l’export agricolo e agroalimentare, che anche nel 2013 ha continuato a crescere (+4,8%), a fronte di un sostanziale stallo del valore delle esportazioni italiane complessive (-0,1%). Nel 2013 i prodotti agroalimentari hanno pesato per circa 33,5 miliardi di euro sulla bilancia commerciale.
Da qualche anno il comparto agricolo sta vivendo un radicale processo di ristrutturazione interna all’insegna del consolidamento strutturale. Tra il 2000 e il 2010 la dimensione media delle imprese agricole è cresciuta da 5,5 a 7,9 ettari. In termini occupazionali, tra il 2010 e il 2012 è aumentato il numero delle imprese più grandi: +18,4% quelle con 10-19 addetti, +37% quelle con 20-49 addetti, +60,9% quelle con più di 50 addetti.
Con un valore aggiunto superiore a 30 miliardi di euro, l’Italia è la seconda economia agricola europea, dopo la Francia, con un peso sul valore totale dell’Unione europea pari al 15,2%. Ma l’Italia si colloca solo al sesto posto tra i Paesi europei per volumi delle esportazioni, preceduta da Paesi Bassi (63 miliardi), Germania (61), Francia (55), Spagna (33) e Belgio (31). Sono numeri che dimostrano come il nostro sistema agricolo non riesca ancora a organizzarsi al meglio per sfruttare il suo grande potenziale di crescita.

Focus - Il Ministro delle Politiche Agricole Martina: “Agricoltura settore marginale, un pregiudizio finalmente tramontato. A breve decreto “Campolibero””
“I risultati del rapporto Censis-Cia Confederazione italiana agricoltori ci danno un’ulteriore conferma del ruolo strategico del mondo agricolo e agroalimentare. Se per anni il settore è stato visto come marginale rispetto ad altri, oggi questo pregiudizio è finalmente tramontato, come dimostra il fatto che la stragrande maggioranza degli italiani lo considera un asset decisivo per il rilancio di tutto il Paese, in grado non solo di resistere alla crisi ma anche di creare opportunità lavorative soprattutto per i giovani”. Così il Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Maurizio Martina, commenta i dati emersi dal Rapporto Censis/Cia.
“Ecco perché dobbiamo puntare sempre di più sul nostro agroalimentare che vanta già numeri di tutto rispetto, visto che nel suo complesso vale circa il 17% del Pil nazionale, e che può offrire ancora molto se riusciamo a sviluppare ulteriormente il grande potenziale che ha. Stiamo costruendo - aggiunge Martina - un progetto complessivo per creare un percorso nuovo per il settore da qui ai prossimi anni. In questa prospettiva rientra anche il decreto “Campolibero”, che presenteremo a breve in Consiglio dei Ministri, dove abbiamo previsto misure attese dal settore, mirate a dare maggiore competitività alle nostre aziende, semplificare il carico burocratico che pesa sugli imprenditori, sostenere i giovani che fanno il loro ingresso nel settore, favorendo così anche il ricambio generazionale che è prioritario”.
“Le sfide che ci troviamo ad affrontare, dall’attuazione a livello nazionale della nuova Politica agricola comune al semestre Ue di Presidenza italiana ed Expo 2015, sono delle grandi opportunità per portare avanti le nostre battaglie, come quella relativa all’etichettatura, valorizzando e promuovendo ancora di più il nostro patrimonio agroalimentare. Se ci giochiamo bene le nostre carte, mantenendo i piedi per terra ma con la testa nel mondo - conclude il Ministro - possiamo crescere ancora, anche in termini di export”.

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