Un grande lavoro per mettere la fiera di Verona in assoluta e massima sicurezza e garantire un evento nel rispetto totale sia delle norme che del buon senso, guardando alla tutela sia degli espositori che di selezionati buyer ed operatori; grandissimi sforzi, anche a livello istituzionale, per garantire comunque una buona presenza internazionale, almeno dall’Europa. Ma forse tutto questo non è bastato. E così, tra una campagna vaccinale che va a rilento, almeno in Italia, una grande incertezza sia sull’evoluzione del quadro sanitario, sia normativa su cosa si può e non si può fare (il vulnus maggiore per azioni che richiedono programmazione lunga ed articolata), il vino italiano e Veronafiere vanno verso la rinuncia al loro evento più importante, il Vinitaly, a Verona, a giugno 2021. Con l’appuntamento che sarebbe rimandato, dunque, direttamente al 2022, secondo i rumors, sempre più concreti ed insistenti in tanti ambienti del vino, che WineNews è in grado di anticipare, in attesa comunque di conferme ufficiali (che, forse, presto potrebbero arrivare).
Una scelta che, se confermata, sarebbe durissima, seppur obbligata, soprattutto alla luce degli sforzi già sostenuti da Veronafiere per garantire una fiera in totale sicurezza, tra investimenti sul quartiere fieristico e sui protocolli anticontagio, e che arriva in un contesto che, peraltro, vede le fiere italiane aver perso l’80% del giro d’affari 2020 (stimato in oltre 1 miliardo di euro), aver concentrato le manifestazioni nella seconda parte dell’anno, ma in un calendario ancora decisamente a rischio, e, soprattutto, non aver ancora ricevuto ristori concreti dallo Stato. Con il rischio reale di diventare facile preda di player stranieri, che potrebbero così sottrarre al controllo italiano asset che sono stati e saranno strategici per l’internazionalizzazione del made in Italy del vino, del cibo e non solo. A partire proprio dalle fiere tedesche, come quella di Dusseldorf (che, da mesi, ha potuto annunciare il rinvio della Prowein al 2022), che, da qui a giugno 2021, saranno “compensate” con oltre 640 milioni di euro, grazie al superamento del “de minimis” ottenuto dal Governo della Germania in Europa, e che consentirà loro di vedere ristorate gran parte delle perdite causate dalla pandemia e delle misure per contenerla.
L’Italia, invece, ad oggi, non ha ancora ottenuto dall’Unione Europea il superamento del regime del “de minimis”, che attualmente consente di ristorare ogni organizzatore con un massimo di 1,8 milioni di euro. Misura che rende di fatto inutilizzabile il budget di 408 milioni di euro stanziati per il ristoro delle fiere italiane, soprattutto nei confronti dei più grandi player come Verona, Milano, Bologna e Rimini, forzate a perdite di decine di milioni di euro nei propri bilanci, a causa di un anno di inattività obbligata dalla pandemia e dalle norme per contenerla.
E in un’Europa che, in questo senso, è a due velocità, le fiere italiane, nonostante gli importanti sforzi messi in campo per ripartire, si trovano in una condizione oggettiva di svantaggio e debolezza rispetto ai competitor stranieri, ad oggi sostenuti in maniera decisamente più concreta dalle rispettive istituzioni. Situazione che rende urgente e non più rinviabile un intervento forte, in Europa, da parte del Governo italiano, per salvare un comparto, quello delle fiere del made in Italy, che sarà decisivo per la ripartenza post pandemia, con i player che sono sempre più non solo organizzatori di eventi (in Italia e nel mondo), ma anche fornitori di servizi avanzati alle imprese per affrontare i mercati internazionali. Che, per molti comparti dell’economia italiana, come il vino stesso, sono fondamentali.
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