Il Consiglio dei Ministri dell'Agricoltura dell’Unione Europea ha rinviato a gennaio qualsiasi decisione sulla direttiva che consentirebbe la commercializzazione di viti geneticamente modificate. In Italia, intanto, sono 200 i viticoltori che hanno sottoscritto l'appello dei Verdi "per la salvaguardia della qualità e della cultura del vino". L'appello è indirizzato contro la direttiva comunitaria che vuole autorizzare la commercializzazione "dei materiali di moltiplicazione vegetativa della vite", in poche parole l'introduzione di vite geneticamente modificata.
"E' una mobilitazione - ha dichiarato i Verdi - in difesa di un prodotto simbolo dell'Italia e quella direttiva causerebbe un danno gravissimo per la qualità dei vini nostrani, per non parlare dello snaturamento del paesaggio e dei rischi per la salute dei consumatori".
Ma, intanto, oltre a diversi esponenti del mondo accademico (che già nei mesi scorsi hanno detto la loro sull'affaire transgenico, anche da WineNews), anche un opinion leader afferma "di voler sfatare i pregiudizi sulla vite transgenica": si tratta del giornalista ed autore di guide di vino, Francesco Arrigoni, che, su www.enotime.it, afferma che “Verdi, ambientalisti, Arcigola e produttori annunciano battaglia sostenendo che la vite transgenica provocherà danni alla viticoltura europea, all'ambiente alla salute. Cose in gran parte non vere, alimentate solo dalla disinformazione”. “Le preoccupazioni sono francamente eccessive - afferma Francesco Arrigoni - e vediamo perché".
"La vite è il vegetale - spiega il giornalista - che nel corso dei secoli ha subito il maggior numero di trasformazioni genetiche sia ad opera della natura che per mano dell'uomo. Nell'antichità le viti si propagavano con il seme, si aspettava che la pianta crescesse e si selezionavano i semi delle viti migliori (quelle più vigorose, che producevano maggiormente o che davano l'uva migliore). Ma il procedimento era molto lento. In seguito la propagazione della vite è avvenuta per talea, cioè tagliando un pezzo di tralcio di vite che posto in terreno umido radicava e produceva una nuova pianta. Anche in questo caso l'uomo esercitava una pressione sulla natura perché non faceva le talee con tutte le viti, ma selezionava accuratamente le varietà e gli individui migliori. Successivamente, con l'aiuto della scienza, l'uomo è intervenuto sulla natura realizzando gli incroci: uno dei più conosciuti è il Müller Thurgau (si chiama così perché é stato creato dal professor Müller del cantone svizzero di Turgovia cioè Thurgau) ottenuto alla fine dell'800 incrociando il Riesling con il Sylvaner. Il risultato é stato un nuovo vitigno che oggi tutti apprezziamo per il suo caratteristico aroma. Anche il Cabernet Sauvignon, oggi uno dei vitigni più diffusi nel mondo, è un incrocio noto dall'epoca carolingia avvenuto spontaneamente per impollinazione di Cabernet (uva rossa) con Sauvignon (uva bianca)".
"Alla fine dell'Ottocento in Europa - continua Arrigoni - si è abbattuto il flagello della fillossera, un acaro (insetto) che mangiando le radici delle viti ha distrutto buona parte della viticoltura. Per potersi difendere dalla fillossera si è fatto ricorso al portainnesto. Il portainnesto non è altro che una specie di vite americana che da secoli si è immunizzata contro la fillossera. Oggi tutte le viti coltivate in Europa hanno un portainnesto (detto anche piede americano), cioè l'apparato radicale, sul quale vengono innestate le varietà di vite europea. Quando poi parliamo di una varietà di vite, poniamo lo Chardonnay, bisogna sapere che già oggi non ne esiste uno solo, ma diversi cloni selezionati geneticamente in base a ben precise attitudini (il colore, la ricchezza in aromi, la corposità, eccetera), ai quali i migliori produttori del mondo attingono per fare grandi vini di qualità. Prima dell'avvento della filossera una vite durava anche cent'anni, oggi la sua durata si è molto accorciata perché viene aggredita da molte malattie, per curare le quali si fa ricorso a massicci trattamenti antiparassitari".
"Gli scienziati stanno lavorando - spiega ancora Arrigoni -sulla genetica cercano di ottenere vitigni resistenti ai parassiti e alle crittogame. In questo modo, si potranno coltivare le viti riducendo al minimo i trattamenti ed ottenere vini più salubri. La cosa importante da sottolineare è che si tratta di modifiche genetiche all'interno della stessa specie: nessuno sta parlando di incrociare i geni della vite con quelli del carciofo o con quelli dell'ippopotamo. Gli studi sulla genetica non porteranno all'omologazione, come molti sostengono, dei vitigni, semmai è vero il contrario. Il problema casomai è che saranno i produttori a omologare la produzione scegliendo quelle poche varietà che assicurano il migliore rendimento qualitativo e quantitativo in funzione della richiesta del mercato. Cosa che già peraltro sta accadendo senza la vite trangenica. In tutto il mondo si coltivano massicciamente Cabernet e Chardonnay, che sono certamente varietà omologanti, e come se non bastasse vengono utilizzate per "migliorare" i nostri vini tradizionali (vedi sangiovese e compagnia bella)".
"La cosa curiosa è che quelli che a parole strillano per difendere la biodiversità - conclude Arrigoni - sono poi i primi a premiare i vini ottenuti da quelle due/tre varietà, di pochi selezionatissimi cloni, che stanno omologando e massificando il gusto del vino: basta guardare il palmarès della guida dei vini del Gambero Rosso che trabocca di Tre Bicchieri attribuiti a Cabernet e simili. Certamente le varietà modificate geneticamente dovranno essere sottoposte a tutti i necessari controlli per verificare che non vi siano problemi di alcun genere. Va però ricordato che anche se l'Unione Europea proibirà l'utilizzo di questi vitigni, nel resto del mondo le uve transgeniche sono già una realtà e verranno presto impiegate per produrre quei vini internazionali, molto apprezzati sia dai consumatori sia dalla stampa specializzata. Se questi conservatori travestiti da progressisti che si battono contro la vite transgenica fossero vissuti nel XVI secolo non avremmo mai mangiato né patate né pomodori, "frutti del diavolo". Grazie a loro, dopo la fillossera, la vite non sarebbe mai più stata coltivata in Europa. Stiamo entrando nel terzo millennio, non c'è più posto per gli oscurantisti. Non possiamo fermare il progresso”.
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