Partendo da una fase tratta dal libro “La mucca savia” di Piero Bevilacqua - “nessuna società del passato, per quanto poteva essere povera o ossessionata dalla fame, era riuscita a immaginare e realizzare l’inferno cui oggi sono confinati gli animali un tempo detti domestici” - nel convegno, su “La carne può diventare slow”, voluto fortemente da Coop Italia, sono stati presi in esame, in primo luogo dai tanti relatori - Piero Sardo, vice presidente Slow Food; Piero Bevilacqua, docente Università La Sapienza di Roma; Eric Scholsser, autore del best seller internazionale “Fast food nation”, Patrick Brady, chief executive dell’Associazione “Craft Butchers oh Ireland”; Vittorio Ramazza, responsabile sviluppo progetti Coop; Stefano Mengoli, consorzio dei produttori carne bovina pregiata delle razze italiane e Sergio Capaldo, direttore dell’associazione “La Granda” e responsabile zootecnico Slow Food - i cambiamenti avvenuti, negli ultimi cento anni, in seguito all’adozione di una politica meramente quantitativa che ha portato, prima, ad una sempre maggiore stabulazione e poi ad un utilizzo indiscriminato di farine animali, antibiotici e vitamine.
Lo “stato dell’arte” della grande produzione di carne negli Usa è stato messo in evidenza di Scholsser, autore del best seller internazionale “Fast food nation”: quattro compagnie controllano l’80% del mercato interno; le condizioni di lavoro e igienico-sanitarie sono assolutamente insufficienti ed i rischi per l’uomo e l’ambiente spaventosi: 76 milioni di casi di avvelenamento da cibo all’anno non possono essere un caso. Con Patrick Brady si è vista un’altra realtà, quella irlandese, che tra mille difficoltà sta trovando una via diversa, una produzione di qualità fatta fondamentalmente da piccoli agricoltori che siano in grado di trovare uno sbocco commercial appoggiandosi a una distribuzione capillare ed efficace. Vittorio Ramazza, a questo proposito, ha illustrato il “sistema Coop”, che privilegiando il controllo sulla qualità di tutta la filiera, si è trovata a modificare il proprio ruolo: da quello di “compratore” a quello di coordinatore e supervisore del ciclo produttivo. Mengoli ha illustrato la metodologia di produzione legata alle grandi razze autoctone italiane (Chianina, Modicana, ecc.) e Capaldo ha chiuso il convegno mettendo in evidenza come si debba cambiare approccio e si debba preferire una via che rispetti l’ambiente, che diminuisca la produzione a livello quantitativo ma che permetta una migliore qualità della carne prodotta. La carne potrà sicuramente “diventare slow” anche se si dovranno cambiare le nostre abitudini alimentari e diventare un po’ più vegetariani. Senza esagerare, però.
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