“Per essere originali torniamo alle origini, per ritrovare una grande cucina torniamo a quella delle nonne. Soprattutto voi italiani avete in quella cucina familiare e conviviale lo strumento e la sapienza, se saprete interpretarla e rilanciarla, per diventare la più importante cucina del mondo”. Firmato Fredy Girardet & Joel Robuchon. Ovvero i cuochi del secolo. La loro conferenza-lezione questa mattina al Salone del Vino si è trasformata in un manifesto del buon gusto, in un elogio della naturalità, in una denuncia dei “cattivi maestri” della creatività ad ogni costo. A stimolare il confronto tra il pubblico - costituito dai maggiori ristoratori italiani, da alcuni dei più grandi produttori di vino e dai più autorevoli critici enogastronomici - e i due cuochi del secolo, che Francesco Battuello è riuscito a portare per la prima volta insieme in Italia in occasione del Salone del Vino, è stato il “gastronauta” Davide Paolini. E il racconto di Girardet e di Robuchon ha fatto diventare davvero un evento memorabile la loro conferenza: non era mai accaduto e probabilmente non accadrà di nuovo che questi due maîtres à penser tornino a testimoniare insieme la loro filosofia del gusto, il loro modo d’intendere la cucina come strumento di benessere. Su questo valore “immateriale” ha insistito molto Fredy Girardet che in premessa ha affermato come lui cucinava “per dare piacere agli altri” e come un “ristorante gourmand debba preoccuparsi di assistere l’ospite al massimo grado possibile”. E ha dato testimnonianza che i migliori maître del mondo sono italiani. Più pungente Robuchon ha voluto puntualizzare che cosa oggi è alta cucina. “Spesso – ha affermato – è semplice gioco di prestigio: è ricoprire incapacità tecniche e deficienze della materia prima, ricorrendo a degli artifici”. La conferenza dei cuochi del secolo si è immediatamente trasformata in una sorta di “processo alla cucina fusion che diventa confusione senza che ci sia più la possibilità di distinguere origine dei piatti e degli ingredienti”. “Penso – ha affermato Robuchon, che si è ritirato a 50 anni al massimo del successo e il suo nome è rimasto ad un ristorante di Tokyo realizzato con un investimento pari a 250 milioni di euro – che si faccia tanta cucina fusion per il fatto che è più facile pigliare un po’ qua e un po’ là, piuttosto che imparare sul serio a conoscere materia prima e tecnica. Così si fa spettacolo, non alta gastronomia”. Sulla necessità di ricercare ingredienti naturalissimi e la migliore materia prima ha insistito Fredy Girarardet – lo soprannominarono il Cristo di Crissier, è l’unico che abbia conquistato al primo giudizio le 3 stelle Michelin ed è considerato l’unico che sia stato in grado di riscrivere Escoffier, si è ritirato a 60 anni dalla cucina attiva - il quale ha detto “Oggi c’ è anche una certa difficoltà a trovare le cose migliori. Bisogna tornare all’agricoltura di grande qualità, ma bisogna anche rieducare ai sapori veri. Prendete le sogliole: si trovano a pochi soldi delle cose che chiamano sogliole e i nostri giovani, anche i giovani chef, sono convinti che quello sia il sapore vero del piatto. Non ne conoscono altro, soprattutto non conoscono quello autentico. Oggi la cucina è fatta di chimica, si aggiungono aromi artificiali perché non si sa più e talvolta non si riesce a trovare i sapori, i profumi originali, quelli della naturalità. Per questo sono convinto che si debba tornare alla cucina delle famiglie. L’alta cucina non è altro che un approccio più consapevole, tecnicamente e scientificamente motivato, alla cucina degli ingredienti, del territorio e della tradizione”. E’ stata una risposta netta e precisa quella di Girardet alla domanda che era stata posta a cappello della conferenza dei due cuochi del secolo: “C’è futuro in cucina senza passato?”. Ancora più decisi i toni di Joel Robuchon: “I cosiddetti creativi sono convinti che basta combinare un po’ di cose in modo insolito per fare un piatto. Prendete i tartufi bianchi, un gioiello della natura. Ormai li mettono ovunque, a sproposito. Si fanno pagare tanto e sono convinti di aver creato. No, la creatività è un’altra cosa: è saper dare armonia a piatti che devono avere gusto e profumo. E’ creare un piatto che resta. Quello è davvero difficile. Ducasse ha creato dei piatti, Girardet ha creato tanti piatti perché sono rimasti. Questi cosiddetti creativi di oggi non sanno neanche impostare un menù. Ricordo la carta di Fredy Girardet era un capolavoro di creazione, di tradizione, di equilibrio”. E anche da Robuchon è venuto un forte richiamo al rispetto dei prodotti, alla ricerca dei sapori del territorio attraverso la selezione di ingredienti di qualità Anzi ha aggiunto, in concordia con Girardet: “Ci sono pizzerie ovunque nel mondo, la cucina italiana è la prima ormai per diffusione, può diventarlo per qualità se si rifà alle sue origini, se sfrutta i grandi prodotti di cui dispone. E’ un po’ quello che era successo con la cucina francese. Il primato mondiale della nostra cucina – ha sottolineato Robuchon – veniva incrementato dalla tecnica capace però di sfruttare al meglio la varietà e la qualità dei prodotti dei nostri terroir. Oggi vedo cuochi di alta cucina che si mettono al servizio dell’industria. Finiscono per fare della chimica, non della gastronomia”.
