Anche la patria del fast food, gli Stati Uniti, comincia a subire il fascino di Carlo Petrini e ad adottarne la filosofia slow in campo alimentare: è una delle grandi novità del Salone del Gusto 2004. Gli Usa sono arrivati in forze, con 500 delegati di Slow Food, che hanno fatto scoprire a un pubblico meravigliato prodotti rari come il fagiolo blu “Tepary” per combattere l’obesità e il riso selvatico “Manoomin”, che per secoli nutrì gli indiani del Minnesota. Se soltanto quattro sono i Presidi americani, cioé i prodotti legati a un progetto di rilancio per garantirne la sopravvivenza, l’Arca Nord America contiene oltre 250 specie o razze rare, che non esistono in nessun altro luogo del mondo. Ben cento i tipi di mele catalogati e oltre 30 quelli di tacchino, a riprova del fatto che gli Usa sono davvero la terra dell’“apple pie” (torta di mele) e dello “stuffed turkey” (tacchino ripieno).
"Le mele - spiega la responsabile di Slow Food Nord America, Erika Lesser - devono la loro fortuna a “Johnny Apple Seed”, il pioniere che prendeva possesso delle nuove terre piantandovi alberi di melo per la produzione di distillati”. Ma i prodotti autoctoni da proteggere dall’industrializzazione e dall’omologazione alimentare selvaggia, sottolinea, sono molti di più. Si va dai salmoni alle ostriche, dal fagiolo “Tepary”ad alto valore proteico e lenta digeribilità che garantisce la forma fisica anche se ingerito in quantità, fino ai rarissimi formaggi a latte crudo, che negli Usa sono quasi fuorilegge.
“Negli Stati Uniti - chiarisce - la vendita dei formaggi a latte non pastorizzato è illegale a meno che le forme siano state sottoposte a una stagionatura di almeno 60 giorni. In tutta la nazione esistono non più di trenta casari specializzati in produzioni artigianali. Per lo più si tratta di giovani appassionati, appartenenti a una scuola che ha sovvertito le tecniche tradizionali degli immigrati europei, per realizzare prodotti innovativi e moderni”.
Questi nuovi pionieri dell’alimentazione hanno un mercato strettamente locale, di solito legato a ristoranti di grande nome, che arrivano a pretendere da loro anche dodici tipologie diverse di formaggio, magari tutte dal latte di pochi bovini. I loro prodotti hanno nomi di fantasia come “Costant bliss” (Serenità costante) e a causa della restrittiva legislazione americana non corrono il rischio di trasmettere malattie come la Listeria, rarissima ma mortale. In campo agricolo, la lotta al fast food imperante e alle multinazionali dell’Ogm negli Usa è condotta da migliaia di “Csa markets” (Community supported agricolture markets). Sono questi mercati nei quali all’inizio dell’inverno un gruppo di consumatori si accorda direttamente con il produttore e lo sostiene economicamente con un anticipo di denaro, ottenendo in cambio una selezione di prodotti freschi a propria disposizione per tutto il periodo estivo.
Oltre a ben 12.000 soci di Slow Food, gli Usa contano quindi anche migliaia di esempi concreti di quel collegamento diretto fra produttore e consumatore “contro lo strapotere della grande distribuzione”, che proprio dal Salone del Gusto, Carlo Petrini aveva annunciato come programma per l’attività futura di Slow Food. Anche nella patria del fast food, può ben dire Erika Lesser, l’inversione di tendenza è ormai realtà.
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