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RICERCA “CONCRETA” IN ENOLOGIA: L’ESPERIENZA DI “TRE MONTI”, UN ESEMPIO PER IL RILANCIO DELLA QUALITA’ DEL SANGIOVESE IN EMILIA ROMAGNA

"Il vitigno giusto nel terreno giusto": con questa filosofia, alla base del “progetto qualità”, avviato nel ‘97 dall’azienda Tre Monti di Imola e sviluppato dal professor Attilio Scienza, dal geologo Francesco Bruno Lizio e dall’enologo Donato Lanati, l’Emilia Romagna prende come base l’esperienza maturata in cinque anni di ricerche e sperimentazioni da questa azienda e vuol offrire alla viticoltura della regione, e nello specifico della doc Colli d’Imola, un contributo certo, un punto di riferimento per quella che dovrà poi essere la nuova cultura enologica del territorio. Lo fa con un convegno “La ricerca identifica i nuovi profili di qualità del Sangiovese” (Imola, 8 febbraio 2002), che vedrà la presenza, fra gli altri relatori, di docenti delle Università di Bologna, Torino e Milano (tra cui il professor Attilio Scienza).
“Negli ultimi anni l’enologia - spiega Marco Nannetti della Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) di Imola - si sta indirizzando verso un consumatore sempre più attento, non tanto bevitore di vino, quanto cultore del vino. Un consumatore che chiede qualità: e la qualità non s’inventa, ma è frutto di una cultura enologica fatta di diversi saperi e di ricerca, da quella sui terreni alla selezione clonale, a quella legata alla vinificazione. L’Emilia Romagna è cresciuta enormemente sotto questo profilo, negli ultimi anni, ma è ancora lontana da altre regioni: in particolare, in Romagna, manca una consacrazione definitiva, anche a livello di immagine, dei risultati raggiunti”. “Dobbiamo riuscire - aggiungono David e Vittorio Navacchia della Tre Monti (info: www.tremonti.it) - a far sapere all’esterno gli sforzi che stiamo compiendo, lungo la strada della qualità. Ma non solo, dobbiamo far sì che questa nuova cultura enologica sia sempre più diffusa fra tutti i produttori, consapevoli che dal lancio di una zona ne traggono beneficio tutti, sia quelli che hanno puntato sulla qualità sia chi si rivolge ad un mercato più ampio, caratterizzato dalle grandi quantità”. “E questo significa - continuano i Navacchia - non impiantare il vitigno che il mercato richiede, ma quelli che dall’analisi del terreno risultano più adatti a quello stesso terreno, selezionando i cloni più idonei, in base alla ricerca pedologica. L’obiettivo è di ottenere un prodotto finale naturale, ossia espressione dell’ambiente e originale, ovvero unico e irripetibile. Solo così saremo in grado di creare la giusta interazione tra vitigno ed ambiente. Nello stesso appezzamento, ad esempio, sono presenti anche due o tre cloni dello stesso vitigno, proprio a seconda delle caratteristiche del terreno. E la selezione clonale è in stretto rapporto con il vino che l’enologo vuole ottenere. Un concetto di terroir che in altre regioni, per non parlare della Francia, è patrimonio consolidato dei produttori, ma che nelle nostre zone stenta a prendere piede”. “Da questo, l’attenzione al Sangiovese. Un’attenzione che nasce dal fatto che è l’unico vero vitigno internazionale che ha origini storiche nel nostro Paese, che oggi è in grado di riscuotere notevoli riconoscimenti dai mercati di tutto il mondo, anche in purezza, sia come Sangiovese sia con vini quali Brunello di Montalcino, Nobile di Montepulciano …” spiegano David e Vittorio Navacchia.
Sangiovese, rosso di Romagna
Il Sangiovese è il vino rosso simbolo della Romagna: stando all’Ente Vini di Romagna, nel 2000, sono stati prodotti, da poco meno di 2.770 viticoltori, 184.000 ettolitri di Sangiovese. Nel 2001 sono state commercializzate 11 milioni di bottiglie di Sangiovese doc. Il volume d’affari è stimato attorno ai 45 miliardi.

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