La ricetta di Girardet & Robuchon dunque è chiara: “Grandi prodotti del territorio, rispetto della tradizione, grande tecnica in cucina e innovazione finalizzata a creare qualcosa che resta, non ad effimera spettacolarizzazione”. A questi ingredienti Girardet aggiunge la ricerca “complessiva delle armonie” e Robuchon “la necessità di tornare a fare una cucina di sapori e di profumi, ma quelli contenuti dentro gli ingredienti. A questo fine nuove tecniche di cottura dei cibi consentono di avere innovazione che è miglioramento del piatto, ma anche continuità”. Si è parlato anche di vino in questa conferenza lezione ed entrambi i cuochi del secolo sono stati concordi nel dire che la qualità complessiva dei vini nel mondo è cresciuta: con grandi passi in avanti dell’Italia, che è capace ancora una volta di puntare sulle sue specificità e sui prodotti del suo territorio. Si può dire che Robuchon & Girardet hanno affermato che se l’innovazione in cucina non ha portato sempre a migliorare la qualità, l’innovazione in cantina ha migliorato la qualità dei vini. E rispondendo ad una provocazione di Gualtiero Marchesi che raccomanda “bevete acqua per sentire meglio i sapori dei cibi nei grandi ristoranti”, Robuchon & Girardet hanno tagliato corto: “Vuol dire che a Marchesi non piace il vino, ma un grande piatto accanto ad un ottimo bicchiere viene esaltato. Bere vino è una gioia che dà emozioni, come deve darle l’alta cucina. Se vanno insieme è davvero la ricerca di una grande armonia”. Al termine della lezione c’è stato spazio anche per sondare i “ricordi” dei due grandi cuochi. Ebbene il sapore dell’infanzia di Robuchon è il burro. “Nella mia famiglia si è sempre mangiato tanto burro, e siamo una famiglia di gente molto longeva. Vedete si favoleggiava di segreti, di ingredienti strani per il mio purè. Lo facevo cercando quel sapore dell’infanzia: latte appena munto, tanto burro freschissimo e patate che andavo a comprare da un produttore innamorato della campagna, tanto da aver lasciato le sua azienda di auto per tornare a coltivar patate”. E Girardet ricorda invece il rognone che gli preparava suo padre, che è stato il suo maestro di cucina. Anch’egli grande chef faceva il rognone alla piastra, tagliato sottile con un po’ di burro fuso. “Un sapore intenso, familiare, una delizia” racconta, commovendosi Girardet. Che azzarda: “Il vero pericolo per l’alta cucina è che non ci sono più le nonne. Loro hanno custodito da sempre i segreti dell’armonia della famiglia riunita attorno alla tavola. Ecco la cucina italiana ha questo valore familiare. Conservatelo, esaltatelo per arrivare al massimo della qualità. E non fermatevi alla constatazione che oggi il risotto – un piatto delle famiglie italiane – è proposto in tutto il mondo dai migliori chef”. In questo sta il futuro dell’alta cucina, nel suo passato che si rinnova. Ma così come per il vino: senza agricoltura di qualità non ci sarà mai cucina di qualità. Questo il credo dei cuochi del secolo che insistono sulla cucina dei valori, degli ingredienti, dei territori. Una lezione che vale per il prossimo secolo, al termine della quale il Salone del Vino ha consegnato ai partecipanti un attestato. E’ il poter dire “io c’ero”, ad un evento, che ha dimostrato come vino e cibo siano: alimento sì, ma soprattutto per lo spirito.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024